Calcolo del presofferto: la custodia in carcere recide i legami con il sodalizio?

Ai fini dell’istanza di fungibilità per il presofferto, l’onere della prova sulla cessata permanenza del reato di associazione contestato in forma aperta non grava sul condannato, ma sull’accusa. Peraltro, in assenza di dimostrate manifestazioni di ausilio al sodalizio, la perdita della libertà personale rappresenta da sé elemento idoneo ad assumere reciso ogni legame materiale tra gli associati.

Lo ha stabilito la I sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 30733, depositata il 16 luglio 2015. L’istanza di fungibilità . Nel caso di specie, un condannato per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti art. 74, d.P.R. n. 309/90 , ha presentato al giudice dell’esecuzione un’istanza di fungibilità ex art. 657, comma 4, c.p.p quanto al presofferto dovuto a una custodia cautelare in carcere – a suo dire, subita sine titulo – per oltre tre anni. L’attenzione dell’adita Corte d’appello si è appuntata sull’accertamento dell’esatto momento in cui poteva ritenersi cessata la condotta di reato per il quale era stata inflitta la condanna la norma processuale invocata dall’istante, infatti, prevede che sono computate soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo [e non prima, n.d.r.] la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire . La ripartizione dell’onere della prova . I giudici della Corte territoriale hanno respinto la domanda di fungibilità rilevando la mancata dimostrazione, da parte della difesa, di ogni prova in ordine all’avvenuta cessazione della permanenza criminosa, quantomeno prima della data di emissione della sentenza di primo grado. Al condannato non è rimasto che rivolgersi, in ultima istanza, alla Suprema Corte, cui è stato chiesto l’annullamento della sentenza reiettiva. Nella prospettiva del ricorrente, il giudice dell’esecuzione avrebbe errato nell’addossare l’onere della prova in capo all’istante. E tanto ha condiviso anche lo stesso Procuratore generale. In dubio pro reo?. I giudici romani - nell’accogliere il ricorso, per l’effetto annullando la sentenza della Corte d’appello - hanno radicalmente invertito l’onere della prova. Ed invero, secondo la Corte - si legge nella sentenza in epigrafe - a fronte di un reato permanente contestato, come nel caso di specie, in forma aperta i.e . senza che nel capo di imputazione sia stata indicata la data di cessazione della condotta illecita , la regola per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado ha natura meramente processuale e, soprattutto, non può equivalere ad una presunzione di colpevolezza dell’imputato fino a quella data. La custodia in carcere recide il legame con il sodalizio. È, dunque, esclusivo onere dell’accusa provare se dalla data della sentenza di primo grado debba o meno farsi discendere un qualsiasi effetto giuridico i.e. la permanenza, fino a quel momento, della condotta criminosa . Il giudice dell’esecuzione, da parte sua, dovrà accertare – in concreto – se e in che termini la condotta criminosa si sia effettivamente protratta fino a detto termine, ripercorrendo scrupolosamente il giudizio operato, a suo tempo, dal giudice di cognizione. Tanto farà - osserva il Palazzaccio - nell’esercizio di penetranti poteri valutativi di natura officiosa che gli sono attribuiti dall’ordinamento nell’interpretazione del giudicato, tenendo conto del principio per cui, essendo il reato associativo contestato in forma aperta” la permanenza dell’appartenenza ad un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti dopo che l’associato sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere non può essere affermata per la sola assenza di indici positivi di dissociazione in assenza di materiali manifestazioni di ausilio al sodalizio, infatti, la perdita della libertà personale rappresenta un elemento in sé idoneo a far ritenere recisi i legami materiali tra gli associati.