Ospita un latitante: colpevole ‘oltre ogni ragionevole dubbio’. Anzi no

In tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, ma deve valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza e la valenza dimostrativa e poi procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi possa risolversi in una visione unitaria, consentendo di attribuire il reato all’imputato oltre ragionevole dubbio.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 38559/15, depositata il 23 settembre. Il caso. Il tribunale condannava una donna alla pena ritenuta di giustizia per il reato di favoreggiamento personale. La corte d’appello territoriale, in parziale riforma di tale pronuncia, rideterminava la pena inflitta alla donna. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione la donna, lamentando che i giudici di merito aveva erroneamente ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato sulla base di mere congetture tratte dalla prima risposta negativa fornita dalla ricorrente agli ufficiali di polizia giudiziaria operanti al momento del loro accesso presso la sua abitazione, ove veniva ospitato un latitante. Deve invece, secondo la ricostruzione fornita dalla ricorrente, escludersi la sua consapevolezza in ordine alla misura cautelare a quest’ultimo applicata, dal momento che, come dichiarato dall’uomo stesso, la donna non era consapevole dello stato di quest’ultimo e dell’esistenza di una misura cautelare a suo carico. Non basta una ricostruzione congetturale. Sul punto, gli Ermellini osservano innanzitutto il ragionevole dubbio deve scaturire dal complesso degli elementi probatori acquisiti nel processo ovvero dalle lacune istruttorie non colmate su aspetti rilevanti del fatto da giudicare. Non basta, infatti, limitarsi alla semplice interpretazione delle risultanze processuali in termini diversi dalla soluzione motivatamente adottata dal giudice il dubbio ragionevole non solo deve rispondere a criteri dotati di intrinseca razionalità , ma deve anche poter essere argomentato con ragioni verificabili sulla base del materiale probatorio acquisito al processo. In tale prospettiva, risulta evidente la stretta correlazione tra il ragionevole dubbio e la presunzione di innocenza entrambi, infatti concorrono alla definizione delle regole probatorie e di giudizio e dei metodi di accertamento del fatto, imponendo standard probatori e protocolli logici di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive del fatto fondati sulla tendenziale recessività dell’ipotesi di accusa e finalizzati alla necessaria giustificazione razionale delle decisioni giudiziarie . Con la formula introdotta dalla l. n. 46/2006 nell’art. 533 c.p.p., prosegue il Supremo Collegio, si è dunque proceduto a dare valore normativo alla consolidata affermazione giurisprudenziale secondo la quale la condanna è possibile solo in presenza di certezza processuale della penale responsabilità dell’imputato e si è meglio precisato che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciare fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura , ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del ben che minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana . Da ciò consegue che in caso di prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti, devono essere individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo per l’appunto il dubbio fondarsi su un’ipotesi del meramente congetturale, ancorché plausibile. Quando si può dire oltre ogni ragionevole dubbio”? La giurisprudenza di legittimità, inoltre, hanno ricordato gli Ermellini, ha ulteriormente precisato che, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve valutare, anzitutto, i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza, saggiarne l’intrinseca valenza dimostrativa e poi procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un altro grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana . Alla luce di quanto esposto, secondo il Supremo Collegio la sentenza impugnata risulta censurabile, deducendo la responsabilità penale della ricorrente in ordine al contestato delitto di favoreggiamento personale sulla base di un percorso argomentativo di tipo meramente ipotetico. Pertanto, secondo i Giudici del Palazzaccio, il ricorso in esame va accolto e la sentenza impugnata annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 – 23 settembre 2015, n. 38559 Presidente Agrò – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d'appello di L'Aquila ha rideterminato la pena inflitta a D’A. A. dal Tribunale di Chieti con sentenza pronunciata in data 4.10.2012 per il reato di favoreggiamento personale in anni uno di reclusione, con concessione dei doppi benefici. 