Ordinanza custodiale non tradotta: la nullità è soggetta a precisi termini di decadenza

In tema di diritto all’informazione nei procedimenti penali, la mancata traduzione dell’atto processuale nella lingua conosciuta dall’imputato, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 143 c.p.p., integra una nullità generale di tipo intermedio la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 32709/15, depositata il 27 luglio. Il caso. Un uomo ricorre per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della libertà di Brescia, che ha confermato l’ordinanza emessa dal gip presso il Tribunale di Mantova di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del ricorrente per il reato di violenza sessuale. Lamenta il ricorrente l’omessa traduzione degli atti del procedimento penale. Nella ricostruzione fornita dall’imputato, infatti, l’obbligo di traduzione scritta è estensibile anche ai provvedimenti giurisdizionali che si riferiscono alle misure cautelari personali a seguito di impugnazione o di revoca dell’ordinanza applicativa di misura cautelare. Ciò non solo per ragioni di coerenza sistematica, ma soprattutto perché l’art. 143, comma 2, c.p.p. prevede per tutti i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali l’obbligo per l’autorità procedente di disporre la traduzione scritta. Pertanto, anche nei provvedimenti emessi in sede di riesame che confermano la misura disposta dal primo giudice, la traduzione costituisce un requisito di validità dell’atto da tradurre, con la conseguente nullità di quest’ultimo per il mancato adempimento. La mancata traduzione dell’atto processuale genera una nullità generale di tipo intermedio. I Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondata la censura mossa dal ricorrente in relazione all’omessa traduzione degli atti del procedimento penale. La Corte ha precisato che la questione da analizzare è se, in caso di omissione della traduzione scritta di atti c.d. obbligatori o di omissione delle necessarie informazioni prescritte dalla novella ex d.lgs. n. 101/2014 Attuazione della Direttiva 2012/13/UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali , possa essere fatta valere un’invalidità e, in caso positivo, quale sia il regime che la governi . Sul punto, in assenza di specifiche previsioni sanzionatorie processuali circa gli atti posti in essere in violazione del diritto all’interprete o per quegli atti in relazione ai quali sia stata omessa l’obbligatoria traduzione o la doverosa informazione, anche orale nella lingua conosciuta dall’accusato, gli Ermellini hanno ritenuto di uniformarsi alla prevalente giurisprudenza di legittimità, secondo cui la mancata traduzione dell’atto processuale nella lingua conosciuta dall’imputato, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 143 c.p.p., integra una nullità generale di tipo intermedio la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza. Deve, quindi, ritenersi che la proposizione della richiesta di riesame abbia effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione, perché in tal caso è stato raggiunto lo scopo tipico dell’atto, salvo che la richiesta di riesame non sia stata proposta solo per dedurre la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare. Nel caso di specie, la richiesta di riesame avverso l’ordinanza cautelare del gip del Tribunale di Mantova è stata invece presentata solo per vizi di merito del provvedimento impugnato la nullità del provvedimento - per la sua mancata traduzione in lingua comprensibile all’indagato o per le doverose informazioni che si assumono omesse - non è stata reclamata né in sede di riesame dell’ordinanza cautelare, né in precedenza, con la conseguenza che la doglianza non può trovare accoglimento, stante la natura a regime intermedio di detta nullità. Per tutte le considerazioni sovraesposte, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 aprile – 27 luglio 2015, n. 32709 Presidente Squassoni – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. S.H. ricorre per cassazione avverso l'ordinanza emessa in data 23 dicembre 2014 dal tribunale della libertà di Brescia che ha confermato l'ordinanza emessa dal gip presso il tribunale di Mantova di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti dei ricorrente per il reato di violenza sessuale. 