Non sono imputato? Posso comunque ricorrere se ne ho interesse

Sussiste l’interesse a ricorrere ex articolo 568, comma 4, c.p.p. non soltanto quando il ricorrente abbia l’obiettivo di conseguire effetti penali più vantaggiosi, ma anche qualora egli, da una parte, voglia scongiurare la possibilità che da una sentenza penale si producano conseguenze extra penali in qualunque modo a lui pregiudizievoli, dall’altra, miri ad assicurarsi effetti penali più favorevoli dipendenti ex lege dalla pronuncia auspicata e richiesta dal ricorrente stesso.

È il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 35989/15, depositata il 4 settembre. Gli Ermellini hanno successivamente e conseguentemente affermato che, qualora in sede d’appello, in mancanza di elementi sopravvenuti, i giudici ritengano di dover modificare in peius la sentenza di primo grado, l’impianto motivazionale su cui deve fondarsi la nuova decisione dev’essere sostenuto da una più intensa forza persuasiva. Il caso. Il ricorrente, nella sentenza in commento, aveva impugnato la decisione della corte d’appello con la quale i giudici avevano dichiarato di non doversi procedere nei suoi confronti, accertata l’estinzione del reato attribuitogli. La sentenza appellata costituiva, tuttavia, provvedimento per l’imputato più svantaggioso, considerando che quest’ultimo in primo grado era stato assolto per non aver commesso il fatto ex articolo 530, comma 2, c.p.p Il ricorso proposto è stato di conseguenza accolto dalla Corte di Cassazione con la sentenza ora esaminata. L’interesse a ricorrere. È corroborato da granitica giurisprudenza il principio secondo cui la parte è legittimata ad impugnare, sussistendone il suo interesse, ogniqualvolta dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare l’eliminazione di qualsivoglia effetto pregiudizievole per la stessa in tal caso l’impugnazione sarebbe sicuramente idonea, mirando alla riforma del provvedimento dannoso, a costituire, a vantaggio dell’impugnante, una situazione pratica maggiormente positiva rispetto a quella creatasi in conseguenza della decisione impugnata. Ora, posta questa premessa, appare conforme alla logica dell’ordinamento penale incentrata sul favor rei la regola secondo cui la parte può impugnare legittimante una sentenza che, per a suo stesso beneficio, dichiari una causa di estinzione del reato attribuitogli. Gli effetti della sentenza di non doversi procedere, infatti, sono assai più svantaggiosi rispetto a quelli di un’assoluzione, e, in particolare, di un’assoluzione perché l’imputato non ha commesso il fatto. La prima tipologia di decisione non contiene un vero e proprio accertamento in merito alla responsabilità dell’imputato, che al contrario include la seconda, ma si limita a statuire in ordine ad aspetti meramente processuali che hanno addirittura impedito l’accertamento stesso. Proprio per questo motivo, la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato non è idonea a formare giudicato anche nei confronti dei processi civili, amministrativi e disciplinari che abbiano ad oggetto il medesimo fatto artt. 652, 653 e 654 c.p.p. . È lapalissiano che gli effetti extra penali sconvenienti al prosciolto siano, di conseguenza, innumerevoli stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, mentre da una totale assoluzione la posizione giuridica dell’imputato diviene, al di fuori del processo penale, inattaccabile per accertata assenza di responsabilità, da una sentenza che dichiari l’estinzione per prescrizione del reato attribuitogli non deriva affatto lo stesso effetto vantaggioso, producendosi invece effetti giuridicamente e sconvenientemente rilevanti anche in altri settori dell’ordinamento. Ne deriva, perciò, che l’imputato abbia sicuramente interesse a ricorrere per impugnare il provvedimento con il quale i giudici di seconde cure l’abbiano prosciolto non più perché egli non ha commesso il fatto, ma soltanto poiché il reato si è nel frattempo estinto. L’argomentazione logica della sentenza emessa in appello che modifichi in peius il provvedimento di primo grado. Riconosciuto l’interesse a ricorrere in capo all’imputato che sia stato prosciolto in secondo grado ma con un provvedimento i cui effetti extra penali siano svantaggiosi, gli Ermellini hanno conseguentemente affermato che la riforma di una sentenza assolutoria in senso sfavorevole per l’imputato deve essere supportata da una base logico-argomentativa recante una forza persuasiva ancora superiore rispetto a quella impiegata in primo grado, specialmente quando non sia supportata da elementi probatori sopravvenuti in tal caso infatti, i giudici di secondo grado devono essere capaci di scardinare l’impianto logico-argomentativo su cui si è fondata una precedente decisione assunta da un’autorità giudiziaria che ha preso contatto diretto con le fonti di prova. La sentenza emessa dalla Corte d’appello che modifichi in peius la decisione di primo grado necessita perciò di un’argomentazione logica particolarmente forte, in grado di superare quella elaborata dai giudici di prime cure e, quindi, idonea a evidenziarne la totale inconciliabilità logica con i dati acquisiti. Il livello di persuasività dev’essere perciò particolarmente elevato, tendendo sempre fermo il nevralgico principio secondo il quale la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, ma la mera non certezza della colp

