Detenuto malato, ma lo stato di salute non è incompatibile con il regime carcerario

Il giudice di merito ha il potere-dovere di verificare se ricorrano le condizioni di salute previste dalla legge per la concessione della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute. Nel fare ciò, deve tenere conto dell’effettiva adeguatezza delle terapie concretamente applicabili al detenuto anche con l’ausilio di presidi sanitari territoriali, in modo da evitare il rischio di un peggioramento delle condizioni di salute capace di causare una situazione esistenziale non dignitosa, o una condizione carceraria contraria al senso di umanità.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 36322/15, depositata l’8 settembre. Il caso. Il Tribunale di sorveglianza di Perugia respingeva l’istanza di un carcerato che chiedeva la concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute. Alla base del mancato accoglimento vi era l’accertamento che l’uomo non risultava affetto da patologie tali da integrare la nozione di condizione di salute gravi” prevista dalla legge. Lo stesso Tribunale rilevava inoltre che le patologie certificate dalla documentazione medica non indicavano una prognosi infausta quoad vitam e dunque non esigevano trattamenti non praticabili in ambiente carcerario, con rischi di peggioramento dovuti al protrarsi dello stato detentivo. Il condannato contesta tale accertamento e ricorre per cassazione. Stato di salute incompatibile con il regime carcerario. In tema di stato di salute incompatibile con il regime carcerario, gli ermellini ricordano che il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare, non è limitato alla patologia che comporta un pericolo per la vita della persona in stato detentivo, ma occorre avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria . Trattamento contrario al senso di umanità. Si osserva infatti che la detenzione in condizioni inadeguate in rapporto alla gravità di una malattia che potrebbe ottenere assistenza altrove, può, in linea di principio, integrare un trattamento inumano o degradante Cass., n. 22373/09 . Tale valutazione deve essere operata tenendo conto delle complessive condizioni di salute della persona e delle cure praticabili in ambiente carcerario o presso i presidi sanitari territoriali e comporta non soltanto un giudizio sull’astratta idoneità di tali presidi messi a disposizione del detenuto, ma anche una valutazione nel caso concreto della concreta adeguatezza delle cure erogabili presso gli stessi. A tale scopo, il giudice dispone del dovere-potere di valutare nel suo complesso il caso concreto e stabilire se ricorrano le condizioni stabilite dalla legge per concedere la detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, sempre tenendo conto delle plurime finalità della pena. Nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza, applicando correttamente i suddetti principi sulla base della documentazione medica acquista, è giunto a ritenere compatibile lo stato di detenzione in carcere con le patologie del condannato, evidenziando inoltre l’effettiva adeguatezza delle terapie in concreto effettuabili nei suoi confronti anche con l’aiuto dei presidi sanitari territoriali, in modo tale da evitare un peggioramento delle condizioni di salute in grado di provocare una condizione esistenziale al di sotto della soglia di umanità o una condizione carceraria contraria al senso di umanità . Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 giugno – 8 settembre 2015, n. 36322 Presidente Chieffi – Relatore Cassano Ritenuto in fatto 1.11 31 luglio 2014 il Tribunale di sorveglianza di Perugia rigettava l'istanza avanzata da A. P., volta ad ottenere la concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute. Il Tribunale osservava che le patologie da cui il condannato risulta affetto non erano tali da integrare le condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari, così come previsto dall'art. 47-ter, comma 1, lett. c , 1. n. 354 del 1985 e successive modifiche. Rilevava, altresì, che le patologie attestate dalla documentazione medica acquisita pregressa obesità grave tratta con intervento di diversione biliare-pancreatica, diabete mellito, cardiopatia ischemica tratta con stent, ipertensione arteriosa con retinopatia ipertensiva non evidenziava una prognosi infausta quoad vitam, non richiedevano la necessità di trattamenti non eseguibili ex art. 11 1. n. 354 del 1975 e successive modifiche né rischiavano un aggravamento in conseguenza del protrarsi dello stato detentivo. 2.Avverso la suddetta ordinanza P. ha proposto ricorso per cassazione sia personalmente che tramite il difensore di fiducia, lamentando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà della motivazione in relazione alle ragioni poste a base del mancato accoglimento dell'istanza proposta, tenuto conto delle patologie da cui è affetto il detenuto, tali da integrare la nozione di condizioni di salute gravi prevista dalla legge e non adeguatamente accertate mediante una consulenza medico-legale, nonché delle cure necessarie, non praticabili in costanza di regime carcerario con rischi obiettivi di peggioramento e di una prognosi infausta quoad vitam. Osserva in diritto Il ricorso è fondato. 1.Lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell'esecuzione della pena per infermità fisica o l'applicazione della detenzione domiciliare non è limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona detentiva, dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un'esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria. Anche la mancanza di cure mediche appropriate e, più in generale, la detenzione in condizioni inadeguate in rapporto alla gravità di una malattia che potrebbe avere altrove assistenza idonea può, pertanto, in linea di principio, costituire un trattamento contrario al senso di umanità Sez. 1, n. 41986 del 4 ottobre 2005 Sez. 1, n. 27313 del 24 giugno 2008 Sez. 1, n. 22373 dell'8 maggio 2009 . 2.La valutazione sulla compatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del detenuto ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione costituisca un trattamento inumano o degradante va effettuata tenendo conto, comparativamente, delle complessive condizioni di salute della persona e delle cure praticabili in ambiente carcerario o presso i presidi sanitari territoriali artt. 47-ter, comma 1, lett. c e art. 11 l. n. 354 del 1975 e successive modifiche ed implica un giudizio non solo di astratta idoneità dei suddetti presidi posti a disposizione del detenuto, ma anche di concreta adeguatezza delle cure erogabili presso gli stessi. Il giudice di merito è investito del potere-dovere di valutare nella sua complessità il caso concreto sottoposto al suo esame e di stabilire se ricorrano le condizioni stabilite dalla legge per la concessione della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, tenuto conto delle molteplici finalità della pena. 3.Nel caso di specie il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione dei principi sinora illustrati, in quanto, con motivazione immune da vizi logici e giuridici e dopo il compiuto esame della documentazione medica acquisita e degli esami specialistici sin qui effettuati, è pervenuto ad un giudizio di compatibilità dello stato di restrizione in carcere con lo stato morboso di P., è ha evidenziato l'effettiva adeguatezza delle terapie concretamente praticabili nei suoi confronti anche con l'ausilio dei presidi sanitari territoriali, sì da scongiurare il rischio di un peggioramento delle condizioni di salute capace di determinare una situazione esistenziale al di sotto di una soglia di dignità, o di una condizione carceraria contraria al senso di umanità 4.A1 rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.