2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza S.H. articola, tramite il difensore, due motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione degli articoli 109,143 e 293 del codice di procedura penale in relazione all'articolo 606, comma 1, lettera b , códice di procedura penale per omessa traduzione degli atti del procedimento penale. Assume che a seguito della modifica dell'articolo 293, comma 1, come sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera a , n. 1 dei decreto legislativo 1 luglio 2014, n. 101, in vigore dal 16 agosto 2014, ai sensi del disposto dall'articolo 4, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 101 del 2014 l'ufficiale e l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare consegna all'imputato copia del provvedimento unitamente ad una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, per l'imputato che non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, Peraltro l'obbligo di traduzione scritta è estensibile, secondo il ricorrente, anche ai provvedimenti giurisdizionali che si riferiscono alle misure cautelaci personali a seguito di impugnazione o di revoca dell'ordinanza applicativa di misura cautelare, non solo per ragioni di coerenza sistematica e di comuni esigenze di garanzia ma soprattutto perché il nuovo testo dell'articolo 143, comma 2, codice di procedura penale prevede per tutti i provvedimenti che dispongono misure cautelaci personali l'obbligo per l'autorità procedente di disporre la traduzione scritta. Ne discende che anche nei provvedimenti emessi in sede di riesame, che confermano la misura disposta dal primo giudice, la traduzione costituisce un requisito di validità dell'atto da tradurre, con la conseguente nullità di quest'ultimo per il mancato adempimento. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 273 e 274 codice di procedura penale, avendo il tribunale del riesame confermato l'ordinanza impugnata ritenendo sussistenti sia i gravi indizi di colpevolezza che le esigenze cautelaci. Assume il ricorrente come la motivazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di violenza sessuale aggravata sia manifestamente illogica e contraddittoria. Invero eventuali rapporti sessuali intercorrenti con una persona affetta da una minorazione psichica non necessariamente integrano il delitto di violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità psichica, soprattutto ove detti rapporti vengano consumati all'interno di una relazione amorosa tra i due interessati. II tribunale del riesame muoverebbe invece dall'indimostrato ed erroneo presupposto di considerare i tre episodi contestati come isolati e diretti in modo univoco allo sfogo degli istinti sessuali del ricorrente, senza perciò prendere in considerazione tutti quegli elementi idonei a dimostrare l'esistenza tra il ricorrente e la persona offesa di una relazione amorosa, come desumibile dalle risultanze probatorie acquisite nel procedimento. Il tribunale avrebbe inoltre in maniera incongrua, illogica e contraddittoria motivato la sussistenza di possibili condotte recidivanti pur in assenza di precedenti penali del ricorrente e pur essendo i tre episodi inseriti all'interno di una relazione amorosa con la persona offesa. Altrettanto difettosa, illogica e contraddittoria sarebbe la motivazione in ordine alla sussistenza dei criteri di scelta della misura, laddove il tribunale ha ritenuto che non sono emersi elementi di fatto utili a vincere la presunzione di legge di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere. Considerato in diritto 1. II primo motivo di gravame è infondato ed il secondo è inammissibile, conseguendo da ciò il rigetto del ricorso. 2. Quanto al primo motivo, va precisato che il difensore formalmente invoca la violazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 1 luglio 2014, n. 101 emanato in attuazione della direttiva 2012/13/UE sul diritto all'informazione nei procedimenti penali. E' di tutta evidenza come l'effettività, con la quale viene garantito il diritto all'informazione nel processo penale, segni, in conformità alla ratio della direttiva europea 2012/13/UE, il livello di capacità del diritto processuale interno di misurarsi con il diritto sovranazionale teso a realizzare standard omogenei nella conoscenza dell'accusa, posto che ciò rappresenta un perno del principio del processo equo articolo 6 par.3 lett. a ed e CEDU ed articolo 111,comma 3, Cost. , pretendendosi che a ogni accusato sia riconosciuto il diritto di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico e di farsi assistere da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza . Va tuttavia ricordato che il legislatore nazionale era già intervenuto con il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, intitolato Attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali a novellare la materia del diritto alla conoscenza degli atti processuali attraverso la riformulazione dell'articolo 143 cod. proc. pen. che ha espressamente attribuito due distinti diritti quello alla