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1 luglio – 4 settembre 2015, n. 35989 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 marzo 2013 la Corte d'appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza pronunziata il 15 novembre 2007 dal Tribunale di L'Aquila nei confronti di M.M. e V.E. , appellata dal P.M. e dal M. , ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei predetti imputati in ordine al reato di abuso d'ufficio loro ascritto nelle rispettive qualità di direttore generale dell'A.S.L. di L'Aquila e di legale rappresentante della clinica omissis , perché estinto per intervenuta prescrizione. 1.1. Si addebita agli imputati di avere violato la legge regionale n. 37/1999, relativa al contenimento della spesa ospedaliera nell'ambito del piano sanitario regionale, procurando intenzionalmente al V. un vantaggio patrimoniale pari ad Euro 9.953.997,66, per effetto del riconoscimento alla predetta casa di cura - attraverso negoziazioni stipulate tra il M. ed il V. negli anni 2001-2003 e vistate da G.L. quale direttore amministrativo dell'A.S.L. - di un tetto di spesa per prestazioni sanitarie superiore a quello risultante dalla corretta applicazione della normativa su indicata, da porre a carico del Servizio sanitario nazionale e dunque rimborsabili dall'A.S.L. di L'Aquila. All'esito del giudizio di primo grado il V. veniva assolto per non avere commesso il fatto a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p., mentre il M. veniva dichiarato colpevole e condannato alla pena di anno uno di reclusione. 2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di V.E. , richiamando preliminarmente la motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 35490 del 28 maggio 2009, ric. Tettamanti, a sostegno della valutazione di ammissibilità in concreto dell'impugnazione avverso una pronuncia comunque dichiarativa di una causa di estinzione del reato in favore del ricorrente. Si è evidenziato, in tal senso, che se la Corte d'appello non fosse incorsa nei manifesti errori di valutazione della prova di seguito illustrati nei motivi d'impugnazione, l'approfondimento delle emergenze processuali avrebbe imposto una decisione confermativa della iniziale pronuncia assolutoria, in applicazione della regola probatoria, ispirata al favor rei, di cui al secondo comma dell'art. 530 c.p.p Il che vale, secondo la su citata pronuncia delle Sezioni Unite, anche qualora, pur in assenza della parte civile, ad un'assoluzione pronunciata in primo grado ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., impugnata dal P.M., sopravvenga una causa estintiva del reato . Nel merito, inoltre, sono stati dedotti tre motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato. 2.1. Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., per travisamento della prova, laddove la Corte d'appello ha rivalutato in senso diametralmente opposto le stesse fonti di prova dichiarativa considerate dal primo Giudice, ricavandone erroneamente la sussistenza di un'intesa criminale tra il M. ed il V. . Da tali testimonianze, infatti, non sono emerse richieste particolari o pressioni del V. nei confronti dell'A.S.L., ma normali solleciti di un imprenditore che vantava dei crediti il cui riconoscimento era legato all'interpretazione di una normativa regionale. 2.2. Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., in relazione agli artt. 129, 530 e 533 c.p.p., per avere la Corte d'appello operato una lettura alternativa del medesimo materiale probatorio, violando l'obbligo del vincolo motivazionale rafforzato che incombe sul giudice di secondo grado che per la prima volta dichiari la colpevolezza dell'imputato, ribaltando l'esito del giudizio di primo grado. 2.3. Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b e lett. e , c.p.p., in relazione agli artt. 117, comma 1, Cost., e 6 CEDU, per avere la Corte d'appello omesso di sentire direttamente i testimoni al fine di valutarne l'affidabilità, procedendo ad una mera rilettura in chiave accusatoria delle medesime dichiarazioni rese in primo grado, così facendo prevalere la causa di estinzione del reato, anziché assolvere l'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate. 2. Preliminarmente, deve ritenersi sussistente l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione ex art. 568, comma quarto, cod. proc. pen., ove si consideri, al di là di quanto già evidenziato in narrativa v., supra, il par. 2 , il dato dirimente rappresentato dal fatto che, all'esito del giudizio di primo grado, la posizione giuridica del ricorrente sul piano extra-penale era inattaccabile, mentre non lo è più a seguito della sentenza di appello, che ne ha affermato la responsabilità ribaltando l'iniziale pronuncia assolutoria. L'interesse del ricorrente, infatti, è ravvisabile non solo quando egli miri a conseguire effetti penali più vantaggiosi, ma anche quando tenda ad evitare, come nel caso in esame, il prodursi di conseguenze extra-penali pregiudizievoli, ovvero ad assicurarsi effetti penali più favorevoli che l'ordinamento faccia dipendere dalla pronuncia domandata Sez. 5, n. 37677 del 10/07/2012, dep. 28/09/2012, Rv. 254557 . In tal senso, invero, deve ribadirsi quanto già affermato da questa Suprema Corte Sez. 6, n. 6989 del 30/03/1995, dep. 17/06/1995, Rv. 201953 Sez. 6, n. 624 del 14/02/1997, dep. 25/06/1997, Rv. 208003 , secondo cui l'interesse ad impugnare - che deve tendere ad un risultato pratico in rapporto alle situazioni ed alle facoltà tutelate dal nostro ordinamento - assume un contenuto di concretezza tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato - da intendere nella sua lata eccezione, comprensiva anche della motivazione - possa derivare l'eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame. Il che rileva non solo quando l'imputato, attraverso l'impugnazione, si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi quali ad esempio l'assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio , ma anche quando miri ad evitare conseguenze extra-penali pregiudizievoli, ovvero ad assicurarsi effetti extra-penali più favorevoli, come quelli che l'ordinamento rispettivamente fa derivare dall'efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno artt. 651 e 652 cod. proc. pen. , dal giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare art. 653 cod. proc. pen. e dal giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi art. 654 cod. proc. pen. . Stante il principio di unitarietà dell'ordinamento giuridico, se una sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell'ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all'imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di esso possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l'eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole. 3. Nel merito deve anzitutto rilevarsi, con riferimento ai su indicati profili di doglianza v., in narrativa, i parr. 2.1. - 2.3. , come costituisca ormai ius receptum , alla luce di una linea interpretativa pacificamente espressa da questa Suprema Corte, il principio secondo cui nel giudizio di appello, in mancanza di elementi sopravvenuti, occorre, per la riforma di una sentenza assolutoria, che l'impianto motivazionale, nel prospettare una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, esprima una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio al riguardo, essendo necessario scardinare l'impianto argomentativo-dimostrativo posto alla base di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova. Se già in precedenza, infatti, era stata più volte espressa la necessità, nella sentenza d'appello modificativa in peius , di confrontarsi con le argomentazioni svolte nella decisione di primo grado per giustificare una pronuncia riformatrice di condanna, al fine di offrire una sentenza rispondente al canone della completezza ai sensi dell'art. 125 cod. proc. pen., a seguito della modifica della disposizione normativa di cui all'art. 533, comma 1, c.p.p., contenuta nella L. 20 febbraio 2006, n. 46, è ravvisabile un vizio di legittimità della pronuncia ove la stessa non dia conto del superamento del ragionevole dubbio, con una rigorosa dimostrazione della insostenibilità delle spiegazioni offerte dal primo giudice, cui si perviene solo attraverso la costruzione di una struttura logico-argomentativa che sopravanzi quella espressa nel giudizio di primo grado, evidenziandone l'assoluta inconciliabilità logica con i dati acquisiti da ultimo, v. Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 17/02/2015, Rv. 262524 Sez. 5, n. 21008 del 06/05/2014, dep. 23/05/2014, Rv. 260582 Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 14/03/2014, Rv. 262261 Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, dep. 08/11/2013, Rv. 256869 Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, dep. 21/02/2013, Rv. 254113 Sez. 6, n. 49755 del 21/11/2012, dep. 20/12/2012, Rv. 253909 . Al riguardo, invero, si è più volte affermato, in questa Sede Sez. 6, n. 40159 del 3 novembre 2011, dep. 7 novembre 2011, Rv. 251066 , che per la riforma caducatrice di un'assoluzione non appare sufficiente una mera diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio . intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, ma la mera non certezza della colpevolezza . 