Indebita compensazione: eccedere il tetto di compensazione non è solo violazione fiscale

Un credito verso l’Erario, per quanto certo, è esigibile e, dunque, utilizzabile per la compensazione solo se riguarda il periodo di imposta in riferimento al quale è consentita la compensazione e in misura non eccedente il limite stabilito dalla legge diversamente, la compensazione è indebita e costituisce reato tributario.

Il caso. Il legale rappresentante di una società per azioni, indagato per violazioni delle leggi tributarie penali, subiva un decreto di sequestro per equivalente. L’indagato, avverso il decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari, proponeva riesame che confermava il sequestro. Più precisamente, il Tribunale del riesame riconosceva che il credito nei confronti dell’Erario fosse indiscutibile e certo perché derivante da ritenute d’acconto effettivamente operate nei confronti della società e versate all’Erario riteneva, tuttavia, che la compensazione avesse ecceduto il tetto previsto dalla legge. Di qui il ricorso davanti al giudice di legittimità per contestare la sussistenza del fumus commissi delicti , lamentandone il difetto dei requisiti che integrano il reato di indebita compensazione la cui interpretazione e applicazione è stata ritenuta errata dal ricorrente. Il credito c’è ma non può essere compensato. La notizia di reato prendeva avvio dalla segnalazione di avvenuta compensazione di ritenute effettivamente subite dal contribuente ma eccedenti il limite massimo ammesso in compensazione. In discussione vi era la sussistenza del reato previsto dall’art. 10 quater, d.lgs. n. 74/2000 recante Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, così come introdotto dal comma 7 dell'art. 35, d.l. n. 223/2006 . La norma incrimina la indebita compensazione , ravvisabile nella condotta di chi non versa somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti. La norma rinvia all’art. 10 bis che punisce l’omesso versamento di ritenute non certificate. Non spettante” significa non compensabile”? Nel caso esaminato si tratterebbe di eccesso di compensazione cioè di credito inerente anni precedenti utilizzato dal contribuente in compensazione oltre la soglia consentita dalla legge. Secondo il ricorrente il credito non sarebbe non spettante ma solo non compensabile per la parte eccedente, con l’effetto che, non realizzato il requisito della non spettanza” – che configura l’ipotesi criminosa – , secondo tale tesi, residuerebbe solo una questione fiscale ma non di rilevanza penale. Cosa si intende per indebita compensazione. La norma punisce la condotta di chi, nelle dichiarazioni di imposta, realizza una compensazione di crediti non spettanti o non esistenti, per un ammontare superiore, per ciascun periodo di imposta, ad una certa soglia. Se la comprensione del concetto di credito inesistente è intuitiva e poco problematica, essendo inesistente quel credito per cui non sussistono elementi costitutivi o giustificativi più impegnativo è il concetto di credito non spettante . È stato chiarito che credito non spettante è non solo quello riferito ad un altro soggetto – quindi, soggettivamente inesistente – ma anche quello in pendenza di una condizione al cui avveramento è subordinata l’esistenza del credito. In quest’ultima ipotesi è da precisare che trattandosi di fattispecie a formazione progressiva, finché la condizione sospensiva sia pendente, il credito non può dirsi sorto e, quindi, è inesistente. In definitiva, per credito non spettante si intende quello che non sia ancora o non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra contribuente ed Erario. Non basta la certezza dell’an e del quantum del credito verso l’Erario. La Suprema Corte ha già avuto modo di precisare che il credito tributario non spettante , di cui alla norma penale, è quel credito che, per qualsiasi ragione normativa sia non ancora utilizzabile o non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra contribuente ed Erario, nonostante risulti con certezza la sua esistenza e il suo ammontare. La ragione del limite all’utilizzabilità è rinvenuta in esigenze di contabilità pubblica che hanno indotto a stabilire delle soglie di compensazione annuali, oltre le quali non è ammessa la compensazione e il credito verso l’Erario, pur esistente e determinato, può essere utilizzato in altri modi. Allora, quando un credito è esigibile? L’esigibilità è una condizione che si verifica quando vi è la liquidazione pratica del rimborso o che si verifica nel periodo di imposta successivo nel quale è possibile procedere a compensazione nei limiti previsti. Usato un credito non spettante per la compensazione. In definitiva, precisa la Corte che il contribuente indagato per il reato tributario aveva utilizzato in compensazione un credito verso l’Erario. Tale credito era certamente esistente ma non era utilizzabile per la