Dona alla figlia una parte del patrimonio dopo la verifica fiscale: scattano incriminazione e sequestro per equivalente

La condotta penalmente rilevante ai fini del delitto di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000 può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto in parte, o comunque a rendere più difficile una eventuale procedura esecutiva. La fattispecie rientra nel novero dei reati di pericolo, avendo il legislatore, con tale ipotesi incriminatrice, stabilito una linea di tutela prodromica delle pretese del Fisco, attraverso l’illiceità penale delle condotte che pongano a repentaglio l’obbiettivo di realizzazione della pretesa tributaria.

Questo il principio di diritto affermato dalla Terza sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 36378/15, depositata il 9 settembre. Atto di liberalità o atto criminale? Un anziano imprenditore sottoposto a verifiche fiscali, con conseguenti notifiche di avvisi di accertamento, pochi mesi dopo, con atto di donazione trasferisce la proprietà di un magazzino e della quota di 1/3 di un negozio alla propria figlia, senza tuttavia, con tale condotta, spogliarsi di tutto il proprio patrimonio immobiliare. Nei confronti del medesimo scatta l’incriminazione per violazione dell’art. 11, d.lgs. n. 74/2000, mentre i beni immobili oggetto della donazione vengono sottoposti a sequestro preventivo per equivalente. Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva respinto l’impugnazione proposta dalla figlia, quale soggetto terzo interessato ad ottenere la restituzione dei beni, propone ricorso per cassazione la stessa congiunta. Deduce la ricorrente che il Tribunale aveva acriticamente riscontrato nella donazione il fumus commissi delicti , senza considerare quanto addotto dalla difesa, ossia che il padre avesse agito per liberalità, mosso da motivi di salute e senza alcun intento fraudolento incompatibile con la donazione realizzata con atto pubblico e che, peraltro, tale atto di disposizione non aveva esaurito il patrimonio dell’indagato. Ad ogni buon conto, rimarcava la ricorrente, le ragioni del Fisco avrebbero trovato agevole tutela con un’azione revocatoria, facilmente esperibile avverso un atto a titolo gratuito, non occorrendo la prova del consilium fraudis del terzo. Dalla ricostruzione della fattispecie astratta Per risolvere il caso proposto, la Cassazione parte dalla ricostruzione dell’ambito applicativo della norma invocata dalla pubblica accusa l’art. 11, d.lgs.n. 74/2000. Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte si configura allorché il contribuente, già sottoposto a verifica fiscale, ponga in essere un qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale dello stesso, riduzione da valutarsi con giudizio operato ex ante , a prescindere dall’effettivo verificarsi di detto evento. La fattispecie, prosegue la Cassazione, è strutturata come reato di pericolo finalizzato a fornire una tutela avanzata delle pretese fiscali con la punizione di condotte prodromiche all’effettivo verificarsi di un danno per la procedura di riscossione coattiva, in quanto la condotta delineata dal legislatore non prevede come presupposto neppure l’inizio di una procedura di esecuzione forzata da parte della Amministrazione Finanziaria dello Stato. al riverberarsi di tali principi nel caso di specie Percorrendo un corretto iter logico motivazionale, gli ermellini si preoccupano poi di applicare gli appena menzionati principi alla fattispecie in esame ponendoli a confronto con le specifiche doglianze contenute nei motivi di impugnazione. A tale fine, la Cassazione si pone il problema di verificare l’effettiva applicabilità al caso di specie del precedente giurisprudenziale Cass., n. 19524/13 richiamato dalla ricorrente per affermare l’inidoneità di un singolo atto dispositivo nel caso di specie la donazione a realizzare la condotta incriminata. Secondo la Corte, il richiamo al proprio precedente non è decisivo, in quanto in tale pronuncia ci si limitava ad affermare la maggior efficacia di una pluralità di atti, di regola, rispetto al compimento di un unico atto, senza tuttavia escludere che anche un singolo atto potesse essere ritenuto idoneo a sottrarre i beni alle pretese del Fisco. Pertanto ed anche in considerazione del rilievo che, seppur con un unico atto, gli immobili oggetto di trasferimento erano stati più di uno, conclude la Cassazione, il precedente giurisprudenziale non è in grado di escludere la sussistenza della fattispecie nel caso in esame. Sussistenza che, per contro, il Tribunale ha correttamente ricostruito e motivato in conformità ai principi generali interpretativi dettati dalla stessa Cassazione sull’art. 11, d.lgs. n. 74/2000, non essendo peraltro consentita, in sede di legittimità, una diversa valutazione degli elementi di fatto oggetto del giudizio operato dal giudice del riesame, nel corso del quale, comunque, tutti gli elementi sottoposti alla loro attenzione risultavano correttamente disaminati. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso con condanna al pagamento della somma di € 1.000,00 alla cassa delle ammende. fino all’incriminazione della donazione. Senza dubbio corretta la precisazione della Cassazione sul precedente giurisprudenziale richiamato dalla difesa, la lettura integrale del quale, tuttavia, avrebbe dovuto indurre ad una maggiore ed ulteriore riflessione. Nella sentenza 19524/2013 la stessa terza sezione aveva infatti osservato Il compimento di un unico atto di trasferimento nella maggior parte dei casi può rivelarsi inidoneo al fine di sottrarre i beni che ne formano oggetto alle pretese del fisco, essendo gli stessi agevolmente recuperabili tramite l'azione revocatoria citata dagli stessi ricorrenti, che sarebbe stata posta in essere nei loro confronti dall'erario. Una pluralità di passaggi proprietari, che peraltro nel caso in esame si palesa del tutto carente di qualsiasi giustificazione, rende invece più difficile l'individuazione del destinatario finale dei beni ed il loro recupero alle ragioni dell'erario . Come non riconoscere che, effettivamente, nel caso preso in esame, l’atto di donazione in favore della figlia sia atto singolo, di immediata evidenza siccome posto in essere alla luce del sole” e, dunque, difficilmente qualificabile come fraudolento, a meno di non voler privare di alcuna valenza detto termine e voler riconoscere tale natura a qualunque atto astrattamente idoneo a sottrarre beni a garanzie delle pretese del Fisco? Tutto ciò soprattutto in considerazione del rilievo che, con la donazione incriminata, l’indagato neppure si era spogliato di tutto il proprio patrimonio. Vero è che la pronuncia in esame ha ad oggetto un ricorso avverso una misura cautelare reale e, dunque, un giudizio non di merito, ma limitato alla verifica della sussistenza del fumus commissi delicti , come più volte ricorda la stessa Corte, incidentalmente, lasciando aperta la via ad un diverso esito dello stesso giudizio di merito, ma resta la parvenza di un eccessivo rigore volto a sanzionare qualunque atto, anche non fraudolento, che riduca, anche senza eliderlo completamente, il patrimonio del contribuente debitore verso il Fisco.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 luglio – 9 settembre 2015, n. 36378 Presidente Squassoni – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1 Il Tribunale di Palermo, con ordinanza 25.2.2015, ha rigettato la richiesta di riesame - proposta da C.R. , terzo non indagato - contro il decreto di sequestro preventivo per equivalente di un magazzino e della quota 1/3 di un negozio, oggetto di donazione ricevuta dal genitore C.A. , indagato per vari reati tributari e - per quanto qui interessa - per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte art. 11 D. Lvo n. 74/2000 . Per giungere a tale conclusione, il Tribunale ha osservato - che i documenti dell'accusa già risultavano trasmessi in occasione del riesame del precedente decreto di sequestro preventivo riguardante i beni dell'indagato - che sussisteva il fumus del reato di sottrazione fraudolenta in considerazione della tempistica dell'atto di disposizione perché prima della donazione in favore della figlia Ca.An. era stato destinatario di una verifica fiscale - che a nulla rilevava la deduzione difensiva sull'esistenza del rimedio dell'azione revocatoria, trattandosi di un evento futuro e incerto - che era irrilevante l'esistenza di altri beni nel patrimonio dell'indagato - che le dichiarazioni rese dal D.C. circa le ragioni dell'atto di liberalità potevano essere il frutto di una non veritiera ricostruzione della vicenda da parte dell'indagato C. , intenzionato a nascondere la reale causa della donazione alla figlia. 2. La C. , tramite i difensori, propone ricorso per cassazione denunziando un unico motivo violazione dell'art. 125 cpp mancanza totale di motivazione motivazione meramente apparente. Sostiene innanzitutto la ricorrente che il Tribunale del Riesame si è limitato a postulare la sussistenza del fumus del reato copiando il provvedimento di sequestro senza dare alcuna risposta alle doglianze difensive. Rileva inoltre l'inidoneità dell'atto a sottrarre la garanzia al creditore lo Stato , trattandosi di un atto di liberalità, come tale ad onere probatorio meno rigoroso in caso di proposizione di azione revocatoria, facilmente esperibile non richiedendosi la prova della consapevolezza da parte del terzo . Rileva inoltre che gli immobili donati non esaurivano il patrimonio dell'indagato e che, comunque, la donazione fatta in favore della figlia faceva venir meno l'intento fraudolento. Richiama il contenuto delle dichiarazioni del D.C. in sede di investigazioni difensive, secondo cui la donazione era stata determinata da ragioni di salute che non consentivano più al C. di occuparsi della gestione dei beni, rimproverando al Tribunale di avere acriticamente equiparato la donazione al fumus del reato. Rileva ancora il vizio di contraddittorietà della motivazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e cpp. e quello di mancanza assoluta ex art. 125 cpp avendo il Tribunale pretermesso l'esame degli elementi decisivi. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. A norma del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad 51.645,69, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva . Affinché siano integrati gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice basta unicamente che la condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato, idoneità da apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex ante - e non anche per l'effettiva verificazione di tale evento. Pertanto v. Sez. 3, Sentenza n. 39079 del 09/04/2013 Cc. dep. 23/09/2013 Rv. 256376 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14720 del 06/03/2008, Rv. 239970 , ai fini della configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 11 è necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico ovvero il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario e, sotto il profilo materiale, una condotta fraudolenta atta a vanificare l'esito dell'esecuzione tributaria coattiva