interpretazione e quello alla traduzione degli atti in favore dell'imputato che non comprenda la lingua italiana, facendosi carico, tra l'altro, di indicare gli atti processuali per i quali la traduzione in forma ad substantiam scritta in favore dell'imputato alloglotta è obbligatoria articolo 143, comma 2, ossia informazione di garanzia, informazione sul diritto di difesa, provvedimenti che dispongono misure cautelare personali, avviso di conclusione delle indagini preliminari, decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, sentenze, decreti penali di condanna e fermo restando che la traduzione cd. facoltativa di altri atti, ritenuti dal giudice o dalla parte essenziali per consentire di conoscere le accuse a carico , può essere disposta d'ufficio o su istanza degli interessati. Il d.lgs. n. 101 del 2014 si inserisce dunque in siffatto contesto normativo che, come è stato sottolineato, tende ad assicurare in modo penetrante la possibilità per l'imputato di conoscere del processo e del suo contenuto, con la sola rilevante differenza che le modifiche al codice di rito riguardano tutti gli imputati, a prescindere dalla lingua d'uso. Ciò posto, e per quanto qui rileva, la questione che si pone è se, in caso di omissione della traduzione scritta di atti cd. obbligatori o di omissione delle necessarie informazioni prescritte dalla novella ex d.lgs. n. 101 del 2014, possa essere fatta valere una invalidità e, in caso positivo, quale il regime che la governi. Sebbene l'articolo 143, comma 4, cod. proc. pen. affermi che l'accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall'autorità giudiziaria e sebbene con innovazione di grande rilievo l'articolo 294 comma 1-bis cod. proc. pen. preveda, tra l'altro che . Il giudice, anche d'ufficio, verifica che all'imputato in stato di custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliare sia stata data la comunicazione di cui all'articolo 293, comma 1, o che comunque sia stato informato ai sensi del comma 1-bis dello stesso articolo, e provvede, se del caso, a dare o a completare la comunicazione o l'informazione ivi indicate , deve essere confermato, anche a seguito dell'entrata in vigore dei decreti legislativi 4 marzo 2014, n. 32 e 1 luglio 2014, n. 101, che l'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare e in genere l'omessa traduzione scritta di atti che rientrano nel novero di quelli per i quali la traduzione scritta è obbligatoria nonché l'omissione delle doverose informazioni sul contenuto dell'accusa, anche fornite nella lingua conosciuta dall'accusato, non genera una nullità assoluta ed insanabile, ma soltanto una nullità generale a regime intermedio. A tale approdo, in assenza di specifiche previsioni sanzionatorie processuali circa gli atti posti in essere in violazione dei diritto all'interprete o per quegli atti in relazione ai quali sia stata omessa l'obbligatoria traduzione o la doverosa informazione, anche orale nella lingua conosciuta dall'accusato, la giurisprudenza di questa Corte è giunta sulla base dei principi affermati delle Sezioni Unite Jakani, in tema di omessa traduzione di atti ma esportabili per l'eadem ratio agli altri casi in precedenza monitorati, secondo cui la mancata traduzione dell'atto processuale nella lingua conosciuta dell'imputato, in presenza delle condizioni richieste dall'articolo 143 cod. proc. pen. come interpretato da Corte cost. 12 gennaio 1993 n. 10, integra una nullità generale di tipo intermedio articolo 178 cod. proc. pen. lett. c e articolo 180 cod. proc. pen. la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216259 , approdo al quale hanno dato continuità anche le Sezioni Unite in causa Zalagaitis riaffermando con un distinguo tra inefficacia e invalidità dell'atto che sarebbe non esportabile ai nuovi obblighi di informativa dei diritti dell'accusato e di controllo sulla conoscenza dell'accusa da parte dell'imputato alloglotta che la omessa traduzione dei provvedimento custodiale nel momento in cui è emesso, ove ne ricorra il presupposto, o la mancata nomina dell'interprete per la traduzione in sede di interrogatorio di garanzia, quando non si sia già provveduto ai sensi della norma dell'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-bis, è causa di nullità dell'atto rispettivamente, dell'ordinanza di custodia cautelare o dell'interrogatorio di garanzia nullità che deve annoverarsi, in difetto di una specifica previsione della norma dell'articolo 143 cod. proc. pen., tra le nullità contemplate dall'articolo 178 cod. proc. pen., lett. c , e articolo 180 cod. proc. pen., la cui deducibílità è soggetta a precisi termini di decadenza Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 