Bastano una lettera e le dichiarazioni rese dal correo al curatore fallimentare ad incastrare l’amministratore di fatto

È utilizzabile quale prova a carico dell’imputato la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese. Ne consegue che è corretto l’inserimento della relazione diretta al giudice delegato nel fascicolo processuale, in quanto il principio della separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi natura probatoria, preesistenti all’inizio del procedimento penale. È altresì utilizzabile, quale prova a carico dell’imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 della legge fallimentare.

Così ha statuito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 32388, depositata il 23 luglio 2015. Il caso oggetto di esame. All’esito dell’istruttoria dibattimentale di primo grado l’imputata viene ritenuta responsabile, quale amministratrice di fatto di una società, di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale. L’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto avviene sulla base di una missiva inviata dall’amministratore di diritto al curatore fallimentare, in cui veniva disvelato il ruolo di mera testa di legno dell’amministratore di diritto che, infatti, era subentrato al precedente amministratore poco prima della messa in liquidazione della società. Il curatore fallimentare aveva allegato detta missiva alle relazione redatta ex art. 33 l. fall., nel testo della quale aveva fatto propria la ricostruzione operata dalla testa di legno. Dette risultanze erano entrate nel fascicolo del dibattimento sia attraverso l’escussione dibattimentale del curatore fallimentare che la materiale acquisizione della relazione medesima e degli allegati al fascicolo ex art. 431 c.p.p Proprio tali aspetti erano stati utilizzati dal giudice di primo grado e confermati in sede di appello per ritenere provata la penale responsabilità dell’amministratore di fatto per i fatti di bancarotta contestati. Le doglianze del ricorrente. Con articolati motivi di ricorso per Cassazione il ricorrente non contesta la sussistenza delle singole condotte costitutive i fatti di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione, ma esclusivamente l’attribuzione all’imputata dello status di amministratore di fatto della società dichiarata fallita. Secondo il ricorrente, infatti, la prova del ruolo di amministratore di fatto si fondava esclusivamente su una lettera inviata dalla testa di legno, peraltro coimputato dei medesimi reati, al curatore fallimentare in vista del programmato colloquio con il medesimo, lettera che, siccome allegata alla relazione ex art. 33 l. fall., era stata acquisita al fascicolo del dibattimento. Sostiene il ricorrente che l’acquisizione di detta missiva era avvenuta in violazione del dettato degli artt. 191, 526, 513, 237 c.p.p. che non si trattava di testimonianza resa innanzi al curatore fallimentare e da costui trasfusa nella relazione fallimentare, ma di una missiva inviata da coimputato che si era poi, nel corso del dibattimento, sottratto al confronto dibattimentale e dunque alle domande della difesa sul punto. Il regime delle dichiarazioni rese al curatore. Per consolidata giurisprudenza le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina del dettato dell’art. 63, comma 2, c.p.p., secondo cui sono inutilizzabili le dichiarazioni rese all’Autorità Giudiziaria o alla polizia da chi, fin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato o indagato. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, poiché il curatore non fa parte di queste categorie, la sua attività non rientra nella previsione ex art. 220 norme coord. c.p.p Neppure trova applicazione l’art. 62 c.p.p., che preclude la testimonianza sulle dichiarazioni rese nel corso del procedimento dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini, in quanto le dichiarazioni rese al curatore non sono rese nel corso del procedimento penale Cass. Pen., sez. V, n. 33193/2014 . In precedenti occasioni la Cassazione non aveva esitato ad affermare che è utilizzabile, come prova a carico dell’imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento, trasfuse poi nella relazione redatta ex art. 33 l. fall. Cass. Pen., sez. V, n. 15218/2011 . La soluzione della Cassazione. Nel risolvere il caso in esame la Cassazione ricorda, oltre alla giurisprudenza appena richiamata, che per orientamento costante le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società. Sulla base di tali premesse, osservano gli Ermellini, è corretto l’inserimento della relazione diretta al giudice delegato nel fascicolo del dibattimento in quanto il principio di separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria rispetto all’inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da accertare. Corretta è dunque, secondo la Corte, la decisione sulla piena utilizzabilità della lettera trasmessa dall’amministratore di diritto – che poi diventerà coimputato – al curatore fallimentare. Detta lettera, infatti, siccome allegata alla relazione ex art 33 l. fall., costituisce una delle componenti di detta prova documentale. Nessuna lesione, inoltre, del contraddittorio può essere invocata in quanto sul contenuto della stessa relazione e della lettera ha deposto in dibattimento e dunque in contraddittorio fra le parti il curatore fallimentare. Un non condivisibile ulteriore passo verso la cartolarizzazione della prova orale. La pronuncia in esame appare, tuttavia, a chi scrive pericolosa sotto il profilo dell’affermazione di principi di diritto, che paiono mettere a grave repentaglio un pieno esercizio del diritto di difesa attraverso l’esame in dibattimento di testi a carico ed in particolare del coimputato che operi una chiamata in correità. Affermare infatti la piena utilizzabilità della lettera inviata dall’amministratore di diritto al curatore fallimentare significa di fatto introdurre la cartolarizzazione di una prova che dovrebbe, per contro, essere assunta in dibattimento secondo il principio dell’oralità e del contraddittorio fra le parti. Come noto, il principio della cartolarizzazione della prova orale, ormai sempre più diffuso nel nostro procedimento penale, ha trovato negli ultimi anni argine solo nelle pronunce della Corte Europea, che in primis hanno inciso anche sulla giurisprudenza nazionale in tema di necessità di riassunzione della prova orale risultante decisiva, nel caso di reformatio in peius operata nel giudizio di appello. Anche sulla questione oggetto del presente arresto giurisprudenziale non è allora vana, forse, la speranza di un intervento della giurisprudenza comunitaria che sia in grado di riaffermare il principio dell’assunzione della prova in contraddittorio fra le parti ed oralmente davanti al giudice chiamato a pronunciarsi sulla penale responsabilità dell’imputato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 marzo – 23 luglio 2015, n. 32388 Presidente Lapalorcia – Relatore Guardiano Fatto e diritto Con sentenza pronunciata il 31.10.2013 la corte di appello di Ancona confermava la sentenza con cui il tribunale di Pesaro, in data 1.12.2010, aveva condannato S.A. alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia, in quanto ritenuta responsabile dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale, commessi attraverso le condotte specificamente indicate nei capi B e C dell'imputazione, in relazione al fallimento della società TEL-SOCCORSO s.r.l. , dichiarata fallita dal tribunale di Pesaro il 5.8.2005, di cui l'imputata era amministratrice di fatto. 2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione la S. , a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Francesco Scaloni, del Foro di Ancona, lamentando violazione di legge in relazione agli artt. 191, 526, 513, 237, c.p.p. la questione sollevata dal difensore della ricorrente investe la prova del ruolo di amministratrice di fatto attribuito alla S. , che la corte territoriale, uniformandosi alla decisione del giudice di primo grado, deduce sulla base di un atto, una lettera che il coimputato G. aveva inviato al curatore fallimentare, in vista del colloquio ante relazione ex art. 33, l. fall., che non poteva essere acquisito e di cui, dunque, non poteva essere data lettura, non trattandosi di dichiarazione ovvero di testimonianza resa innanzi al curatore fallimentare e da quest'ultimo trasfusa nella relazione fallimentare, essendosi, peraltro, il G. sottratto ad ogni confronto con la difesa sul contenuto di tali dichiarazioni né l'acquisizione e l'utilizzazione a carico della S. può essere ammessa ai sensi dell'art. 237, c.p.p., che, comunque, non consente, pena la violazione dell'art. 513, co. 1, c.p.p., l'utilizzazione erga alios del contenuto del documento proveniente da un imputato in assenza del consenso della persona cui si riferiscono le dichiarazioni accusatorie d'altro canto, sempre al fine di contestare la qualifica di amministratore di fatto, la ricorrente lamenta la manifesta illogicità e la mancanza di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale ha omesso di considerare che gli stessi testi escussi in dibattimento, vale a dire il curatore fallimentare e l'agente della polizia tributaria che ha svolto le indagini, come sottolineato dalla stessa corte di appello, hanno affermato di non avere raccolto elementi tali da poter affermare che la S. abbia svolto il ruolo di amministratore di fatto della fallita. 3. Il ricorso è infondato e, pertanto, non può essere accolto. Il tema sottoposto all'attenzione di questa Corte attiene non alla sussistenza delle condotte materiali integranti i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale contestati alla S. nei capi B e C dell'imputazione come commessi in concorso con G.M. , amministratore unico e liquidatore della società fallita, condotte che la ricorrente non contesta specificamente, ma, piuttosto, alla possibilità di affermare la responsabilità per tali delitti dell'imputata per il ruolo da essa svolto di amministratrice di fatto della TEL-SOCCORSO , che, ad avviso della ricorrente, non può ritenersi provato, in quanto, da un lato, non sarebbe utilizzabile quanto riferito al riguardo dal G. in una lettera inviata al curatore fallimentare, dall'altro, come si è detto, lo stesso curatore fallimentare e l'agente della polizia tributaria che ha svolto le indagini non si sono espressi con certezza in ordine al ruolo di amministratore di fatto rivestito dalla S. . Orbene, quanto al primo rilievo, va osservato che da tempo la giurisprudenza di legittimità si è espressa sul valore probatorio da attribuire alla relazione del curatore fallimentare ed alle dichiarazioni provenienti da coimputato non comparso al dibattimento raccolte dal curatore nell'esercizio del suo ufficio. È stato affermato, in particolare, che le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, poiché gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società. Ne consegue che è corretto l'inserimento della relazione diretta al giudice delegato nel fascicolo processuale, in quanto il principio di separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti rispetto all'inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da accertare cfr. Cass., sez. V, 9.6.2004, n. 39001, rv. 229330 Cass., sez. F, 26.7.2013, n. 49132, rv. 257650 . Si è, altresì, rilevato, che è utilizzabile, quale prova a carico dell'imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell'art. 33, I. fall. cfr. Cass., sez. V, 18.1.2011, n. 15218, rv. 249959 Cass., sez. V, 6.10.2014, n. 4164, rv. 262172 . Appare, dunque, del tutto corretta la decisione della corte territoriale di utilizzare la lettera trasmessa via fax al curatore fallimentare dal G. , in cui quest'ultimo dichiarava di non avere mai svolto attività di gestione della società fallita, avendo egli accettato la carica di amministratore della TEL-SOCCORSO a titolo di mera cortesia, a tanto sollecitato dalla S. , alla quale era legato da un rapporto di amicizia cfr. p. 7 della sentenza oggetto di ricorso . Il documento, infatti, il cui contenuto è confluito nella relazione ex art. 33, l. fall. cfr. p. 10 della sentenza impugnata , costituisce una delle componenti della prova documentale, unitariamente considerata, costituita, per pacifica giurisprudenza, dalla suddetta relazione e come tale andava valutata inoltre sul suo contenuto dichiarativo, nel contraddittorio tra le parti, ha deposto il curatore fallimentare, che, come si è detto, può legittimamente testimoniare sulle dichiarazioni a lui rese da un coimputato non comparso al dibattimento e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell'art. 33, l. fall., non essendovi alcun motivo per cui tale principio non debba trovare applicazione al caso in cui le dichiarazioni del coimputato siano rese da quest'ultimo con atto scritto indirizzato al curatore, piuttosto che oralmente. Né va taciuto che la corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi, facendo corretto uso dei criteri in tema di prova logica, ha individuato anche ulteriori elementi sintomatici del ruolo di amministratore di fatto della società fallita svolto dalla S. e della natura meramente formale dell'investitura del G. , rappresentati 1 dalla circostanza che l'imputata detenesse le scritture contabili della società, consegnate a distanza di più di un anno dalla dichiarazione di fallimento, benché non rivestisse più la qualifica di amministratrice ed avesse ceduto le sue quote al G. 2 dalla nomina del G. , quale amministratore di diritto della società, con trasferimento a quest'ultimo di tutte le quote sociali della S. , effettuata, il 25 settembre del 2001, pochi mesi prima della messa in liquidazione della società, nomina priva di una concreta giustificazione, essendo intervenuta a ridosso della messa in liquidazione, evidentemente già programmata, se non nell'ottica del tentativo di addossare al G. , in qualità di amministratore di diritto, ogni responsabilità in ordine alle vicende sociali 3 dalla cessione a prezzo infimo dei beni mobili e strumentali della società ad un ex dipendente, il quale li aveva, successivamente, trasferiti ad un'associazione di volontariato Associazione Volontari Ester Pasotti - Servizio Assistenza Telesoccorso , formata dalle originarie socie della società fallita, S.A. e G.I. , che aveva sede negli stessi locali della TEL-SOCCORSO . Siffatti elementi, in uno con le dichiarazioni del G. , di cui costituiscono un'evidente conferma, delineano il ruolo di amministratore di fatto della TEL-SOCCORSO , svolto dalla S. , vero dominus della società, da lei gestita in modo non episodico od occasionale, ma sulla base di una ben precisa strategia incidente sulla vita della società stessa, in quanto volta a depauperarne il patrimonio, impedirne la ricostruzione della consistenza patrimoniale e del movimento degli affari e, non da ultimo, a creare uno schermo protettivo , con la nomina del G. , che, sotto il profilo logico, non trova razionale giustificazione se non nel senso innanzi indicato. Ciò spiega anche per quale motivo la S. possa essere considerata amministratore di fatto pur mancando la constatazione, da parte del curatore fallimentare e dell'agente di polizia tributaria incaricato delle indagini, di concreti atti di gestione della società, inattiva a partire dal 2001, da parte della S. , trattandosi, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, di un elemento inidoneo, di per sé, ad escludere la configurabilità di tale ruolo in capo all'imputata cfr. p. 8 della sentenza della corte di appello , che si desume, invece, dalla valutazione logica ed unitaria di tutte le circostanze di fatto in precedenza indicate. Tale conclusione appare del tutto conforme all'orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, accertamento che costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta, come nel caso in esame, da congrua e logica motivazione cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 20.6.2013, n. 35346, rv. 256534 , non essendo revocabile in dubbio che le scelte assunte dalla S. sulla vita della TEL-SOCCORSO sono evidente manifestazione del potere direttivo da lei esercitato sull'esistenza stessa della società. 4. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.