compensazione per la parte eccedente il limite stabilito dalla legge. Non era, per dirla in altri termini, spettante al momento in cui era avvenuta la compensazione. La c.d. legge finanziaria 2001 legge n. 388/2000 stabilisce un tetto oltre il quale il credito non può essere compensato, per quella parte, appunto eccedente, del credito può essere chiesto il rimborso o può essere postergato in compensazione l’anno successivo. Per quanto certo e determinato, quel credito non è ancora esigibile nella parte in cui eccede il limite ex lege . E averlo utilizzato per compensare crediti e debiti verso l’Erario è condotta che integra il reato di indebita compensazione perché, di fatto, realizza una fraudolenta sottrazione di pagamento nei confronti dell’Erario in quanto costituisce un omesso versamento di somme detenute dal contribuente per conto dello Stato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 luglio – 9 settembre 2015, n. 36393 Presidente Fiale – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Genova, pronunciando sulla richiesta di riesame, proposta da G.I. , in proprio e quale legale rappresentante della Figenpa spa, del decreto di sequestro emesso dal GIP del Tribunale di Genova il 24.2.2015, in relazione al reato di cui all'art. 10 quater D.Lvo 74/2000, confermava il provvedimento impugnato, con condanna alle spese del procedimento. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, G.I. , deducendo l'unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen Nullità dell'ordinanza impugnata per erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 10 quater D.Lgs. 74/00 sotto il profilo della ritenuta sussistenza erronea del fumus delicti . Il ricorrente ripercorre i fatti di causa per evidenziare l'insussistenza del fumus commissi delicti . L'emissione del decreto di sequestro di equivalente nasce dalla segnalazione di avvenuta compensazione di ritenute effettivamente subite dal contribuente, ma eccedenti il limite massimo ammesso in compensazione. Il tribunale del riesame, pur riconoscendo che il credito fosse indiscutibile e certo, in quanto derivante da ritenute di acconto effettivamente operate nei confronti della società e regolarmente versate all'Erario, ritiene che la sua porzione eccedente il tetto di compensabilità, sia solo per tale circostanza non spettante. In sostegno di tale tesi il Tribunale richiama la sentenza n. 3367 del 26.1.2015 di questa sezione. Detta sentenza ritiene che vada qualificato quale credito tributario non spettante, ai fini del reato di cui all'art. 10 quater, quel credito che, seppur certo nella sua esistenza e nel suo ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile o non più utilizzabile in operazioni finanziare di compensazione nei rapporti tra contribuente ed erario , ciò per evidenti ragioni di contabilità pubblica . Il ricorrente ritiene però, che la sentenza sopra richiamata riguardava una compensazione IVA tra imposte dovute per l'anno 2006 e IVA a credito che sarebbe stata esigibile solo nel 2007. Si sarebbe trattato, quindi, di un credito esistente ma non esigibile. Il caso in questione, riguarda invece, l'eccesso di compensazione, a causa del limite posto dall'art. 34 L. 388/2000. Si tratterebbe di un credito inerente anni precedenti e non contestato, ma la stessa Agenzia delle Entrate avrebbe rilevato che il credito avrebbe potuto essere preteso con domanda di rimborso o postergato in compensazione rispetto a debiti di imposta dell'anno successivo, quindi non compensabile per l'eccedenza oltre il limite di Euro 516.456,90, limite successivamente aumentato ad Euro 700.000,00. Secondo l'interpretazione del ricorrente tale credito non può essere considerato non spettante, come richiesto dall'art. 10 quater, pertanto la fattispecie integrerebbe solo una violazione fiscale e non una violazione penale. Nessun dubbio vi sarebbe sull'esistenza del credito. Inoltre se il legislatore avesse voluto comprendere, nella norma incriminatrice, anche la compensazione di debiti di imposta con crediti esistenti ed esigibili ma non compensabili per superamento del tesso di compensabilità si sostiene in ricorso avrebbe usato l'espressione crediti comunque non compensabili e non l'espressione non spettanti . Sarebbe pacifico, sostiene il ricorrente, che l'espressione crediti non spettanti , riguarderebbe i crediti non spettanti o immediatamente esigibili, al momento della compensazione. Il credito in questione sarebbe semplicemente non compensabile, al di là di un certo importo, ma certamente non può definirsi non spettante. Anche attraverso un'interpretazione sistematica si perverrebbe alla stessa conclusione. La ratio della norma si evidenzia è quella di colpire le condotte fraudolente e le omissioni di pagamento al di sopra di una certa soglia. Le ipotesi di omesso pagamento previste dagli artt. 10 bis e 10 ter sono riconducibili al genus