Tassista ‘abusivo’ per gli stranieri del centro di accoglienza: semplice favoreggiamento, e non trasporto di ‘irregolari’

Contestazione meno grave nei confronti di un uomo, che si è arricchito sfruttando la condizione di illegalità degli stranieri collocati nel ‘Centro’ di Mineo. Egli ha svolto il ruolo di tassista abusivo. Ciò però non può portare alla contestazione del reato di trasporto di stranieri nel territorio dello Stato. Consequenziale la scarcerazione.

Posizione strategica. Più precisamente, dinanzi al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, in Sicilia. Lì, difatti, il tassista ‘in nero’ resta in attesa delle richieste degli stranieri che, giunti clandestinamente in Italia, puntano ad arrivare o a Catania o a Caltagirone. Evidente il profitto illecito realizzato dall’uomo, sfruttando proprio la condizione di illegalità dei potenziali passeggeri. Ciò nonostante, però, non si può contestare il reato di trasporto di immigrati clandestini. Di conseguenza, è illegittima l’applicazione della custodia in carcere. Corte di Cassazione, sentenza n. 36077/15, sez. IV penale depositata oggi Trasporto illegale. Nessun dubbio sulla condotta del tassista ‘in nero’, condotta ricostruita nei minimi dettagli e finalizzata, come detto, a sfruttare gli immigrati clandestini approdati in Sicilia, offrendo loro – dietro esosi pagamenti – la possibilità di scappare dal centro di Mineo e di approdare o a Catania o a Caltagirone. A fronte di questo quadro – poggiato su acquisizioni testimoniali e sulla confessione del tassista –, per i giudici di merito è corretto parlare di plurimi episodi di trasporto di immigrati clandestini all’interno dello Stato , e, di conseguenza, è logica l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Rilevante, in questa ottica, anche l’esigenza di evitare la commissione di ulteriori reati , alla luce delle modalità di svolgimento dei fatti, dimostrativi di professionalità ed organizzazione . Reato minore. Ma la visione tracciata dal gip e condivisa dal tribunale del riesame viene demolita dai giudici della Cassazione. Questi ultimi, difatti, accolgono le obiezioni mosse dal legale del tassista, sancendo l’inapplicabilità del carcere . Il legale ha contestato l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, spiegando che il suo cliente aveva sì svolto il ruolo di tassista , ma solo dopo che il reato si era concretizzato, ossia l’approdo in Italia degli stranieri irregolari. E proprio questa sottolineatura viene considerata di rilievo dai Giudici del Palazzaccio, i quali annotano anche che, paradossalmente, pure il tribunale del riesame ha riconosciuto che l’uomo non ha avuto nessun ruolo nell’ingresso illecito dei migranti e che il suo intervento di tassista abusivo si è collocato in un momento successivo, quando ormai il reato – cioè quello di trasporto di stranieri nel territorio dello Stato – si era consumato ed i migranti erano stati allocati nel centro di accoglienza di Mineo . Consequenziale la messa in discussione del reato di trasporto di immigrati clandestini. Ciò perché, evidenziano i giudici di terzo grado, normativa alla mano – cioè il Testo unico sull’immigrazione –, in questa vicenda la condotta di trasporto di stranieri è svincolata dalla finalità specifica dell’immigrazione e viene posta in essere da un soggetto che non ha presto parte alla fase iniziale della permanenza dei migranti, avvenuta con l’ingresso, legale o illegale, nello Stato e che si approfitta di stranieri già presenti nel territorio italiano . Molto più logico, invece, contestare il reato di favoreggiamento della permanenza dello straniero irregolare, finalizzato ad ottenere un ingiusto profitto , sfruttando la condizione di illegalità dello straniero . E tale addebito, meno grave e punibile con la reclusione fino a quattro anni , sanciscono i giudici, non consente più l’emissione di un provvedimento di custodia cautelare in carcere . Scarcerazione non più discutibile, quindi, per il tassista abusivo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 luglio – 7 settembre 2015, n. 36067 Presidente Romis – Relatore Marinelli Ritenuto in fatto Con sentenza del 7 giugno 2011 il Tribunale di Taranto - sezione distaccata di Manduria - condannava D.G. in ordine al reato di cui all'articolo 590 comma 3 c.p. alla pena di mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione ex articolo 175 c.p Condannava altresì l'imputato al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile P.S., da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese dalla stessa sostenute liquidate come in dispositivo e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva nei confronti della stessa parte civile nella misura di euro 30.000,00. All'imputato, nella sua qualità di titolare della omonima impresa agricola, era stato contestato di avere, per colpa generica e specifica, cagionato lesioni personale al dipendente P.S Il D. gli aveva infatti consentito l'utilizzo nel corso dei lavori di raccolta delle olive di un trattore Lendini, dotato di carrello collegato tramite un giunto cardanico sprovvisto di protezione, mentre le leve di comando erano posizionate in prossimità di parti in movimento. L'imputato inoltre non aveva messo a disposizione dei lavoratori dispositivi individuali di protezione ed attrezzature idonee ai fini della sicurezza e non li aveva informati sui rischi specifici cui erano esposti in occasione dell'attività lavorativa svolta. A causa di tali condotte cagionava lesioni colpose gravi al sopra indicato dipendente il quale, a seguito del distacco del pignone della pompa idraulica, rimaneva con la tuta impigliato nel giunto cardanico in movimento. Avverso la sentenza emessa nel giudizio di primo grado la difesa dell'imputato proponeva appello. La Corte di appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto -, con sentenza del 13 gennaio 2015 confermava quella emessa nel giudizio di primo grado e