Violenza sessuale sulla figlia, ma il padre sostiene di aver subito abusi da ragazzo: nessuna riduzione della pena

Respinta l’obiezione difensiva del legale dell’uomo, tutta centrata sulla consulenza di parte che avrebbe attestato il fatto che egli aveva subito a sua volta abusi da ragazzo. Tale elemento, anche se acclarato, non rende meno grave la condotta tenuta nei confronti della figlia minorenne.

Casa come lo scenario di un incubo, purtroppo reale, concreto, tangibile. Davvero drammatica – e difficile da sopportare e da superare – la vicenda vissuta da una ragazzina, rimasta vittima di un ‘orco’ insospettabile, il padre. Per mesi la figlia ha dovuto subire le violenze sessuali messe in atto dal genitore. Poi, finalmente, la liberazione, con l’arresto del padre, condannato, definitivamente, ora, a sette anni di reclusione. Colpevolezza terribile, quella dell’uomo, che non può essere attenuata dal fatto che lui stesso lamenti di aver subito abusi, da ragazzo, da parte di un genitore. Cassazione, sentenza n. 37078, terza sezione Penale, depositata oggi . Abusi. Linea di pensiero comune per i giudici di merito l’uomo è responsabile, in maniera evidente, di un reato orrendo, abusi sessuali continuati mediante rapporti completi commessi in danno della figlia . Consequenziale la condanna alla pena di sette anni di reclusione . Respinte tutte le obiezioni mosse dal difensore dell’uomo. Obiezioni, però, che vengono riproposte nel contesto della Cassazione. Elemento centrale, per il legale, è il fatto – certificato dal consulente di parte – che il suo cliente sia stato a sua volta abusato, in età giovanile, dal genitore . Tale violenza , per quanto datata, avrebbe dovuto essere considerata , secondo il legale, dai giudici di merito per valutare l’ intensità del dolo negli abusi realizzati dall’uomo sulla figlia. Bestiale. Ogni considerazione, però, si rivela inutile, ribattono i giudici del ‘Palazzaccio’, per la semplice ragione che la condotta tenuta dall’uomo è stata bestiale egli ha ripetutamente abusato, in modo grave, della minore, che, peraltro, era comunque desiderosa di riavere la figura paterna di cui era rimasta priva . Difatti, l’uomo ha tradito gravemente la figlia, disilludendola nella sua speranza e generando in lei il convincimento di essere stata soltanto l’oggetto dei più turpi istinti del genitore . Tutto ciò, ossia la terribile gravità del reato desunta dalle modalità dell’azione, considerata particolarmente odiosa, e dalla gravità del danno cagionato alla persona offesa , è assolutamente preponderante rispetto alla presunta difficoltà psichica del genitore in qualità di soggetto a sua volta abusato . Consequenziale la conferma della condanna dell’uomo a sette anni di reclusione .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 giugno – 15 settembre 2015, n. 37078 Presidente Franco – Relatore Orilia Ritenuto in fatto Con sentenza 18.2.2014 la Corte d'Appello di Torino ha confermato la colpevolezza di B.F. in ordine al reato di atti sessuali continuati mediante rapporti vaginali completi , commesso in danno della figlia quattordicenne E. artt. 81 cpv e 609 quater comma 1 n. 2 cp . Secondo la Corte di merito, dalla consulenza psichiatrica di parte svolta dal dott. B. non si ricavavano validi elementi per confermare che l'imputato era stato a sua volta abusato dal genitore e soprattutto per convalidare le conclusioni in punto di incapacità di intendere e di volere sostenute dalla difesa. Ha però rideterminato la pena in anni sette di reclusione, limitandosi a ridurre a due anni e sei mesi di reclusione l'aumento per la continuazione interna in considerazione del corretto comportamento processuale e del pentimento manifestato. L'imputato, tramite il difensore, propone ricorso per cassazione dolendosi del trattamento sanzionatorio. Considerato in diritto Con un'unica censura, denunzia, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b ed e cpp, la violazione degli artt. 192 cpp, 132 e 133 cp nonché la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione secondo il ricorrente, la condizione di soggetto a sua volta abusato in età giovanile accertata dal consulente di parte dott. B. avrebbe dovuto essere valutata dai giudici di merito ai fini dell'intensità dei dolo, che pertanto doveva ritenersi attenuato e richiama in proposito una serie di passaggi della consulenza di parte, sottoponendo a critica le argomentazioni utilizzate dalla Corte dì merito per disattendere le conclusioni del'elaborato peritale. La censura - che investe solo il trattamento sanzionatorio - è infondata. Come costantemente affermato da questa Corte, la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità dei giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. tra le varie, cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1182 dei 17/10/2007 Ud. dep. 11/01/2008 Rv. 238851 Sez. 6, Sentenza n. 481 del 05/12/1991 Ud. dep. 20/01/1992 Rv. 188951 cfr. ancora, più di recente, Sez. 5, Sentenza n. 5582 del 30/09/2013 Ud. dep. 04/02/2014 Rv. 259142 . Ebbene, nel caso di specie, la Corte di merito ha rilevato l'insussistenza di elementi tali da giustificare un trattamento benevolo, sottolineando la ripetizione degli abusi molto gravi nei confronti della minore, della quale l'imputato si era sempre completamente interessato, pur avendo la possibilità di aprire un dialogo con lei, stante l'entusiasmo e la disponibilità della giovane, particolarmente desiderosa di riavere la figura paterna di cui era rimasta priva. Un tale comportamento, secondo l'apprezzamento della Corte d'Appello ha tradito gravemente la figlia disilludendola nella sua speranza e verosimilmente ingenerando nella stessa il convincimento di essere stata soltanto l'oggetto dei più turpi istinti dei genitore la Corte territoriale ha altresì considerato l'assenza di risarcimento del danno e, sulla base di tali rilievi ha reputato congrua la pena base di otto anni fissata dal primo giudice. La Corte d'Appello, dunque, nell'esercizio dei suo potere discrezionale, ha ritenuto di valorizzare precisi parametri indicati nell'art. 133 cp, cioè la gravità dei reato desunta dalle modalità dell'azione, considerata particolarmente odiosa, e dalla gravità del danno cagionato alla parte offesa . Come si vede, si è in presenza di un ragionamento dei tutto esauriente, giuridicamente corretto e come tale inattaccabile in questa sede Nessun obbligo sussisteva per la Corte d'Appello di valutare positivamente ai fini della determinazione della pena lo stato di soggetto che era stato a sua volta vittima di abusi situazione che peraltro la stessa Corte aveva ritenuto non provata corollario delle regole sopra enunciate è infatti il principio che anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia individuato, tra gli elementi di cui all'art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell'imputato cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19907 del 19/02/2009 Ud. dep. 11/05/2009 Rv. 244880 Sez. 1'', n. 6200 del 3.3.1992 . Corrisponde pertanto a mere valutazioni alternative di merito, non traducibili in censure di legittimità, la sottolineatura di altri elementi di valutazione da parte del nuovo difensore ai fini del trattamento sanzionatorio sotto il profilo dell'intensità del dolo, sfruttando un argomento che in appello era stato il perno della tesi - rivelatasi infondata - della incapacità di intendere e di volere. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al rimborso in favore delle parti civili Bagnasco Andreina e Bonelli E. delle spese dei grado, che liquida in complessivi €. 3.600,00 oltre spese generali e accessori di legge.