Non è reato se le minacce o la violenza non sono volte a impedire l’atto d’ufficio

Non integrano il delitto di resistenza a pubblico ufficiale le espressioni di minaccia indirizzate a quest’ultimo, quando non rivelino alcuna volontà di impedire lo svolgimento dell’attività d’ufficio, ma costituiscano invece una forma di contestazione della precedente attività svolta dal pubblico ufficiale.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 33219/15, depositata il 28 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Cagliari, confermando la sentenza del Tribunale locale, condannava l’imputato per il reato di cui agli artt. 337 Resistenza a pubblico ufficiale e 582 c.p. Lesione personale , più aggravanti, per aver colpito il p.u. con lo sportello della sua macchina e per avergli rivolto le seguenti frasi guardi che lei è un padre di famiglia, stia attento si ricordi che prima di lui qui c’era il Maresciallo R., ed ha visto che fine ha fatto . Avverso la sentenza ricorre allora in Cassazione l’imputato. Elementi integrativi della resistenza a pubblico ufficiale. Il Collegio ritiene che siano fondati i motivi relativi alla condotta imputata in capo al ricorrente e aventi ad oggetto rispettivamente la minaccia e la violenza, elementi integrativi del delitto di cui all’art. 337 c.p Invero, il reato di resistenza a p.u. risulta integrato quando vengono pronunciate parole o frasi di minaccia che palesano la volontà di opporsi allo svolgimento dell’atto d’ufficio e che sono tali da poter incutere timore e coartare la volontà del destinatario Cass., n. 17919/13 . L’efficacia intimidatrice della frase minaccia o resistenza a p.u.? L’efficacia intimidatrice di un’espressione verbale, che la fa rientrare, a seconda dei casi, nel reato di cui all’artt. 336 Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale ,o 337 Resistenza a pubblico ufficiale oppure 612 Minacce c.p., è direttamente proporzionale all’attuabilità del danno provocato. La minaccia esprime il disprezzo per l’interlocutore? Dunque, se il male minacciato di per sé non è concretamente realizzabile, non è possibile configurare alcuna aggressione di rilevanza penale nella sfera psichica dell’interlocutore. Tuttavia, se la pronuncia di parole in apparenza minacciose manifesta e raggiunge lo scopo del soggetto di esprimere il proprio disprezzo per l’interlocutore, esso configura, a seconda dei casi, gli estremi del reato cui all’art. 341 Oltraggio a un pubblico ufficiale o 594 c.p. Ingiuria . Effettività causale. La S.C. osserva infine che, nel reato di resistenza a p.u., occorre che la violenza o la minaccia siano reali e connotino in termini di effettività causale la loro idoneità a coartare o ad ostacolare l’agire del pubblico ufficiale, in ragione del dolo specifico che deve sorreggere il comportamento del soggetto agente Cass., n. 45868/12 .Pertanto, le espressioni di minaccia destinate a un uomo delle forze dell’ordine non configurano il reato di resistenza a p.u., quando non mostrino alcuna intenzione di opporsi allo svolgimento dell’atto d’ufficio, ma costituiscano invece una forma di contestazione dell’attività prima svolta dal pubblico ufficiale Cass., n. 31544/09 Nel caso di specie, i giudici di Piazza Cavour ritengono che le due condotte poste a carico del ricorrente non possano essere ascritte nell’ambito della violenza e minaccia, indispensabili per poter integrare il delitto contestato. Infatti, in ordine alla prima condotta aver colpito il pubblico agente , i giudici di merito non hanno chiarito se essa fosse stato un gesto volontariamente realizzato dall’imputato per impedirgli l’attività d’ufficio, o invece, la semplice conseguenza di una manovra imprudente quanto alla seconda condotta l’aver profferito le parole prima citate , i giudici di merito non hanno giustificato quale contenuto minaccioso effettivo avesse il riferimento fatto alla vicenda del maresciallo R. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza e rinvia a nuovo giudizio alla Corte d’appello di Cagliari.