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 marzo – 16 luglio 2015, n. 30733 Presidente Siotto – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 17.04.2014 la Corte d'appello di Napoli, in funzione di gìudìce dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza di fungibilità ex art. 657 cod.proc.pen. formulata da I.S. con riguardo al presofferto costituito dalla custodia cautelare subita sine titulo nella misura di anni 3 mesi 5 giorni 7 per i reati di cui agli artt. 73 e 74 DPR n. 309 del 1990, dai quali era stato assolto con sentenza in data 1.03.2010 della medesima Corte territoriale. La Corte di merito rilevava che non vi era prova dei passaggio in giudicato della invocata pronuncia assolutoria e che comunque, in relazione al reato associativo di cui all'art. 74 DPR n. 309 del 1990 ascritto al capo A37 della sentenza di condanna pronunciata il 28.12.2011 dalla Corte d'appello di Napoli, che aveva irrogato la pena alla cui esecuzione l'I. chiedeva di imputare il presofferto per ìl titolo fungibile, non risultava accertata la cessazione della permanenza della condotta partecipativa in data antecedente l'arresto dell'imputato dei 28.07.2006, così che non appariva verificata la condizione alla quale il comma 4 dell'art. 657 del codice di rito subordina l'operatività della causa dì fungibilità. 2. Ricorre per cassazione I.S., a mezzo dei difensore, deducendo quattro motivi di gravame coi quali lamenta violazione di legge e vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, in relazione agli artt. 666, 657 commi 2 e 4, 125 comma 3, 533, 605, 299, 274 del codice di rito, 74 comma 2 DPR n. 309 del 1990, 158 e 49 cod. pen., 13, 25 e 27 Cost., sotto i seguenti profili - premesso di avere in corso di espiazione la pena di anni 10 di reclusione inflitta con sentenza ìn data 28.12.2011 della Corte d'appello di Napoli per il reato associativo di cui all'art. 74 DPR n. 309 del 1990 contestato in permanenza con formula aperta al capo A37 della rubrica, il ricorrente censura l'erronea attribuzione al condannato, che in sede esecutiva assuma la cessazione della permanenza in data anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado nella fattispecie avvenuta il 7.10.2009 , dell'onere di fornire la prova sul punto il ricorrente rileva che la regola presuntiva secondo cui la permanenza dei reato deve ritenersi cessata alla data della sentenza dì primo grado ha valenza esclusivamente processuale e non comporta alcuna inversione dell'onere della prova sul momento di effettiva cessazione della condotta, che deve essere accertato ìn concreto dal giudice dell'esecuzione allorché ne debba conseguire un qualsiasi effetto giuridico richiesto dal condannato deduce che nella fattispecie l'attività di spaccio di stupefacenti per la quale era intervenuta la condanna in corso di espiazione risaliva agli anni 1996-1997 e che per tali fatti l'I. era stato arrestato nel novembre dei 1999 e rinviato a giudizio il 9.11.2000, venendo quindi scarcerato il 18.12.2002 nel corso dei giudizio di primo grado definito il 7.10.2009 per sopravvenuta carenza di esigenze cautelare - la sentenza di condanna pronunciata il 28.12.2011 dalla Corte d'appello di Napoli aveva ritenuto consumati ì reati, da essa giudicati, in data antecedente il dicembre dei 2005, agli effetti dell'applicazione del trattamento sanzionatorio più favorevole previsto dagli artt. 99 e 416 bis cod. pen. nel testo precedente la novella di cui alla legge n. 251 del 2005, così che anche la cessazione della permanenza dei reato associativo di cui al capo A37 doveva collocarsi in epoca anteriore a tale data, in conformità a quanto accertato dalla sentenza di primo grado sull'epoca di operatività del sodalizio criminoso e sulla partecipazione del ricorrente, a cui carico risultavano esclusivamente gli elementi di prova tratti dalle intercettazioni telefoniche e dagli accertamenti di p.g. risalenti al 1997 - la cessazione della permanenza della violazione dell'art. 74 DPR 309 del 1990 quantomeno al 18.12.2002 era confermata dalla scarcerazione del ricorrente, in tale data, per sopravvenuta carenza di esigenze cautelare, che risultava di per sé inconciliabile con la successiva permanenza della condotta associativa fino al 2009, specie a fronte della qualità di mero partecipe dell'I. - l'irrevocabilità, in data 16.07.2010, della sentenza pronunciata l'1.03.2010 dalla Corte d'appello di Napoli con cui il ricorrente era stato assolto dai reati per i quali era stato arrestato il 28.07.2006 e detenuto fino al 5.01.2010, era stata documentata in udienza dalla difesa mediante produzione della relativa attestazione, e la relativa circostanza era in ogni caso accertabile dal giudice dell'esecuzione nell'esercizio dei suoi poteri istruttori. 