Esibisce la pistola per ottenere l’adempimento di un diritto di credito: non è violenza privata

L’esibizione della pistola al fine di veder adempiuta la propria pretesa creditoria non basta ad integrare gli estremi della violenza privata, dal momento che per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è espressamente prevista l’aggravante dell’uso delle armi. La differenza tra le due fattispecie va rinvenuta nell’elemento psicologico.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31654/15, depositata il 21 luglio. Il caso. Il Tribunale di Napoli riteneva un uomo responsabile del tentativo di violenza privata e, per l’effetto, lo condannava alla pena ritenuta di giustizia. La Corte d’appello territoriale rideterminava in senso più favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, dopo aver dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in relazione ad alcune delle condotte contestate per intervenuta prescrizione. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione l’uomo, lamentando il vizio di violazione di legge, non ritenendo integrati dalla propria condotta gli estremi del tentativo di violenza privata, dovendo, piuttosto, la condotta de qua qualificarsi come esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La circostanza che l’imputato, nel richiedere l’adempimento della propria pretesa creditoria, avesse appoggiato una pistola sulla scrivania del genero della persona offesa, infatti, non escludeva, secondo il ricorrente, l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in quanto le modalità della condotta non andavano oltre lo scopo di esercitare il diritto di credito senza contare, inoltre, che è lo stesso art. 393, ultimo comma, c.p., a prevedere l’aggravante dell’uso delle armi nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Va accertato il fine di esercitare un diritto. Preliminarmente, i Giudici di Piazza Cavour hanno ricordato come la giurisprudenza di legittimità abbia ormai identificato il criterio distintivo tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e il reato di violenza privata nell’elemento intenzionale mentre, infatti, la materialità del fatto può essere identica nelle due fattispecie, nel reato di cui all’art. 393 c.p. l’agente deve essere mosso dall’obiettivo di esercitare un diritto nella consapevolezza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente. La pretesa arbitrariamente attuata dall’agente, peraltro, deve corrispondere perfettamente all’oggetto concretamente tutelato dall’ordinamento giuridico, cosicché caratteristica del reato sia la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato. La condotta illegittima, inoltre, non deve eccedere in modo macroscopico i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, finendo per limitare l’altrui libertà di determinazione. L’esibizione della pistola non eccede i limiti dell’esercizio del diritto. Alla luce di tale premessa, la Corte è passata ad esaminare la condotta concretamente posta in essere dall’imputato, pacificamente finalizzata ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione debitoria. Sul punto, gli Ermellini non hanno ritenuto condivisibile la decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto l’esibizione dell’arma da parte dell’uomo incompatibile con il ragionevole intento di far valere il proprio diritto di credito. È, infatti, lo stesso art. 393, comma 3, c.p. a prevedere che l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone possa essere commesso mediante l’uso di armi, con la conseguenza che la tesi della Corte d’appello territoriale deve essere considerata come una sostanziale e non consentita abrogazione della norma sopra richiamata. Quanto, invece, all’eventuale superamento da parte del ricorrente dei limiti insiti nel fine di esercitare con la propria condotta, sia pure arbitrariamente, un diritto, la Corte ha ritenuto non particolarmente allarmanti le modalità di utilizzo dell’arma da parte dell’uomo, che si era limitato ad esibirla appoggiandola su una scrivania. Sulla base delle considerazioni sopra svolte, pertanto, la Corte di Cassazione ha ritenuto di riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 393, commi 1 e 3, c.p., annullando la sentenza impugnata con rinvio per la determinazione della pena.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 gennaio – 21 luglio 2015, n. 31654 Presidente Bruno – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 27.11.2013 la corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Napoli, in data 18.2.2009, nel procedimento sorto a carico di F.C. , imputato dei reati ex artt. 81, cpv., 644, c.p. capo A e 61, n. 2, 629, c.p., capo B , aveva condannato il suddetto F. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al solo reato di cui al capo B , dopo averlo riqualificato in tentativo di violenza privata continuata, assolvendolo dal delitto di cui al capo A , rideterminava in senso più favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, dopo avere dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in relazione alle condotte di cui al capo B contestate come commesse nell'anno 2001, per estinzione del reato, conseguente ad intervenuta prescrizione, confermando nel resto l'impugnata sentenza in ordine alla sola condotta contestata come commessa il 13.2.2006. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, l'imputato ha proposto tempestivo ricorso per cassazione per mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Bruno von Arx, del Foro di Napoli, con cui lamenta il vizio di violazione di legge, in quanto nella condotta del F. non è ravvisabile il tentativo di violenza privata ma il semplice esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che non è escluso dalla circostanza che l'imputato, nel momento in cui ha formulato la propria pretesa creditoria, ha appoggiato una pistola sulla scrivania del genero della persona offesa, in quanto tali modalità della condotta evidenziano come la stessa non vada oltre lo scopo di esercitare il diritto creditorio inoltre, evidenzia il ricorrente, la previsione della circostanza aggravante dell'uso di armi contenuta nell'art. 393, ultimo comma, c.p., rende evidente che l'uso di un'arma non è di perse incompatibile con l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. 3. Il ricorso è fondato e va accolto nei termini che seguono. 4. Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha definito i rapporti che intercorrono tra le diverse fattispecie di cui agli artt. 610 e 393, c.p., giungendo alla condivisibile conclusione, che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone si differenzia da quello di violenza privata - che ugualmente contiene l'elemento della violenza o della minaccia alla persona - non nella materialità del fatto, che può essere identica in entrambe le fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale, in quanto nel reato di cui all'art. 393, c.p., come in quello di cui all'art. 392, in cui la violenza è esercitata sulle cose, l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, richiedendosi, inoltre, che la sua condotta rivesta i connotati dell'arbitrarietà. La pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve, peraltro, corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico di guisa che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato è, inoltre, necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell'altrui libertà di determinazione, giacché, in tal caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all'art. 610 c.p. cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 16/05/2014, n. 23923 rv. 260584 Cass., sez. V, 28/01/2014, n. 23216 Cass., sez. V, 28/11/2013, n. 7468, rv. 258985 . Tanto premesso, nel caso in esame si tratta di verifica re se la condotta posta in essere dall'imputato, pacificamente volta ad ottenere l'adempimento di un'obbligazione debitoria, la cui legittimità non viene messa in discussione, gravante sul P. , esibendo una pistola, che appoggiava su di una scrivania, nel momento in cui, recatosi presso lo stabilimento di quest'ultimo, aveva formulato la relativa pretesa nel corso di una breve conversazione avuta con il Fe.Ci. , genero del P. , abbia oltrepassato o meno i limiti dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, trasmodando nel più grave reato di tentativo di violenza privata. La corte territoriale ha risolto tale questione nel senso di ritenere l'esibizione dell'arma incompatibile con il ragionevole intento da parte del F. di far valere il proprio diritto di credito, peraltro, già riconosciuto dal tribunale di Modena, che aveva emesso decreto ingiuntivo, opposto dal debitore. Tale decisione non può condividersi, in quanto non tiene conto che lo stesso art. 393, co. 3, c.p., prevede espressamente che la violenza o la minaccia, in cui si concretizza l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, possa essere commessa con armi. Ne consegue che l'assunto della corte territoriale, per come motivato, si traduce in una sostanziale e non consentita abrogazione tacita della menzionata disposizione normativa, ponendosi, inoltre, in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all'elemento differenziatore tra le due fattispecie di reato, che, come si è detto, non può essere individuato nella materialità del fatto, che permane identico anche nella forma aggravata dall'uso delle armi, posto che all'aggravante di cui al citato art. 393, co. 3, c.p., corrisponde quella prevista per la violenza privata commessa con armi dal combinato disposto degli artt. 610, co. 2 e 339, co. 1, c.p. cfr., in questi sensi, Cass., sez. II, 1.10.2013, n. 705, rv. 258071 . Escluso, dunque, che la semplice esibizione di un'arma da parte dell'agente possa essere considerata di per sé un ostacolo alla configurazione del delitto di cui all'art. 393, c.p., occorre stabilire se con la condotta serbata il F. abbia macroscopicamente ecceduto i limiti insiti nel fine di esercitare, sia pure arbitrariamente, un preteso diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell'altrui libertà di determinazione, in termini di particolare gravità. La risposta non può che essere negativa, proprio per le modalità non particolarmente allarmanti con cui è stata utilizzata l'arma, non è dato sapere se carica o meno, che l'imputato si è limitato ad esibire, riponendola su di una scrivania, senza puntarla all'indirizzo del Fe. ed al riguardo non può non rilevarsi come di ben altro spessore siano state le minacce poste in essere nel caso concreto esaminato nella decisione n. 35610 del 27.6.2007, del Supremo Collegio richiamata dalla corte territoriale, in cui la vittima era stata intimorita con minacce di morte dagli imputati, che all'uopo si erano serviti di una pistola e di un ordigno esplosivo . 5. Sulla base delle svolte considerazioni la condotta addebitata al F. , va, pertanto, riqualificata ai sensi dell'art. 393, co. 1 e 3, c.p., imponendosi, non essendo perento a tutt'oggi il relativo termine di prescrizione nella sua estensione massima, in considerazione dei periodi di sospensione del relativo decorso intervenuti in primo ed in secondo grado, l'annullamento della sentenza impugnata ad altra sezione della corte di appello di Napoli, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, con l'ovvia precisazione, imposta dall'art. 624, c.p.p., che l'impugnata sentenza deve ritenersi passata in giudicato nella parte in cui afferma la responsabilità del F. per la commissione del fatto storico qualificato da questa Corte come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone commessa con armi. P.Q.M. Riqualificato il fatto ai sensi dell'art. 393, co. 1 e 3, c.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Napoli per la determinazione della pena.