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 – 28 luglio 2015, n. 33219 Presidente Paoloni – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16.10.2014 la Corte di appello di Cagliari - a seguito di gravame interposto dall'imputato C.P. avverso la sentenza emessa il 25.5.2010 dal locale Tribunale - ha confermato detta decisione con la quale l'imputato è stato dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 337 cod. pen. capo a e artt. 582,585,576 n. 1 cod. pen. capo b e condannato a pena di giustizia. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato , a mezzo del difensore, deducendo 2.1. Violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 337 cod. pen. e 393 bis cod. pen. nonché artt. 55 e 59 cod. pen. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza omette di considerare la specifica censura difensiva che faceva leva sulla reciproca quotidiana conoscenza tra l'imputato e la parte offesa e la reciproca ostilità, risolvendosi in una mera riproduzione della prima decisione. Inoltre, ometterebbe di considerare che la condotta dell'imputato risulta avvenuta successivamente al comportamento, privo di lealtà ed irrispettosi tenuto dal M.llo P. nei confronti dello stesso imputato al quale il primo non aveva alcun motivo di chiedere i documenti, ben conoscendolo. Ancora, è verosimile che la multa non avesse ragione di essere elevata rispetto alle circostanze effettivamente verificatesi che , comunque, consentivano il passaggio di altre autovetture, così manifestandosi la ragione antagonista della sua contestazione per la risposta data dal ricorrente. Arbitrario, infine, è il successivo comportamento dei pubblico ufficiale che ebbe ad introdursi nella vettura dei ricorrente per prendere le chiavi o spegnere il motore. Tutto quanto precede costituisce l'antefatto - non valutato - che avrebbe dovuto giustificare la non punibilità della condotta del ricorrente. Anche la successiva condotta del ricorrente dimostrerebbe la consapevolezza di aver subito un comportamento illegittimo allorquando, durante la cosiddetta fuga , ha chiamato il 112 per chiedere l'intervento delle forze dell'ordine. 2.2. Violazione degli artt. 192 e 546 lett. e cod. proc. pen. in relazione agli artt. 337 e 393bis cod. pen. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con particolare riguardo alla assenza di valutazione critica della condotta posta in essere dal m.lloP. oggetto di motivi di doglianza con riferimento alla espressione addebitata al ricorrente dove si denunciano i Carabinieri? e dalla quale sarebbero scaturiti i fatti di causa. 2.3. Violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 337 cod. pen. e 393 bis, 612 cod. pen. e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla contestata minaccia che, invece, sarebbe manifestazione del diritto di opinione, comunque inidon4 ad interferire sull'attività di ufficio del carabiniere. 2.4. Violazione degli artt. 192 e 194 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 582,585,576 n. 1 e 393bis cod. perì. e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione versandosi in una condotta violenta volta a far cessare il comportamento ritenuto vessatorio da parte del M.llo P In ogni caso, si tratterebbe di lesioni colpose. 2.5. Violazione dell'art. 603 cod. proc. pen. e 111 Cost. mancanza ed illogicità della motivazione in ordine alla mancata rinnovazione parziale del dibattimento rispetto ad una prova decisiva costituita dalle video riprese dell'impianto di sorveglianza della Banca e dalla audizione del medico curante delP 2.6. Erronea applicazione dell'art. 2 , comma 7, I.n. 146 del 1990 e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della ordinanza del 10.4.2014, avendo la Corte effettuato delle valutazioni di merito che non le competevano in ordine all'esercizio dei diritto di astensione dei difensori sulla base della sola segnalazione che preludeva ad un accertamento da parte della Commissione di garanzia. 2.7. Violazione ai sensi degli artt. 178 lett. c e 179 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost. e contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riferimento alla ordinanza del 10.4.2014 ed in relazione alla provocata rinuncia al mandato del difensore di fiducia - che sostituiva anche il codifensore - con conseguente mancanza di entrambi i difensori di fiducia dell'imputato. 