3. II Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. II ricorso è complessivamente fondato, e deve essere accolto, per le ragioni che seguono. 2. Questa Corte ha affermato il principio per cui, in presenza di un reato permanente quale è quello associativo di cui all'art. 74 DPR n. 309 del 1990 , in relazione al quale la contestazione sia stata effettuata, nel giudizio di merito, nella forma c.d. aperta, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado ha natura processuale, e non equivale a presunzione di colpevolezza dell'imputato fino a quella data, con la conseguenza che se dall'individuazione di quest'ultima debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico, spetta all'accusa di fornire la prova - e al giudice di verificare in concreto - se la condotta criminosa si sia protratta fino al suddetto limite processuale Sez. 1 n. 39221 del 26/02/2014, Rv. 260511 Sez. 3 n. 68 del 25/11/2014, Rv. 261792 in particolare, per quanto qui interessa, se la relativa questione venga posta dal condannato in sede esecutiva agli effetti, nella specie, della ricorrenza dei presupposti di applicazione dell'art. 657 dei codice di rito , spetta al giudice dell'esecuzione il compito dì verificare se il giudice della cognizione abbia o meno ritenuto provato che la permanenza dei reato si è effettivamente protratta fino alla pronuncia della sentenza di primo grado Sez. 1 n. 33053 del 12/07/2011, Rv. 250828 . 3. Tale verifica non è stata effettuata dall'ordinanza impugnata, con riguardo alla data di effettiva cessazione della condotta partecipativa del ricorrente al sodalizio di cui all'art. 74 DPR n. 309 del 1990, contestata in forma aperta al capo A37 della sentenza - pronunciata in primo grado il 7.10.2009 - con cui l'I. è stato condannato alla pena in corso di espiazione, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la prova della cessazione della relativa permanenza in una data diversa e comunque antecedente l'arresto dell'I. il 28.07.2006 per i diversi reati dai quali è stato assolto con la sentenza dell'1.03.2010, e in relazione ai quali è stata formulata l'istanza di fungibilità del presofferto, grava sulla parte che la deduce e non deve invece essere accertata d'ufficio. Il relativo accertamento risulta fondamentale agli effetti di verificare se nel caso di specie debba trovare applicazione, come ha ritenuto il giudice dell'esecuzione, il limite alla regola della fungibilità della pena e della custodia cautelare sofferta senza titolo, stabilito dal 4° comma dell'art. 657 cod.proc.pen., per cui non è computabile nella pena da eseguire la custodia cautelare subita senza titolo prima della commissione dei reato al quale si riferisce la pena da espiare. A tale accertamento deve dunque procedere il giudice dell'esecuzione, nell'esercizio dei penetranti poteri valutativi di natura officiosa che gli sono attribuiti dall'ordinamento nell'interpretazione dei giudicato da ultima, vedi Sez. Un. n. 42858 del 29/05/2014, Gatto , tenendo conto altresì dei principio per cui, essendo il reato associativo contestato in forma aperta per cui è intervenuta la condanna dei ricorrente quello di cui all'art. 74 DPR n. 309 del 1990 e non quello di cui all'art. 416 bis cod. pen. , la permanenza dell'appartenenza a un'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti dopo che l'associato sia stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere non può essere affermata per la sola assenza di indici positivi di dissociazione, posto che, in difetto di manifestazioni positive di ausilio ai sodalizio, la perdita della libertà personale risalente, nel caso dell'I., al novembre dei 1999, dieci anni prima della pronuncia della sentenza di primo grado rappresenta un elemento fattuale di primaria rilevanza, idoneo a far ritenere recisi, in assenza di elementi contrari, i legami materiali tra gli associati Sez. 1 n. 48398 dei 6/10/2011, Rv. 251584 . 4. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio per nuovo esame dell'istanza di fungibilità da compiersi nell'osservanza dei principi sopra indicati, previa verifica dell'irrevocabilità allegata dal ricorrente della sentenza assolutoria in data 1.03.2010 dai reati per i quali è stata sofferta sine titulo la custodia cautelare, alla Corte d'appello di Napoli. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Napoli.