Questioni sul dolo del delitto di omesso versamento IVA

In tema di omesso versamento dell’IVA dichiarata, il dolo è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, in quanto la norma non richiede, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato. La scelta di non pagare prova il dolo i motivi della scelta, ivi compresa la crisi di liquidità, non lo escludono.

Questo il principio di diritto che si rinviene nella pronuncia in commento della Terza Sezione Penale. Ancora sulla crisi di liquidità Per l’ennesima volta la Suprema Corte è chiamata a pronunciarsi sulla eventuale rilevanza della crisi di liquidità al fine di verificare la sua incidenza sulla sussistenza di penale responsabilità in ordine alla violazione dell’art. 10 ter d.lgs. 74/2000. La questione, come noto, è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali, invero non sempre allineate che, tuttavia, hanno ormai consentito di individuare una serie di principi ovvero di linee guida. Affinché la crisi di liquidità possa escludere la penale rilevanza occorre infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, che l’imputato assolva ad un rigoroso onere di allegazione che involve non solo l’aspetto della non imputabilità della crisi che improvvisamente ha investito la società del contribuente medesimo, ma anche la circostanza che detta crisi non poteva essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Il contribuente deve cioè provare di non aver reperito altrimenti le risorse economiche e finanziarie per adempiere all’obbligo tributario, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche dannose per il suo patrimonio personale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà ed al medesimo non imputabili. Come correttamente si è osservato trattasi di un onere di allegazione molto rigoroso e nel concreto assai difficile da assolvere, una sorta di probatio diabolica . Il caso di specie e la contestazione sul dolo. Nel caso di specie il ricorrente, nei motivi di impugnazione, accentra la propria attenzione sull’elemento psicologico del reato, in quanto lo stesso non avrebbe agito animato dalla intenzione di non adempiere all’obbligo fiscale, bensì si sarebbe trovato di fronte alla scelta se adempiere a tale obbligo ovvero garantire la continuità aziendale, pagando dipendenti e fornitori. Mancherebbe dunque il fine di evadere il fisco, con conseguente insussistenza del dolo richiesto al fine della integrazione della fattispecie di cui all’art. 10 ter, d.lgs. n. 74/2000. Peraltro, osserva l’imputato, la crisi aziendale era di tale gravità che poco dopo era stato costretto a chiedere la messa in liquidazione della società. La chiusura della Corte. Nessuno spazio e nessuna speranza lasciano le argomentazioni della Corte sull’elemento soggettivo del delitto in esame. Trattasi infatti, rammentano gli Ermellini, di reato a dolo generico, per la sussistenza del quale non è assolutamente necessario che il soggetto agente agisca con il fine di evadere le imposte. La scelta di non pagare è già prova sufficiente del dolo generico, che è l’elemento soggettivo tipico del reato contestato. Il dolo generico, quindi, può essere escluso sola dalla forza maggiore che incide sulla suitas della condotta ed è costituta da una vis cui resisti non potest”. Nei reati omissivi impropri, qual è quello in esame, dunque, la forza maggiore è rappresentata dalla assoluta impossibilità di adempiere, ma non dalla mera difficoltà, anche grave, nel porre in essere il comportamento omesso. Un metro di giudizio estremamente rigoroso Alla luce di tali linee guida la Cassazione detta una serie di regole concrete a il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore b la mancanza di provvista non può essere addotta a sostegno della forza maggiore qualora il mancato pagamento sia comunque dettato da una scelta imprenditoriale di non pagare alle singole scadenze, andando a creare dunque una situazione di illegittimità c non si può invocare la forza maggiore se il mancato pagamento al termine finale è stato causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento delle singole scadenze mensili e dunque da una pregressa situazione di illegittimità d l’inadempimento tributario può essere ricondotto alla forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per fatti indipendenti dalla sua volontà e che lo stesso non può controllare. porta al rigetto del ricorso. Orbene, l’applicazione dei suddetti principi al caso in esame porta alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dall’imputato, atteso che lo stesso aveva sostenuto che il mancato versamento dell’Iva era comunque riconducibile ad una scelta imprenditoriale volta a garantire la sopravvivenza della società. Oltre l’onore di allegazione occorre ora l’impossibilità di scelta. Se già l’assolvimento degli oneri di allegazione previsti dalla giurisprudenza di legittimità rendeva la