09/02/2004, Zalagaitis . Da ciò consegue che la proposizione della richiesta di riesame ha effetti sananti della nullità conseguente all'omessa traduzione, perché in tal caso è stato raggiunto lo scopo tipico dell'atto conoscenza degli elementi costitutivi dell'accusa e possibilità di contrapporvi argomenti difensivi , sempre che la richiesta di riesame non sia stata proposta solo per dedurre la mancata traduzione dell'ordinanza cautelare Cass. Sez. 6, 20/03/2006 n. 14588, Ajbari, rv. 234036 . Si tratta di approdi abbastanza consolidati della giurisprudenza di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, con la rilevante eccezione costituita dalla pronuncia Sez. 3, n. 1527 del 26/04/1999, P.M. in proc. Braka e altri, in motivazione che, muovendo dal presupposto che le garanzie previste nell'articolo 143 cod. proc. pen., si ricolleghino ai diritti processuali fondamentali dell'imputato, elencati nell'articolo 178, lett. c e, in particolare, al diritto di quest'ultimo di essere assistito in modo da poter comprendere e partecipare al compimento degli atti del processo, afferma il principio che il rispetto di tali garanzie è prescritto a pena di nullità assoluta ed insanabile, ostativa alla possibilità per l'atto di spiegare i propri effetti. Tuttavia, in assenza di una specifica previsione sanzionatoria contenuta nel codice di rito, un ulteriore argomento, in termini di configurazione della nullità a cd. regime intermedio , è dato dall'indicazione espressa nell'articolo 3, paragrafo 8, della direttiva 2010/64/UE, che contempla la possibilità per l'imputato o indagato alloglotta di rinunciare alla traduzione, a condizione che la rinuncia sia informata, inequivocabile e volontaria Qualsiasi rinuncia al diritto alla traduzione dei documenti di cui al presente articolo è soggetta alle condizioni che gli indagati o gli imputati abbiano beneficiato di una previa consulenza legale o siano venuti in altro modo pienamente a conoscenza delle conseguenze di tale rinuncia e che la stessa sia inequivocabile e volontaria. , desumendosi da ciò che anche le fonti sovranazionali sembrano ammettere ipotesi di acquiescenza e sanatoria non compatibili con le nullità generali assolute ed insanabili. Occorre ribadire che siccome l'omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità a regime intermedio da ultimo, Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, Rv. 263236 la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e alle ipotesi di sanatoria, la proposizione della richiesta di riesame ha effetti sananti della nullità conseguente all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare personale emessa nei confronti dell'indagato che non conosce la lingua italiana, sempre che la richiesta di riesame non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione dell'ordinanza cautelare Sez. 6, n. 38584 del 22/05/2008, Olebunne, Rv. 241403 . Nel caso di specie, la richiesta di riesame avverso l'ordinanza cautelare dei g.i.p. del Tribunale di Mantova è stata invece proposta solo al fine di dedurre vizi di merito del provvedimento impugnato sicché la nullità del provvedimento, per la sua mancata traduzione in lingua comprensibile all'indagato o per le doverose informazione che si assumono omesse, non è stata reclamata in sede di riesame dell'ordinanza cautelare, né in precedenza, con la inevitabile conseguenza che la doglianza, sollevata peraltro per la prima volta con il ricorso per cassazione, non può trovare accoglimento alcuno, stante la natura a regime intermedio di detta nullità. Va ricordato che questa Corte ha precisato che il surrichiamato principio vale anche quando il riesame è chiesto dal difensore in quanto, anche in tal caso, può dirsi raggiunto lo scopo tipico dell'atto omesso, vale a dire la conoscenza degli elementi costitutivi dell'accusa e la possibilità di contrapporvi argomenti difensivi dinanzi al Collegio cautelare mediante il ricorso che l'indagato, attraverso il suo difensore, ha in concreto effettuato Sez. 2, n. 32555 del 07/06/2011, Bucki, Rv. 250763 . 