4. Orbene, esaminando la motivazione della pronuncia oggi impugnata alla luce di tale ineludibile quadro di principii, deve escludersi che sia stata operata siffatta penetrante analisi, poiché in essa il giudizio di responsabilità è basato sull'apodittica affermazione dell'esistenza di un'intesa fra il M. ed il V. , che avrebbe fatto seguito ad una serie di incontri nei quali il secondo, minacciando un contenzioso, avrebbe sollecitato una rinegoziazione dell'ammontare degli importi di spesa che valesse anche per il passato, attraverso una interpretazione a lui favorevole della normativa regionale sopra richiamata affermazione, questa, ricavata dagli stessi elementi di prova le dichiarazioni rese dai testi B.A. e G.L. , rispettivamente collaboratore e direttore amministrativo della predetta A.S.L. già acquisiti nel giudizio di primo grado, ed ivi diversamente valutati, omettendosi tuttavia di effettuare una specifica disamina incentrata sull'esposizione di circostanze di fatto e considerazioni logiche volte a disarticolare, con argomenti dirimenti, le ragioni linearmente poste a sostegno dei passaggi argomentativi al riguardo delineati nella pronuncia riformata. Non è chiaro, in particolare, come possa oggettivamente superarsi il limite dell'insufficienza probatoria già accertata all'esito del diverso percorso decisorio seguito dal primo Giudice in merito alla configurabilità del concorso del privato nel delitto di abuso d'ufficio, ritenendo logicamente dimostrata, alla luce delle evidenziate emergenze istruttorie, l'esistenza di un accordo collusivo tra il privato ed il pubblico ufficiale all'esito di una serie di incontri aventi ad oggetto la discussione di contrapposte soluzioni interpretative delle problematiche questioni sollevate dalla applicazione della normativa regionale in materia. La decisione di primo grado, invero, aveva tracciato, sia pure con sintetiche proposizioni, una serie di profili critici sui quali - alla stregua del contenuto del correlativo tema d'accusa - avrebbe dovuto modularsi l'onere probatorio circa la sussistenza della contestata fattispecie di abuso d'ufficio, al contempo escludendone in punto di fatto gli estremi sulla base del fondamentale rilievo che l'assidua presenza del V. presso gli uffici dell'A.S.L., volta a perorare una modifica delle condizioni stabilite con il precedente direttore dell'azienda, pur costituendo un indizio di colpevolezza a suo carico, non appariva sufficiente per un'affermazione di responsabilità a suo carico in difetto di più precisi e specifici elementi in ordine al tenore ed alla intensità della richiesta e, comunque, di elementi di giudizio sull'esistenza di un accordo con il M. . Ora, se non vi è dubbio che il ricorrente può aver conseguito un vantaggio non legittimo attraverso l'adesione della parte pubblica ad una determinata opzione interpretativa, anziché ad un'altra a lui sfavorevole, neppure vi è dubbio che una idonea disamina dell'elemento soggettivo del reato, coniugata a contegni specifici e non soltanto presunti, divenga irrinunciabile per affermarsi la conseguita prova della sussistenza e/o della commissione del reato di abuso d'ufficio Sez. 6, n. 40499 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245010 . In relazione ai su indicati profili, dunque, la motivazione della sentenza di appello si mostra lacunosa ed incompleta, laddove omette di esplicare in punto d. fatto le note modali e le concrete caratteristiche che l'ipotizzato accordo criminoso dovrebbe specificamente assumere, alla luce dei criteri direttivi tracciati nell'insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte Sez. 6 n. 37880 del 11/07/2014, dep. 16/09/2014, Rv. 260031 Sez. 6, n. 40499 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, cit. , secondo cui, ai fini della configurabilità del concorso del privato nel delitto di abuso d'ufficio, l'esistenza di una collusione tra.1 privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell'uno e il provvedimento adottato dall'altro, dovendosi invece considerare i profili inerenti al contesto fattuale, ai rapporti personali tra i predetti soggetti, ovvero ad altri dati di contorno, idonei a dimostrare che la domanda del privato sia stata preceduta, accompagnata o seguita dall'accordo con il pubblico ufficiale, se non da pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo. 5. S'impone, conclusivamente, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con la formula in dispositivo indicata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.