via verso l’assoluzione per crisi di liquidità assolutamente impervia e di difficilissima percorribilità, ora detta strada sembra definitivamente sbarrata dalla frana causata dalla pronuncia in commento. Il cittadino, onde dimostrare la sussistenza della causa maggiore, non potrà più sostenere di aver dovuto optare per la sopravvivenza della azienda, pagando dipendenti e fornitori, e dunque di aver destinato alla stessa le uniche risorse disponibili anziché adempiere alla obbligazione tributaria, perché così dicendo riconoscerebbe – come accaduto nel caso in esame – di aver compiuto comunque una scelta imprenditoriale, scelta che per sua natura è ontologicamente incompatibile con la sussistenza della causa di forza maggiore. Laddove vi è scelta, rammenta la Corte, vi è dolo generico, è esclusa la forza maggiore e, dunque, non può essere esclusa la penale responsabilità.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 giugno – 18 settembre 2015, n. 37873 Presidente Squassoni – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Il sig. M.R. ricorre per l'annullamento della sentenza del 01/10/2014 della Corte di appello di Milano che ha confermato la condanna alla pena di sei mesi di reclusione inflitta il 18/01/2012 dal Tribunale di quello stesso capoluogo per il reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno di imposta 2006 per l'importo di Euro 224.021,00. 1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b , cod. proc. pen., erronea applicazione della norma incriminatrice con riferimento all'elemento soggettivo del reato che la Corte di appello ha ritenuto senz'altro sussistente a prescindere dalla crisi aziendale già sussistente alla fine dell'anno 2007 , dalle sue reali intenzioni, nemmeno oggetto di indagine, e dal fatto che egli stesso aveva dichiarato al fisco il debito delle società presentando la dichiarazione annuale. 1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e , cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato sul rilievo che l'imputato aveva preferito omettere il versamento del tributo per garantire la continuità aziendale. Tale passaggio, peraltro, contraddice l'affermazione secondo la quale, invece, alla fine del 2007 non v'era alcuna crisi di impresa che potesse giustificare l'omesso versamento dell'imposta affermazione oltremodo errata perché la società era stata posta in liquidazione nei primi mesi del 2009 . Né è corretto, prosegue, desumere dalla richiesta di concordato preventivo la volontà di proseguire la gestione societaria, conclusione che il contenuto del ricorso presentato ai sensi degli artt. 160 e 161, legge fallimentare, esclude. 1.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b , cod. proc. pen., violazione dell'art. 133, comma 1, n. 3 , cod. pen., e deduce, al riguardo, che la decisione di proseguire l'attività aziendale avrebbe dovuto essere valutata sotto un profilo positivo e non negativo. Considerato in diritto 2.Il ricorso è inammissibile perché generico e totalmente infondato. 3.Gran parte delle questioni sollevate con l'odierno ricorso trovano risposta negli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757, secondo la quale a il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte b la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto c il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già dall'acquirente del bene o del servizio l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. L'introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta. Sviluppando e riprendendo il tema della crisi di liquidità” d'impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014 Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055 . 4. Tanto premesso, si osserva che nel caso di specie le allegazioni difensive sono del tutto generiche e non solo non riescono a supportare le eccezioni di insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, che si contesta essere stata sbrigativamente affermata dalla Corte territoriale, ma si pongono in netto contrasto con gli insegnamenti di questa Suprema Corte. 4.1.Occorre a tal fine sgombrare il campo da un equivoco di fondo che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l'intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto. 4.2.Quando il legislatore ha voluto attribuire all'elemento soggettivo del reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo espresso, escludendo, per esempio, dall'area della penale rilevanza le condotte solo eventualmente e dunque non intenzionalmente volte a cagionare l'evento art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 , incriminando, invece, quelle ispirate da un'intenzione che va oltre la condotta tipizzata i reati a dolo specifico , attribuendo rilevanza allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata per es., art. 424 cod. pen. , assegnando al momento finalistico della condotta stessa il compito di individuare il bene offeso artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270-bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen. . 4.3.Il dolo del reato in questione è integrato, dunque, dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato. 4.4.Gli argomenti utilizzati dal ricorrente a sostegno della pretesa insussistenza del dolo appaiono, alla luce della considerazioni che precedono, frutto di un'operazione dogmaticamente errata che tende ad attrarre nell'orbita del dolo generico requisiti che, per definizione, non gli appartengono e che si collocano piuttosto nell'ambito dei motivi a delinquere o che ne misurano l'intensità art. 133 cod. pen. . 4.5.La scelta di non pagare prova il dolo i motivi della scelta non lo escludono. 4.6.Il dolo non sussiste in caso di forza maggiore che esclude la suitas della condotta. Secondo l'impostazione tradizionale, essa si identifica nella vis cui resisti non potest ”, a causa della quale l'uomo non agit sed agitur” i Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca, Rv. 100042 Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904 Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855 . 4.7.Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva solo come causa esclusiva dell'evento, mai quale causa concorrente di esso Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495 Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018 Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018 essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione, dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131 Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213 Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858 Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191 . 4.8.Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986 Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880 Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805 Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232 Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495 Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822 . 4.9.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l'assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856 . 4.10.Ne consegue che a il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta b la mancanza di provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità c non si può invocare la forza maggiore quando l'inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità d l'inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non ha potuto tempestivamente ponzi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. 4.11.Alla luce delle considerazioni che precedono, appare in tutta la sua inconsistenza e genericità la tesi difensiva. 4.12.Il ricorrente afferma con chiarezza di aver optato per il mancato versamento dell'IVA in base ad una scelta imprenditoriale che gli appartiene, ammettendo, così, la suitas della condotta e di versare in una delle condizioni che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ritenuto inidonea a integrare la causa di forza maggiore. Aldilà di generiche indicazioni sulla crisi di impresa egli non va. 4.13.Né ha rilevanza il fatto che a distanza di oltre un anno dalla scadenza del termine egli abbia deciso di chiedere il concordato preventivo, poiché, aldilà delle ragioni sottese a tale decisione, il termine per il versamento delle somme che avrebbero dovuto essere accantonate sin dal 2006 scadeva il 27/12/2007, come correttamente ed esaustivamente evidenziato dalla Corte di appello, ed esso è stato scientemente ed infruttuosamente lasciato trascorrere, a prescindere dall'intima adesione dell'imputato a tale decisione. 5.È proposto per ragioni non consentite il terzo motivo di ricorso. 5.1.Il ricorrente condannato al minimo della pena previa concessione delle circostanze attenuanti generiche lamenta la mancata ulteriore attenuazione della condanna eccependo la svalutazione del parametro intensità del dolo di cui all'art. 133, comma 1, n. 3 , cod. pen., perché la Corte avrebbe dovuto considerare le ragioni dell'omissione perché finalizzata, secondo quanto affermano i Giudici distrettuali, a consentire la prosecuzione dell'attività. 5.2.La Corte di appello ha motivato la conferma della condanna inflitta in primo grado sul rilievo dell'entità oggettiva dell'evasione non risulta - né l'imputato lo deduce - che lo specifico tema oggi devoluto sia stato già sottoposto all'attenzione della Corte territoriale. 5.3.La scelta del giudice di merito di privilegiare uno degli indici di cui all’art. 133, cod. pen., non è sindacabile in questa sede, né l'imputato può sollecitarne una diversa considerazione, fondata, oltretutto, su allegazioni fattuali non ammissibili in questa sede. 5.4.Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 5.5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.