condannava l'imputato al pagamento delle spese del grado verso l'Erario e verso la costituita parte civile, liquidate come in dispositivo. Avverso la sopra indicata sentenza D.G., a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione chiedendone l'annullamento e censurandola per i seguenti motivi 1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 comma 1, lett. e c.p.p Osservava la difesa che la Corte territoriale aveva ritenuto l'assoluta necessità ai fini del decidere di farsi luogo ad una perizia in ordine alle caratteristiche del trattore Lendini al fine di stabilire le cause della rottura dell'asse di trasmissione e così meglio definire l'esatto ruolo dei protagonisti della vicenda di cui è processo. Secondo la difesa, anche dopo l'espletamento della perizia, la dinamica del sinistro non aveva potuto essere ricostruita con certezza in quanto la coesistenza di varie ipotesi conduceva ad una situazione di dubbio. Secondo il perito infatti era solo probabile l'ipotesi che la rottura dell'albero di trasmissione si fosse verificata perché era venuta a mancare la vite M8 di collegamento dell'albero cardanico con quello della pompa idraulica. Secondo la difesa però si sarebbe trattato soltanto di una ipotesi in considerazione del mancato rinvenimento della vite M8 e degli altri elementi necessari per effettuare il collegamento del carrello al trattore. Quindi, in considerazione dell'incertezza della causa della rottura dell'albero di trasmissione e quindi della causa dell'incidente,essendo plausibili ricostruzioni alternative, non avrebbe potuto essere affermata la responsabilità dell'odierno ricorrente. 2 Difetto di motivazione in relazione alla sussistenza del nesso causale tra la condotta umana e l'evento. Osservava la difesa che le diverse ipotesi prospettate dal perito non avevano dato certezza del modo in cui era avvenuto il distacco dell'albero cardanico. Pertanto non poteva essere addebitato al D. il fatto di avere affidato al lavoratore un mezzo non idoneo sotto il profilo della sicurezza. Nemmeno sarebbe stato provato il fatto che, se il D. avesse proceduto ad una idonea formazione nei confronti del suo dipendenti, il fatto non si sarebbe verificato. L'accertata sussistenza di una condotta contraria ai precetti generali di diligenza e prudenza o a norme specifiche non è infatti sufficiente ad affermare la responsabilità dell'agente per l'evento dannoso verificatosi se non si dimostra l'esistenza del nesso causale tra la condotta incriminata e l'evento. Nella fattispecie che ci occupa la sussistenza del nesso causale non sarebbe stata provata. 3 Violazione dell'articolo 590 c.p. in relazione all'articolo 27 d.PR. n. 547/55 come da capo di imputazione -travisamento dei fatti - Difetto di motivazione. L'attività esercitata, secondo la difesa, a causa della sua peculiare natura, non avrebbe consentito l'approntamento di un valido sistema protettivo contro il pericolo di cadute dall'alto. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. I giudici della Corte di appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto -, dopo avere proceduto all'espletamento di una perizia diretta ad accertare le caratteristiche del trattore Lendini al fine di stabilire le cause della rottura dell'asse di trasmissione e così meglio definire l'esatto ruolo dei protagonisti della vicenda di cui è processo, hanno dettagliatamente indicato con congrua e adeguata motivazione le ragioni per cui hanno ritenuto la responsabilità del D. in ordine al reato ascrittogli. A tal riguardo si osserva cfr. Cass., Sez. 4, Sent. n. 4842 del 2.12.2003, Rv. 229369 che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ciò in quanto l'articolo 606, comma 1, lett. e c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della Corte territoriale hanno evidenziato che chiare erano risultate, all'esito dell'espletamento della perizia, le cause dell'infortunio che si era verificato in seguito alla rottura dell'asse di trasmissione che, dopo essersi spezzato, aveva continuato a girare senza più controllo e così si era impigliato nella tuta da lavoro indossata dal P., intrappolandogli in tal modo una gamba. I giudici di appello osservavano che sussisteva quindi il nesso di causalità tra la rottura dell'asse di trasmissione detto anche giunto cardanico e l'infortunio subito dal P., potendosi quindi ritenere accertato il collegamento eziologico tra il fatto materiale dell'infortunio impigliamento del lavoratore nel giunto cardanico e le lesioni dallo stesso riportate. A proposito poi del giudizio di rimproverabilità in sede penale al D. in relazione alla condotta allo stesso addebitata, i giudici di appello hanno evidenziato le considerazioni del perito con riferimento alla inidoneità della vite M8 TCEI ad assicurare il collegamento dell'albero cardanico con quello della pompa idraulica. In considerazione di tale causa della rottura dell'asse di trasmissione o giunto cardanico, appariva quindi evidente la inidoneità del trattore Lendini con annesso carrello e giunto cardanico, risultato altresì privo di protezione, a garantire la sicurezza del lavoratore addetto all'uso del trattore medesimo. Quindi, in ragione della incidenza causale di tali caratteristiche nella verificazione dell'infortunio, i giudici di appello hanno ritenuto la sussistenza di profili di colpa a carico del D. al quale doveva essere altresì addebitato il fatto di avere affidato al lavoratore un mezzo non idoneo sotto il profilo della sicurezza e di non averlo sufficientemente informato soltanto a voce , senza mai tenere alcun corso a proposito dell'uso di tali mezzi e dello svolgimento delle mansioni implicanti l'uso degli stessi. Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonché a rimborsare alla parte civile le spese sostenute per questo giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché a rimborsare alla parte civile le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.