dell'appropriazione indebita, ossia di chi ometta di versare denaro detenuto per conto dell'erario. L'inserimento con il D.L. 233/06, della ipotesi di indebita compensazione, laddove si interpreti il termine crediti non spettanti in modo da inserirvi anche quello relativo al caso di specie, equivarrebbe a ritenere la norma una forzatura rispetto alla ratio ispiratrice della riforma penale tributaria del 2000. Infatti mentre la compensazione di crediti inesistenti comporta una condotta fraudolenta, un ampliamento della categoria dei crediti non spettanti colpirebbe condotte estranee ad intenti fraudolenti e non arrecanti pregiudizio economico all'Erario, in quanto la compensazione sarebbe avvenuta con crediti certi ed esigibili, mediante rimborso, senza sottrarre nulla all'erario. Non vi sarebbe pregiudizio per l'Erario che ha già incassato la somma compensata. Ricorda, ancora il ricorrente che lo Statuto del contribuente, all'art. 8 co. 1 prevede espressamente, senza alcun limite, la possibilità di estinzione dei debiti di imposta con i correlativi crediti del contribuente. Infine ritiene il ricorrente che, considerando il principio di offensività, nel caso di specie non sia stato arrecato alcun danno. Il fatto che i rimborsi fiscali seguano un iter burocratico che ne allunga il loro soddisfacimento, non può certamente essere assunto quale parametro dell'esistenza di un danno erariale. La violazione commessa da Figenca sarebbe esclusivamente fiscale. Chiede, pertanto, l'annullamento e/o la cassazione dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va rigettato. 2. Nel caso di specie il contribuente ha utilizzato in compensazione un credito, certamente, esistente ma non utilizzabile in compensazione per la parte eccedente il limite stabilito dalla legge. La norma di cui all'art. 34 l. 388/2000, riportata dallo stesso ricorrente, prevede che oltre il limite di Euro 516.456,90 il credito non possa essere compensato, ma debba essere chiesto a rimborso o postergato in compensazione l'anno successivo. Ciò significa che il credito, certo e determinato, nel suo ammontare complessivo, per la parte eccedente i 516.456,90 Euro non è ancora esigibile. Per poterlo esigere occorre attendere la liquidazione della pratica di rimborso o attendere il periodo di imposta successivo per procedere alla compensazione. In tale senso è chiaro il dictum di cui alla sentenza n. 3367 del 26.6.2014, dep. il 26.1.2015, Napoli, rv. 262003 che il Collegio ritiene di dover ribadire-secondo cui in tema di reati tributari ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 10 quater del D.Lgs. n. 74 del 2000, per credito non spettante si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza ed esatto ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile ovvero non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l'Erario. Fattispecie in cui è stato ritenuto penalmente rilevante l'utilizzo nella dichiarazione Iva, di un credito esistente ma detraibile solo nell'anno successivo . Come si rileva condivisibilmente in tale precedente di questa Corte la norma incriminatrice punisce la condotta di chi utilizzi in compensazione nelle dichiarazioni di imposta, crediti non spettanti ovvero inesistenti, per un ammontare superiore, per ogni periodo di imposta, ad Euro 50.000,00 precisandosi che mentre il concetto di credito inesistente è di facile ed intuibile identificazione essendo chiaramente tale il credito del quale non sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi , la nozione di credito non spettante , non può essere ricondotta, come invece ritenuto dal ricorrente, al concetto di mera non spettanza soggettiva essendo evidente che il portare, eventualmente, in detrazione un credito tributario, pur astrattamente esistente ma riferito ad altro soggetto, integra gli estremi della compensazione con un credito inesistente o, meglio, inesistente relativamente alla posizione del soggetto che operi la compensazione ovvero alla pendenza di una condizione al cui avveramento sia subordinata l'esistenza del credito infatti, anche in questo caso, laddove si tratti di condizione sospensiva, intanto che essa sia pendente, il credito, trattandosi di fattispecie e formazione progressiva, ancora non è sorto esso è, pertanto, inesistente -, mentre, se si trattasse di condizione risolutiva, una volta verificatasi quest'ultima, il credito stesso sarebbe definitivamente venuto meno . Deve ritenersi pertanto concordemente con quanto già affermato nella sentenza 3367/2015 che sia credito tributario non spettante , ai fini di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, quel credito che, come nel caso che ci occupa, pur certo nella sua esistenza ed ammontare sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile ovvero non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l'Erario. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.