3. II secondo motivo è inammissibile, avendo il tribunale cautelare ritenuto la sussistenza della gravità del quadro indiziario sul rilievo che le dichiarazioni rese dalla persona offesa sono state precise, lineari e prive di contraddizioni intrinseche, oltre che riscontrate da molteplici elementi esterni che hanno reso altamente credibile il narrato della persona offesa. La ragazza ha raccontato con precisione i luoghi delle violenze ed anche le modalità di realizzazione delle condotte sessuali patite e sempre decisamente non volute ma pretese dal ricorrente in anfratti nascosti trovati nelle diverse occasioni. A fronte di questi racconti precisi, lineari e immuni da elementi di illogicità o di contraddizione, il tribunale cautelare ha valorizzato alcuni elementi di riscontro alquanto significativi e che hanno indiscutibilmente corroborato il narrato della persona offesa, specialmente per quanto concerne la costrizione ai rapporti. La ragazza, dopo gli episodi di violenza, è stata vista piangente dalla madre e da una collega sul luogo di lavoro. La situazione psicologica della vittima è stata perciò confermata pienamente sia dalla madre della ragazza, con riguardo alla seconda violenza subita, sia da Serena, una collega della persona offesa, che ha affermato di aver visto M. arrivare di corsa sconvolta e, non appena incontrata la collega, si era messa a piangere e le aveva confidato di essere stata violentata. Altra decisiva conferma è stata desunta dal fatto che il ricorrente, secondo il lineare racconto della vittima, costringeva M. a subire le violenze facendola spogliare e posizionare per terra, circostanza che è risultata compatibile con quanto ha poi osservato la madre della persona offesa in occasione del secondo episodio, all'esito del quale, tornata a casa, la madre notava tracce di erba secca attaccate al sedere della figlia e osservava del sangue scendere dalla zona pubica della stessa. A fronte di tali acquisizioni e di altre contenute nel provvedimento impugnato, il ricorrente nulla ha replicato essendosi limitato a dichiarare che la donna l'aveva contattato più volte al telefono e quindi in qualche modo ventilando l'ipotesi di incontri sessuali consenzienti. Sul punto, il Collegio cautelare ha osservato come M. abbia sempre affermato di essere stata trascinata dall'uomo nei luoghi appartati, condotta riscontrata, almeno riguardo l'ultimo episodio, persino dalle immagini catturate dalle telecamere e incongruente con un atteggiamento consenziente della stessa peraltro sarebbe davvero incomprensibile la ragione per la quale, nell'ipotesi di consenso della ragazza, la stessa tornava dalla madre o sul posto di lavoro sconvolta e piangente. Infine il ventilato consenso agli atti sessuali è stato escluso dal tribunale distrettuale anche sul rilievo che sia i genitori della vittima che l'educatrice della comunità la descrivono come una ragazza incline a sottomettersi ed incapace di opporsi in situazioni di conflitto. Al cospetto di una esauriente motivazione, priva di qualsiasi profilo di illogicità, il ricorrente si attarda in censure fattuali con le quali prospetta una diversa lettura delle prove cautelari inammissibile nel giudizio di legittimità. 4. Quanto alle esigenze cautelari, il tribunale cautelare ha ritenuto sussistente un concreto pericolo di reiterazione di condotte analoghe da parte del ricorrente sul rilievo che questi ha approfittato delle condizioni di inferiorità psichica della vittima per dar sfogo ai propri impulsi sessuali, secondo una pianificazione degli illeciti strutturata e tutt'altro che occasionale, essendo risultato che le azioni delittuose sono state commesse in tre occasioni a distanza di tempo. Peraltro le modalità di realizzazione dei fatti e, in particolare, l'aver approfittato delle condizioni di inferiorità psichica e volitiva della ragazza con condotte articolate , in uno con la pluralità delle violenze commesse, sono state ritenute dal giudice cautelare circostanze dimostrative dei mancato controllo da parte dei ricorrente dei propri impulsi sessuali e ostative quanto alla possibilità di porre ragionevole affidamento sulle capacità di auto custodia e in generale dì auto controllo e di rispetto delle prescrizioni in capo al ricorrente. In sostanza, pur al cospetto di un reato coperto da una doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, il tribunale distrettuale si è fatto carico di un obbligo di motivazione autosufficiente per i casi in cui tali presunzioni cautelari non vigono ed il ricorrente, dal canto suo, non ha allegato alcun elemento specifico al di fuori dell'incensuratezza del tutto ininfluente nei casi di recidiva interna e di difetto di autocontrollo che, in relazione al caso concreto, avrebbe consentito di escludere la sussistenza delle esigenze cautelari o di ritenere l'adeguatezza di una misura diversa dalla custodia in carcere e che il tribunale avrebbe dovuto valutare e non ha valutato. 5. Consegue perciò il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone che copia dei presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente, a norma dell'articolo 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen. In caso di diffusione dei presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.