2. A. D’A. ricorre per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia deducendo a violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 420-ter c.p.p., con conseguente nullità della sentenza di primo grado, per avere il Tribunale di Chieti, con ordinanza dibattimentale dei 2.12.2010, rigettato l'istanza di differimento dell'udienza per legittimo impedimento del difensore, presentata da quest'ultimo in ragione della malattia dei figlio di due anni e mezzo debitamente certificata dal medico con allegazione dell'indisponibilità di familiari ai quali affidare il bimbo e dell'impossibilità di nominare un sostituto processuale in quanto i colleghi di studio erano contestualmente impegnati in altra sede in processi a carico di detenuti b violazione di legge con riferimento all'art. 378 c.p. e conseguenti vizi di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto l'esistenza dell'elemento psicologico dei contestato reato di favoreggiamento sulla base di semplice congettura tratta dalla prima risposta negativa fornita dalla ricorrente agli ufficiali di p.g. operanti al momento del loro accesso presso la sua abitazione, ove veniva ospitato il latitante P. E. la consapevolezza della ricorrente circa la misura cautelare a lui applicata deve invece escludersi, poiché, come dichiarato dallo stesso P., la ricorrente non era consapevole dei suo stato e dell'esistenza di una misura cautelare custodiale a suo carico c violazione di legge con riferimento all'art. 133 c.p. e difetto di motivazione in relazione alla pena irrigata, eccedente il minimo edittale, e alla mancata applicazione delle attenuanti generiche. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. Il Collegio osserva in primo luogo, con riferimento al secondo motivo di ricorso, che la plausibilità della ricostruzione difensiva per essere ragionevole e legittimare il dubbio assolutorio deve essere ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza, e non può risolversi nella mera reinterpretazione critica degli esiti probatori in chiave funzionale alla conferma di un'ipotesi alternativa a quella dell'accusa. La fonte del ragionevole dubbio è quella oggettivamente scaturente dal compendio probatorio acquisito nel processo ovvero dalle lacune istruttorie non colmate su aspetti rilevanti dei fatto da giudicare. Essa non consiste nella semplice interpretazione delle risultanze processuali in contrasto con la soluzione motivatamente adottata dal giudice nel confermare l'ipotesi accusatoria. Deve trattarsi di un dubbio ragionevole, non solo nel senso che deve rispondere a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma perché suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili sulla base del materiale probatorio acquisito al processo sull'esigenza di una plausibilità processuale e non solo congetturale, da ultimo, Sez. 1, n. 53512 dell'11/7/2014, Gurgone Sez. 4, n. 22257 dei 25/03/2014, Guernelli Sez. 4, n. 30862 dei 17/06/2011, Giulianelli Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, Durante . E' dunque vero che, come già rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, il principio dell' oltre ragionevole dubbio , introdotto nell'art. 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura dei sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza. Esso può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, solo laddove tale duplicità non sia stata oggetto di attenta ed esatta disamina da parte del giudice dell'appello Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola . Così intesa, la ragionevolezza del dubbio diviene la cartina di tornasole della logicità della sentenza, poiché la persistenza di un dubbio ragionevole disvela rende manifesta l'illogicità della condanna. Se il ragionevole dubbio e' parametro di valutazione delle prove poste a sostegno dell'accusa art. 187 c.p.p., anche con riferimento all'art. 530, comma 2, c.p.p. e delle ipotesi antagoniste di ricostruzione dei fatti, esso e' altresì il criterio di giudizio della motivazione della sentenza impugnata e della sua logicità. È evidente, in tale prospettiva, la stretta correlazione, dinamica e strutturale, esistente tra il ragionevole dubbio e la presunzione di innocenza. Entrambi concorrono, tra l'altro, alla definizione delle regole probatorie e di giudizio e dei metodi di accertamento del fatto, imponendo standard probatori quello dell'art. 533 comma 1 c.p.p. corrisponde per la sentenza di condanna a quanto l'art. 530 comma 2 c.p.p. stabilisce per la sentenza di assoluzione e protocolli logici di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive del fatto fondati sulla tendenziale recessività dell'ipotesi d'accusa in dubio pro reo e finalizzati alla necessaria giustificazione razionale delle decisioni giudiziarie artt. 192 e 546 c.p.p. . Con la formula introdotta dalla L. n. 46 del 2006 art. 5 ad integrazione dell'art. 533 c.p.p. si e' cosi' proceduto a dare valore normativo alla consolidata affermazione giurisprudenziale secondo la quale la condanna è possibile solo in presenza di certezza processuale della penale responsabilità dell'imputato Cass., Sez. 1, n. 20371 dell'11/5/2006 e si è con maggiore puntualità precisato che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del ben che minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana Sez 1, n. 31456 del 21/5/2008, Rv. 240763 . Sicché, in caso di prospettazione di un'alternativa ricostruzione dei fatti, occorre che siano individuati gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile Sez. 4, n. 30862 del 17/6/2011, Rv. 250903 . In tale prospettiva appare del tutto conseguente l'ulteriore approdo di legittimità Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Rv. 251507 che ha sintetizzato il principio nella cogenza di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio , con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni l'autocontraddittorietà o l'incapacità esplicativa o esterni l'esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica . La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato che, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve valutare, anzitutto, i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti , saggiarne l'intrinseca valenza dimostrativa di norma solo possibilistica e poi procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana Cass. Sez. 1, sent. n. 44324 del 18/04/2013, P.G. e P.C. in proc. Stasi Sez. 2, n. 2548 del 19.12.2014, P.G. in proc. Segura vedi anche SU, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino . Va infine ribadito, a scanso di ogni equivoco, che il criterio del dubbio ragionevole il dovere del dubbio reagisce in modo diverso sugli esiti di condanna e su quelli assolutori la sentenza di condanna deve superare il ragionevole dubbio sull'attendibilita' e concludenza della prova dell'ipotesi accusatoria, mentre quella di assoluzione puo' deve limitarsi al ragionevole dubbio. 2. Ritiene il Collegio che, alla stregua di quanto precede, il percorso argomentativo della sentenza impugnata evidenzi la sussistenza di dubbi interni ed esterni, in presenza di una ricostruzione alternativa proposta dalla ricorrente che insiste all'interno dei perimetro della razionalità pratica, poiché trova idonei riscontri nelle risultanze processuali, resiste al tentativo di falsificazione operato sulla base degli elementi di prova di opposta valenza e appare percio' dotata di empirica, concreta plausibilità. La sentenza impugnata deduce infatti la responsabilità penale della ricorrente in ordine al contestato delitto di favoreggiamento personale sulla base di un percorso argomentativo di tipo meramente congetturale. Esiste infatti un salto logico tra il tergiversare e la prima risposta negativa della ricorrente a fronte della richiesta degli agenti di p.g. di consentire loro l'accesso nella sua abitazione senza alcun titolo giudiziario autorizzativo, da un lato, e, dall'altro, la ritenuta volontà della D’A. di aiutare il latitante P. E. a sottrarsi alle ricerche dell'Autorità. La reazione avuta nell'immediatezza dalla ricorrente non ha infatti, di per sé sola, l'inconfutabile efficacia dimostrativa, al di là del ragionevole dubbio, attribuitale dai giudici di merito, tanto più ove letta in relazione ai diversi elementi pure riferiti nella sentenza impugnata. Viene in primo luogo in considerazione, a tale riguardo, il successivo, del tutto collaborativo comportamento della ricorrente, che fornisce agli agenti le chiavi del suo appartamento una volta acquisito il decreto di perquisizione necessario a consentire l'accesso al luogo di sua privata dimora. Inoltre, in assenza di ulteriori elementi di riscontro circa la consapevolezza della ricorrente in ordine allo stato di latitanza del P., la ricostruzione alternativa del fatto proposta dalla stessa ricorrente il fidanzato le aveva riferito che lo stesso P. aveva avuto un litigio con la convivente non appare sfornita di propria plausibilità pratica. Va al riguardo considerato che lo stesso giudice chiamato a decidere sulla convalida dell'arresto in flagranza della ricorrente disattese la richiesta, motivando tale decisione con la mancata dimostrazione della consapevolezza della ricorrente circa lo stato di latitanza dei P., raggiunto da misura cautelare della custodia in carcere solo venti giorni prima dell'accertamento e senza che di tale misura venisse data notizia sui giornali, e con il comportamento di piena collaborazione della D’A., che aveva immediatamente fornito agli agenti operanti le chiavi del suo appartamento una volta ottenuto in visione il pertinente provvedimento giudiziario. Permanendo un dubbio ragionevole circa la sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato e non risultando acquisibili ulteriori elementi probatori, si impone pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. Risultano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.