la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare. L'oggettività giuridica della fattispecie va individuata, dunque, nell'interesse a rendere possibile la riscossione attraverso l'intangibilità della garanzia patrimoniale rappresentata dai beni dell'obbligato in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 39079/2013 cit. Sez.3, n. 32282 del 13/6/2007, dep. 8/8/2007, P.M e. Raffaele, Sez. 3, n. 14720 del 6/3/2008, dep. 9/4/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970,Sez.3, n. 36290 del 18/5/2011, dep. 6/10/2011, Cualbu, Rv. 251077 . Pertanto, la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere più difficile una eventuale procedura esecutiva. L'eliminazione del presupposto dell'attivazione di una procedura coattiva di riscossione dall'economia della nuova fattispecie incriminatrice, determina, come la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato cfr., da ultimo, Sez.3, n. 36290 del 18/5/2011, già citata dep. 6/10/2011, Cualbu, Rv. 251076 , l'inquadramento dei delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nella categoria dei reati di pericolo, avendo il legislatore in tal modo stabilito una linea di tutela prodromica delle pretese del Fisco, attraverso l'illiceità penale delle condotte che pongano a repentaglio l'obiettivo di realizzazione della pretesa tributaria. Ciò premesso, e venendo all'esame delle censure, appare innanzitutto fuori luogo il richiamo al vizio di motivazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e cpp secondo la costante giurisprudenza, è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’”iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato tra le varie, Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Cc. dep. 11/02/2013 Rv. 254893 Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. dep. 26/06/2008 Rv. 239692 . Nel caso di specie, si è però al di fuori di tale ipotesi estrema perché la motivazione esiste e, come si vedrà, è tutt'altro che apparente. Il Tribunale infatti, premessa una ricostruzione della natura giuridica del reato di cui all'art. 11 D. Lvo n. 74/2000 del tutto in linea con i principi affermati da questa Corte e sopra riepilogati, ha dato conto in maniera esauriente del fumus sottolineando la significativa tempistica tra l'accertamento fiscale eseguito presso il C.A. e l'atto di disposizione patrimoniale avvisi di accertamento notificati al contribuente tra novembre e dicembre 2013, istanza di adesione presentata il 14.1.2014 senza poi aderirvi e infine atto di donazione stipulato il 10.11.2014 ha altresì osservato - del tutto correttamente - che anche un solo atto di cessione è idoneo ad ostacolare l'apprensione dei beni da parte del fisco, essendo in tal caso detta apprensione subordinata ad un evento futuro e incerto l'efficace compimento dell'azione revocatoria . Il Tribunale ha poi valutato criticamente la massima di giurisprudenza richiamata dalla C. la sentenza di questa sezione n. 19524/2013 rilevando, altrettanto correttamente, che in quella pronuncia il Collegio si era limitato ad affermare la maggior efficacia di una pluralità di atti per chi intende sottrarre i beni al fisco, ma non aveva di certo escluso categoricamente che un unico atto possa ritenersi idoneo a sottrarre i beni alle pretese del fisco, come si evince chiaramente dalle espressioni nella maggior parte dei casi e può adoperate in motivazione Sez. 3, Sentenza n. 19524 del 04/04/2013 Cc. dep. 07/05/2013 Rv. 255900 . In ogni caso, il C. aveva, con un unico atto, donato non uno, ma più immobili a favore delle tre figlie, come pure ha evidenziato il giudice di merito. Le considerazioni che la ricorrente svolge sull'esistenza di altri immobili nel patrimonio del donante con conseguente possibilità di garanzia per i creditori e sulle ragioni che avevano spinto il padre all'atto di disposizione oggetto delle dichiarazioni rese in sede di indagini difensive dall'amico D.C. investono tipiche questioni di fatto e tendono ad una diversa valutazione del materiale probatorio, attività che il giudizio di legittimità di certo non consente. Infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito o di seguire possibili interpretazioni e ricostruzioni alternative dei fatti, suggerite dal ricorrente, ma quello di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Lo stesso dicasi per l'asserita inidoneità dell'atto a sottrarre la garanzia patrimoniale, tesi peraltro giuridicamente non corretta, perché la donazione è un tipico atto di disposizione patrimoniale suscettibile di recare pregiudizio alle ragioni dei creditori, andando ad incidere, riducendola, sulla garanzia patrimoniale del debitore di cui all'art. 2740 cc. E l'azione revocatoria è un rimedio previsto dalla legge proprio per rimediare a tali iniziative essa inoltre, contrariamente a quanto semplicisticamente osservato in ricorso, comporta comunque il promovimento di una lite - anche se con il minor rigore probatorio derivante dal fatto che non si richiede l'ulteriore condizione di cui all'art. 2901 n. 2 cc cioè la consapevolezza del pregiudizio da parte del terzo - con tutte le conseguenze in termini di tempi, costi e alea, ben note. Infine, la mancata indicazione da parte della ricorrente dell'ammontare complessivo del debito tributario verso l'Erario, elemento essenziale per valutare la capienza del restante compendio immobiliare, rende il ricorso inammissibile anche per difetto di specificità del motivo artt. 581 lett. c e 591 lett. c cpp . Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186 , alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.