Numero limitato di dosi, ma spaccio professionale, utilizzando una minorenne come ‘deposito’: carcere confermato

Decisivi i controlli e le ricostruzioni effettuate dalle forze dell’ordine, che hanno consentito di tracciare in dettaglio i contorni dello spaccio di marijuana messo in atto da un uomo. Rilevante non solo il contesto, e il profitto realizzato in poco tempo, ma anche l’impiego di una ragazza, che custodiva le dosi nella borsetta.

Custodia cautelare in carcere. Nessuna possibilità di ‘salutare’ la propria cella per l’uomo, beccato dalle forze dell’ordine a spacciare marijuana. Provvedimento necessario, alla luce delle accuse, che portano a ipotizzare una pena detentiva pari almeno a tre anni. Impensabile l’applicazione della lieve entità. Decisiva la gestione professionale dell’attività criminosa, resa ancor più grave dall’utilizzo come ‘deposito’ ambulante di una ragazza minorenne Cassazione, sentenza n. 30500, sez. IV Penale, depositata oggi . Spaccio. Nessun dubbio per i giudici di merito pur a fronte di un quantitativo di droga relativamente modesto – pari a trentuno dosi di marijuana –, le modalità dello spaccio sono valutate come indicative del carattere professionale della attività criminosa . Ciò porta ad escludere l’ ipotesi del fatto di lieve entità , e, di conseguenza, a confermare la misura cautelare carceraria . Nonostante tutto, però, l’uomo decide comunque di proporre ricorso in Cassazione, contestando proprio l’elemento centrale nelle valutazioni dei giudici di merito egli sostiene, in sintesi, che non siano state affatto chiarite le ragioni per cui si ritiene che le sue condotte siano indicative della professionalità a delinquere . Spregiudicatezza. Nodo gordiano, evidentemente, è la gravità indiziaria , chiarissima per i giudici, e discutibile per l’uomo finito sotto accusa e in galera. Ebbene, su questo fronte, per i giudici del ‘Palazzaccio’ è corretta la lettura, proposta nei primi due gradi di giudizio, del compendio indiziario raccolto dagli inquirenti sullo spaccio di marijuana messo in atto dall’uomo. Più precisamente, viene evidenziato che l’uomo operava in una zona abitualmente frequentata da spacciatori , e viene aggiunto che il continuo andirivieni di autovetture – registrato dalle forze dell’ordine – era indicativo del fatto che l’uomo costituiva un punto di riferimento, nella zona, per le persone interessate all’acquisto di droga . Significativo, in questa ottica, il fatto che in pochissimo tempo sia stato possibile ricavare la somma di 130 euro dall’attività di spaccio . Ulteriore conferma sulla spregiudicatezza dell’uomo, infine, l’avere esercitato l’attività di spaccio utilizzando come ‘deposito’ una ragazza minorenne , la quale custodiva nella borsetta dosi di marijuana identiche a quelle sequestrate all’uomo. Assolutamente improponibile, sanciscono i giudici, l’ipotesi del fatto di lieve entità . Da confermare, invece, la prognosi di condanna ad una pena detentiva superiore a tre anni . Tutto ciò conduce a ritenere legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 – 15 luglio 2015, n. 30500 Presidente D’Isa – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. II Tribunale di Catania, con ordinanza in data 13.02.2015, applicava nei confronti di P.S. la misura cautelare carceraria in riferimento all'imputazione provvisoria ex art. 73, d.P.R. n. 309/1990. 2. II Tribunale del Riesame di Catania, con ordinanza in data 25.02.2015, confermava il provvedimento genetico. Il Collegio rilevava, in particolare, che pure a fronte di una quantitativo di droga relativamente modesto rinvenuto nella disponibilità del prevenuto par a 31 dosi di marijuana le modalità dello spaccio erano indicative del carattere professionale della attività criminosa, di talché doveva escludersi la configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. 3. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione P.S., a mezzo dei difensore. L'esponente con unico motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in riferimento al mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui all'art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/990. Al riguardo, osserva che il Tribunale non chiarisce le ragioni per le quali ritiene che l'azione sia indicativa della professionalità a delinquere. Rileva che le dosi sequestrate al prevenuto sono 21 e che la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che in ipotesi di piccolo spaccio risulta configurabile l'ipotesi di cui al V comma dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990. Considerato in diritto 1. Il ricorso muove alle considerazioni che seguono. In riferimento all'apprezzamento della gravità indiziaria, l'ordinanza impugnata risulta immune dalle dedotte censure. Giova considerare, nel procedere all'esame delle doglianze mosse dal ricorrente rispetto alla gravità indiziaria, che il controllo di legittimità relativo ai provvedimenti de libertate , secondo giurisprudenza consolidata, è circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento cfr. Cass. Sez. IV sentenza n. 2146 del 25/5/95, dep. 16.06.1995, Rv. 201840 e, da ultimo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 56 del 07/12/2011, dep. 04/01/2012, Rv. 251760 . La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen., è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo dei provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda ne' la ricostruzione dei fatti, ne' l'apprezzamento del giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito ex multis Cass. Sez. 1, sentenza n. 1769 del 23.3.95, dep. 28.04.1995, Rv. 201177 , sicché, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandata al giudice di merito la valutazione dei peso probatorio degli stessi, mentre alla Corte di Cassazione spetta solo il compito di verificare se il decidente abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie Cass. Sez. 4 sentenza n. 22500 del 3.05.2007, dep. 8.06.2007, Rv. 237012 si veda anche Cass. Sez. U. sentenza n. 11 del 21.04.1995, dep. in data 1.08.1995, Rv. 202001 . Orbene, nel caso di specie, il ricorrente ribadisce sostanzialmente le censure già dedotte in riferimento al provvedimento cautelare genetico, con riguardo alla sussumibilità della condotta nell'ambito della fattispecie di reato di cui all'art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. Occorre allora considerare che, in riferimento alle condizioni per l'applicabilità della predetta ipotesi di cui al V comma dell'art. 73, cit., secondo il prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, al quale il Collegio si conforma per condivise ragioni, ai fini della concedibilità o del diniego della fattispecie di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione mezzi, modalità e circostanze della stessa , sia quelli che attengono all'oggetto materiale dei reato quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa , dovendo escludere la concedibilità dell'attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione dei bene giuridico protetto sia di lieve entità cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649 . E bene, il Tribunale ha proceduto al vaglio critico del complessivo compendio indiziario raccolto dagli inquirenti. Ed ha considerato che P. operava in una zona abitualmente frequentata da spacciatori che il personale operante aveva avuto modo di verificare il continuo andirivieni di autovetture, indicativo del fatto che il prevenuto costituiva un punto di riferimento, nella zona, per i soggetti interessati all'acquisto di droga e che P., in pochissimo tempo, aveva avuto modo di ricavare la somma di € 130,00 dall'attività dì spaccio. Oltre a ciò, il Tribunale ha sottolineato che il prevenuto aveva agito con spregiudicatezza, avendo esercitato l'attività di spaccio mentre si trovava con una ragazza minorenne, la quale custodiva nella borsetta dosi di marijuana identiche a quelle sequestrate al P Sulla scorta di tali rilievi, il Tribunale ha osservato, in esito ad un percorso argomentativo immune da aporie di ordine logico e perciò non sindacabile in sede di legittimità, che doveva essere condivisa la valutazione espressa dal primo giudice, circa la non configurabilità dell'autonoma ipotesi di reato di cui all'art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990 e che, conseguentemente, doveva pure essere confermata la prognosi di condanna dell'imputato ad una pena detentiva superiore a tre anni. 2. Al rigetto dei ricorso segue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali. Viene disposta la trasmissione di copia della presente ordinanza al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia dei presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94 comma 1 ter disp. att. del cod. proc. pen.,