2.8. Con memoria difensiva si articolano ragioni a sostegno del ricorso sia con riferimento alla affermazione di responsabilità che alla violazione del diritto di difesa. Considerato in diritto II ricorso è fondato nei termini che seguono. 1. Vanno esaminati in via preliminare il sesto e settimo motivo. 2. Essi sono inammissibili per difetto di interesse, in quanto all'esito della udienza del 10.4.2014 è stato comunque disposto rinvio del processo senza che fosse espletata alcuna attività dibattimentale. 3. Vanno, quindi, esaminati - in ordine logico - il terzo e quarto motivo che pertengono alla condotta oggettivamente posta a carico del ricorrente e - rispettivamente - aventi ad oggetto la minaccia e la violenza. 4. I motivi sono fondati. 5. All'imputato è stato contestato il delitto in esame in relazione a due specifiche condotte quella consistita nell'aver colpito il pubblico ufficiale con lo sportello della sua autovettura e nell'avergli detto guardi che lei è un padre di famiglia, stia attento si ricordi che prima di lei qui c'era il maresciallo Romagna, ed ha visto che fine ha fatto . 6. Integrano il delitto di resistenza a pubblico ufficiale le espressioni di minaccia che manifestino la volontà di opporsi allo svolgimento dell'atto d'ufficio e risultino idonee ad incutere timore e coartare la volontà del destinatario Sez. 6, n. 17919 del 12/04/2013 Rv. 256475 Celentano e l'efficacia intimidatrice di una frase, che la fa qualificare, a seconda dei casi, come reato di cui all'art. 336, o all'art. 337 ovvero all'art. 612 cod. pen., è direttamente proporzionale all'attuabilità del danno, che ne formi oggetto. Di conseguenza, se il male minacciato si presenta ex se , non concretamente realizzabile, non è configurabile alcuna aggressione, penalmente rilevante, alla sfera psichica del soggetto passivo. Se, però, il profferire alcune parole apparentemente minacciose manifesta, e raggiunge, l'intento dell'agente di esprimere il proprio disprezzo per l'interlocutore, esso integra, a seconda dei casi, gli estremi dei reato di cui all'art. 341 o di quello di cui all'art. 594 cod. pen Sez. 6, n. 8008 del 10/06/1993, Ravidà, Rv. 194919 ancora, nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale è necessario che la violenza o la minaccia siano reali e connotino in termini di effettività causale la loro idoneità a coartare o ad ostacolare l'agire dei pubblico ufficiale, in ragione dei dolo specifico che deve sorreggere il comportamento del soggetto agente Sez. 6, n. 45868 dei 15/05/2012, Meligeni, Rv. 253983 e non integrano il delitto di resistenza a pubblico ufficiale le espressioni di minaccia rivolte a quest'ultimo, quando non rivelino alcuna volontà di opporsi allo svolgimento dell'atto d'ufficio, ma rappresentino piuttosto una forma di contestazione della pregressa attività svolta dal pubblico ufficiale Sez. 6, n. 31544 del 18/06/2009, Graceffo, Rv. 244695 come pure nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale il dolo specifico si concreta nel fine di ostacolare l'attività pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, cosicché il comportamento che non risulti tenuto a tale scopo, per quanto eventualmente illecito ad altro titolo, non integra il delitto in questione Sez. 6, n. 36367 del 06/06/2013, Lorusso, Rv. 257100 . 7. Ritiene questa Corte che né della prima né della seconda condotta ascritta al ricorrente risulti motivazione che le possa ascrivere nell'ambito della violenza e minaccia - così come delineate dall'orientamento di legittimità richiamato - necessarie ad integrare il delitto contestato. 8. Quanto alla prima condotta non risulta alcuna motivazione - al di là della esposizione dei contenuti testimoniali che ai relativi fatti si riferiscono - che chiarisca se essa fosse realizzata volontariamente dall'imputato per impedirgli l'attività di ufficio o, invece, fosse solo conseguenza di una manovra imprudente, nel - pervero - concitato e del tutto peculiare contesto, nell'ambito del quale la fuga dei ricorrente rimane una iperbole. Quanto alla seconda, non risulta giustificato quale concreto contenuto minaccioso avesse il riferimento fatto dal ricorrente alla precedente vicenda del maresciallo Romagna. 9. L'accoglimento dei motivi trattati assorbe ogni altra questione. 10. La sentenza deve, pertanto, essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari.