Niente responsabilità penale per chi segnala il comportamento scorretto del legale di controparte se il fatto denunciato è vero

Nessuna critica può essere mossa a chi denuncia un comportamento scorretto del legale di controparte, se il professionista ha effettivamente tenuto un comportamento contrario al dovere di verità e probità.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 31674/15, depositata il 21 luglio. Il caso. Il gdp di Perugia, con sentenza confermata dal Tribunale del medesimo luogo, aveva ravvisato la penale responsabilità di una donna per diffamazione del legale che aveva assistito la sua controparte in un procedimento monitorio, condannandola alla pena ritenuta di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile. La donna aveva inviato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia un esposto in cui accusava il legale di avere indicato documenti diversi da quelli effettivamente prodotti con la palese intenzione di trarre in inganno il giudice , che, in effetti, aveva addirittura concesso la provvisoria esecuzione del decreto senza che sussistessero i requisiti di legge. Ricorreva per cassazione la donna, lamentando di aver segnalato un fatto vero e che, pertanto, la sua condotta doveva ritenersi scriminata dall’esercizio del diritto. Il dovere di probità e di verità dell’avvocato fonda il diritto di critica. Il Supremo Collegio ha, innanzitutto, affermato il diritto della ricorrente di criticare l’operato del legale di controparte – diritto che ben poteva essere esercitato mediante la presentazione di un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, al quale spetta competenza disciplinare sugli iscritti all’Ordine medesimo. Ciò in quanto la professione legale, ai sensi dell’art. 3, l. n. 247/2012 Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza , uniformandosi ai principi del codice deontologico, anche nei rapporti con controparte. L’art. 14 del codice deontologico forense, infatti, prevede un dovere di verità a carico dell’avvocato, le cui dichiarazioni rese in giudizio in relazione alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi – presupposto di uno specifico provvedimento del magistrato e di cui l’avvocato abbia diretta conoscenza – devono essere vere e, comunque, tali da non indurre il giudice in errore. L’accertamento va focalizzato sul fatto denunciato. La responsabilità della donna, proseguono i Giudici di Piazza Cavour, deriva, secondo i giudici di merito, dall’aver espresso il convincimento che il legale di controparte avesse agito fraudolentemente in suo danno. Il giudizio espresso, tuttavia, secondo la Corte non basta a fondare la responsabilità penale della ricorrente, dal momento che esso riguarda un fatto per sua natura non obiettivo, e quindi riflette l’opinione di chi lo esprime. Punto focale dell’indagine, invece, avrebbe dovuto essere il fatto denunciato dalla donna se, infatti, il professionista avesse effettivamente indicato nella richiesta di decreto ingiuntivo documenti diversi da quelli realmente prodotti, nessuna critica avrebbe potuto essere mossa alla ricorrente, dal momento che l’esercizio del diritto è incompatibile con la responsabilità, sia essa penale o civile, salvo che la segnalazione dell’errore del legale non sia stata un mero pretesto per attaccarne la sfera morale. Per tutte le motivazioni sovraesposte, pertanto, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, rinviando al giudice di merito per un nuovo accertamento, da effettuarsi alla luce dei criteri indicati.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 maggio – 21 luglio 2015, n. 31674 Presidente Fumo – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Il Giudice di pace di Perugia, con sentenza confermata dal locale Tribunale, ha ritenuto B.P. responsabile di diffamazione in danno dell'avv. P.F. e l'ha condannata a pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi costituita parte civile. L'imputata aveva inviato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Perugia un esposto in cui accusava l'avv. P. di avere, in una richiesta di decreto ingiuntivo, indicato documenti diversi da quelli effettivamente prodotti con la palese intenzione di trarre in inganno il giudice, il quale, in effetti, ha addirittura concesso la provvisoria esecuzione del D.I. senza che sussistessero i requisiti di legge . 2. Ha presentato ricorso per Cassazione, nell'interesse dell'imputata, l'avv. Guglielmo Santarelli lamentando la violazione dell'art. 51 cod. pen., in quanto B.P. , destinataria del decreto ingiuntivo, aveva segnalato un fatto vero l'allegazione al ricorso per decreto ingiuntivo di un documento diverso da quello indicato in calce al ricorso stesso , sicché la sua condotta doveva ritenersi scriminata dall'esercizio del diritto. Considerato in diritto Il ricorso è fondato per i motivi di seguito esposti. 1. È fuori discussione che B.P. avesse il diritto di criticare - ai sensi dell'art. 51 cod. pen. - l'operato del legale di controparte e che tale diritto poteva esercitare con un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, che ha competenza disciplinare - avente rilevanza pubblicistica - sugli iscritti all'Ordine. La professione legale è, infatti, disciplinata dalla legge, che ne richiede l'esercizio con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza , nonché uniformandosi ai principi del codice deontologico, anche nei rapporti con la controparte art. 3 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 - Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense . Non a caso, il codice deontologico forense, approvato nella seduta del Consiglio Nazionale Forense del 31/1/2014, prevede, all'art. 14, un dovere di verità a carico dell'avvocato, che investe le dichiarazioni rese in giudizio e relative alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi, che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato, e di cui l'avvocato abbia diretta conoscenza , le quali devono essere vere e comunque tali da non indurre il giudice in errore . Tali previsioni fondano il diritto di ogni parte processuale a criticare, anche dinanzi agli organi della giustizia disciplinare, il comportamento del legale che non si uniformi al principio di probità e di verità sopra enunciato, trattandosi di principi posti, espressamente, a tutela di tutti i protagonisti del processo. 2. Facendo applicazione di tali principi al caso specifico, consegue che B.P. aveva il diritto di criticare il legale della controparte, ove questi non si fosse attenuto ai principi di verità e di lealtà sopra esposti, in quanto pregiudicata dalla loro inosservanza. L'esame di tale problematica risulta del tutto pretermessa nel provvedimento impugnato, il quale, rifacendosi integralmente alla motivazione del primo grado, ha rilevato che l'uso del termine palese intenzione e di trarre in inganno si configurano come forme di dolo intenzionale dell'avv. P. che avrebbe aggirato il giudice si da indurlo a concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo senza che ne sussistessero i presupposti. Nel caso di specie si va ben oltre la scriminante dell'art. 51 c.p. perché l'avv. P. , secondo l'imputata, avrebbe agito trasversalmente tanto da indurre i giudici ad agire a suo danno”. Da ciò si arguisce che la responsabilità di B. deriva - secondo il Tribunale e il Giudice di pace - dall'aver espresso il convincimento che l'avv. P. avesse agito fraudolentemente in suo danno. L'espressione di tale giudizio non può, però, fondare - per sé solo - una responsabilità penale dell'imputata, trattandosi, all'evidenza, del giudizio su un fatto che, per sua natura, non è obbiettivo, ma riflette l'opinione del soggetto che lo esprime. In realtà, l'indagine andava focalizzata sul dato di fatto rappresentato dalla denunciante, ovverossia se nella richiesta di decreto ingiuntivo fossero stati indicati, dall'istante, documenti diversi da quelli effettivamente prodotti , che abbiano consentito alla parte di ottenere un provvedimento giudiziale che, altrimenti non avrebbe potuto ottenere. È l'accertamento della realtà di fatto che è idoneo ad influenzare il giudizio sulla condotta dell'imputata, giacché, se effettivamente l'avv. P. avesse fatto quanto denunciato, nessuna censura potrebbe essere mossa alla denunciante, poiché l'esercizio del diritto è incompatibile - anche a livello putativo - con la responsabilità, sia essa penale o civile, purché l'errore in cui il legale sia incorso sia stato effettivamente all'origine delle rimostranze dell'imputata e purché il rilevamento di un siffatto errore non sia stato solo un pretesto per aggredire la sfera morale del denunciato. Consegue a quanto sopra che la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Perugia per nuovo esame, da condurre alla luce dei criteri sopra esposti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Perugia.