In carcere ma stipendiato dal clan: regge l’ipotesi dell’associazione mafiosa

Prova decisiva è un elenco relativo agli ‘stipendi’ versati dal clan dei casalesi agli affiliati, pur se detenuti in carcere. Il nominativo dell’uomo, in galera dal 2010, è in quell’elenco. Legittima la contestazione della partecipazione al clan, e consequenziale l’applicazione della custodia in carcere.

‘Busta paga’ sui generis per il detenuto che, prima di finire in carcere, ha lavorato per il clan dei casalesi. Lo ‘stipendio’, elargito dall’organizzazione criminale campana, è registrato in una lista ad hoc , in cui vengono indicate le cifre pagate agli affiliati, pur se costretti dietro le sbarre. Documentazione decisiva per ritenere concreta e attuale la vicinanza dell’uomo, anche dalla galera, al clan camorristico. Consequenziale e legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 39508/15 depositata oggi Pagamenti. Valutazioni condivise, quelle del gip e dei giudici del tribunale necessaria la misura cautelare della custodia in carcere per un uomo, finito sotto accusa per il delitto di associazione mafiosa e, in particolare, per la partecipazione al cosiddetto clan dei casalesi , nel periodo compreso fra il settembre 2012 e il settembre 2014 . Decisiva la constatazione che il nominativo dell’uomo – detenuto fin dal 2010 – è nell’elenco dei destinatari delle somme che venivano pagate quali stipendi agli affiliati, anche se ristretti in carcere . Disponibilità. E la solidità del quadro accusatorio viene ribadita anche in Cassazione, dove le obiezioni dell’uomo vengono respinte in modo netto. Innanzitutto, non viene ritenuta discutibile la genuinità delle liste degli affiliati stipendiati ad esse, difatti, hanno fatto riferimento tutti e tre i collaboratori di giustizia, attribuendone la redazione direttamente a Carmine Schiavone, o a Carmine Iaiunese, quantomeno in parte, su dettatura del primo . Allo stesso tempo, poi, viene sottolineato il fatto che il versamento dello stipendio costituisce non solo la retribuzione per la collaborazione prestata, ma anche la garanzia del permanere della disponibilità dell’affiliato nei confronti della consorteria, che si fa carico di un tale mantenimento economico. Tutto ciò rende plausibile l’ipotesi del delitto di associazione mafiosa , e quindi legittima l’applicazione della custodia in carcere .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 luglio – 30 settembre 2015, n. 39508 Presidente Lapalorcia – Relatore Savani In fatto e diritto Con ordinanza in data 25 marzo 2015 il Tribunale distrettuale di Napoli ha respinto la richiesta di riesame proposta nei riguardi dell'ordinanza 23 febbraio 2015 del Giudice per le Indagini pre liminari del locale Tribunale, di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere a C.B., nei cui confronti si procede per il delitto di associazione mafiosa, in particolare per la partecipazione al c.d. clan dei casalesi nel periodo fra il settembre 2012 ed il settembre 2014, essendo risultato inserito il suo nominativo, individuato come B. 2500 , nell'elenco dei destinatari delle somme che venivano pagate quali stipendi agli affiliati, anche se ristretti in carcere, come il ricorrente, detenuto fin dal 2010. Ha proposto ricorso per Cassazione il prevenuto, articolando tre motivi. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale considerato quale attendibile fonte indiziaria a carico l'elenco fatto trovare dal collaboratore D.L. al momento dell'inizio della sua collaborazione, contenente la lista degli affiliati cui veniva corrisposto lo stipendio. Sostiene il ricorrente che, in assenza di appositi accertamenti tecnici, sarebbe arbitrario ritenere la lista genuina, cioè non formata appositamente per qualificare la propria collaborazione. Né sarebbe assolutamente certa l'individuazione del C. quale B., essendo nella lista compreso anche certo Bartolino e non essendo indicati nel provvedimento i criteri secondo i quali il ricorrente sarebbe stato individuato proprio nel B. di cui alla lista in questione. Con un secondo motivo deduce vizio di motivazione in merito alla ritenuta permanenza del ri corrente nell'associazione anche durante il periodo di detenzione. Anche se la corresponsione di uno stipendio potrebbe indicare la necessità di ripagare il detenuto per pregresse collaborazioni, nulla sarebbe stato individuato dai giudici del merito che indicasse che l'indagato, oltre all'affectio societatis, avesse realizzato, seppur ristretto, una qualsiasi forma di collaborazione concreta, come sarebbe necessario. Con il terzo motivo deduce violazione del disposto dell'art. 649 c.p.p. laddove il periodo oggetto dell'imputazione relativa al provvedimento cautelare in questione si dovrebbe considerare so vrapposto a quello oggetto di altro procedimento. Il ricorso non è fondato. In relazione alla genuinità delle liste il Tribunale del riesame ha correttamente rilevato come a quelle liste si siano riferiti tutti e tre i collaboratori di giustizia, attribuendone la redazione diret tamente a S.C. o a I.C., quanto meno in parte, su dettatura del primo, ma non certo riconducendole a surrettizia redazione posteriore. Sul secondo motivo, giurisprudenza constante ha ritenuto che in tema di associazione per delin quere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo dell'indagato non esclude la permanen za della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, ogget I tivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato Sez. I, n. 46103 del 7/10/2014, Rv. 261272 Conf n. 12907 del 2001, Rv. 218440 n. 17 100 del 2011, Rv. 250021 . Il versamento dello stipendio costituisce non solo la retribuzione per la collaborazione prestata, ma anche la garanzia del permanere della disponibilità dell'affiliato nei confronti della consorte ria che si fa carico di un tal mantenimento. Sul terzo motivo, osserva il Collegio che il Tribunale del riesame ha chiarito come dalla fram mentaria documentazione fornita risultasse una contestazione di partecipazione ad associazione mafiosa fino al 2010, mentre il procedimento in oggetto ha riguardo ad una partecipazione asso ciativa concernente un periodo successivo. Il ricorrente si riferisce ad una contestazione c.d. aperta che coprirebbe anche il periodo succes sivo, senza considerare che la contestazione non poteva definirsi aperta in quanto espressamente circoscritta dalla medesima imputazione. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedi mento. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1° ter, disp att. c.p.p. Così deciso in Roma il 14 luglio 2015.