Percosse e richiami offensivi al figlio: è violenza, non educazione vecchio stampo

Definitiva la condanna per un padre, destinato a scontare venti mesi di reclusione per le condotte violente, sia fisiche che psichiche, nei confronti del figlio minore. Risibile l’ipotesi, prospettata dall’uomo, di un semplice, e meno grave, abuso dei mezzi di correzione.

Figura – e comportamenti – da ‘padre padrone’ d’altri – lontani, per fortuna – tempi. A doverne subire le conseguenze, sulla propria pelle – letteralmente –, il figlio, un ragazzo costretto a subire non solo botte ma anche rimproveri e offese umilianti. Quadro davvero triste, che legittima, però, la condanna dell’uomo per il reato di maltrattamenti in famiglia. Impensabile il richiamo – fatto dal difensore – all’ipotesi di un semplice abuso dei mezzi di correzione Cassazione, sentenza n. 30436, sez. VI Penale, depositata oggi . Botte e offese. Linea di pensiero comune per i giudici di merito sia in Tribunale che in Corte d’appello, difatti, è ritenuta non discutibile la responsabilità di un padre per i maltrattamenti e le lesioni nei confronti del figlio minore . Logica la condanna, anche se, in secondo grado, la pena viene ridotta a un anno e otto mesi di reclusione . Questa vittoria, seppur minima, non è ritenuta soddisfacente dall’uomo, il quale decide addirittura di presentare ricorso in Cassazione, sostenendo, in sostanza, che le sue condotte siano valutabili come semplice abuso dei mezzi di correzione . Secondo il padre, difatti, son sempre mancate, nei confronti del figlio, una condotta di sopraffazione sistematica, tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa e un programma diretto a ledere la integrità morale del ragazzo. Ciò perché, a suo dire, le condotte poste in essere erano volte unicamente all’esercizio, pur se in ipotesi eccessivo, dello ius corrigendi . Educazione e violenza. Tale visione difensiva viene, però, ritenuta risibile dai giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi, dando per acclarata la ricostruzione della triste vicenda – con riferimento ai comportamenti violenti posti in essere dall’uomo e alle abituali espressioni offensive e degradanti proferite all’indirizzo del figlio – considerando evidente la violenza nelle condotte tenute dal padre all’interno delle mura domestiche. Significativo, in questa ottica, anche il fatto che egli non abbia mai modificato il proprio modus agendi, nonostante i consigli di un assistente sociale e nonostante la consapevolezza della sofferenza psichica del ragazzo. Crolla così facilmente l’ipotesi di un abuso dei mezzi di correzione . Su questo fronte, in particolare, i giudici tengono a sottolineare che il termine ‘correzione’ va assunto come sinonimo di ‘educazione’, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo , e non può certo ritenersi formativo l’uso abituale della violenza , neppure ove sostenuto in effetti da un animus corrigendi . Tutto ciò conduce alla conferma definitiva della condanna dell’uomo a venti mesi di reclusione .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 giugno – 14 luglio 2015, n. 30436 Presidente Paoloni – Relatore Mogini Premesso che con la sentenza in epigrafe la Corte d'Appello di Trieste ha, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone dei 9.5.2011, ridotto la pena inflitta a B.P. per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate in danno del figlio minore L., ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, ad anni uno e mesi otto di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado. Rilevato che P.B. ricorre per mezzo del proprio difensore avverso la suindicata sentenza deducendo 1 manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova, in quanto la Corte territoriale ritiene confermata la sussistenza delle condotte contestate al ricorrente allorché tra le dichiarazioni del di lui figlio e quelle degli altri testi escussi è dato rinvenire plurimi elementi di contrasto in merito alla tipologia e alla frequenza delle percosse/lesioni che la persona offesa avrebbe subito dal padre in particolare, nonostante l'asserita frequenza delle botte, date principalmente in faccia, nessun teste avrebbe mai visto alcun segno , sicché la sentenza avrebbe eluso la necessaria valutazione della credibilità del minore e dell'attendibilità intrinseca delle sue contraddittorie accuse egli avrebbe tra l'altro inesattamente collocato dal punto di vista cronologico le percosse che gli hanno provocato un occhio nero e sarebbe fondata, in assenza di oggettivi riscontri, su apodittiche petizioni di principio 2 erronea applicazione della legge penale in ordine alla qualificazione giuridica delle condotte contestate al ricorrente nell'ambito delle fattispecie di cui agli artt. 572 capo A , 582 e 585 capo B c.p., anziché, unitariamente, nel meno grave delitto di cui all'art. 571 c.p., in quanto mancherebbe nel caso di specie una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa per la persona offesa e un programma diretto a ledere la sua integrità morale, essendo le condotte poste in essere dal ricorrente volte unicamente all'esercizio, pur se in ipotesi eccessivo, dello ius corrigendi, sicché il mezzo illegittimamente abusato sarebbe, a tutto voler concedere, inquadrabile nell'esercizio della funzione pedagogica e, quindi, nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione. Ritenuto che il ricorso è infondato, in quanto 1 contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, la Corte territoriale, con preciso riferimento anche alla conforme sentenza di primo grado, affronta con estremo scrupolo il tema della credibilità della persona offesa e dell'attendibilità intrinseca del suo narrato ed evidenzia i plurimi riscontri acquisiti in ordine non solo ai ripetuti comportamenti violenti posti in essere dal ricorrente nei confronti dei figlio minore alcuni dei quali avevano provocato lesioni, riferite dalla zia , ma anche alle abituali espressioni offensive e degradanti proferite nei suoi riguardi, nonché alla sua decisione di non rivederlo più tra il 2003 e il 2004, nonostante fosse noto al ricorrente - il quale era stato ripetutamente, ma inutilmente, invitato a modificare i suoi comportamenti dall'assistente sociale che si occupava del caso - la sofferenza psichica che tali abituali condotte procuravano al minore Sez. 6, n. 7192 del 4.12.2003, Rv. 228461 2 il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo e non può ritenersi tale l'uso abituale della violenza a scopi educativi, sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità delle persone, anche del minore, ormai soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione, sia perché non può perseguirsi quale meta educativa lo sviluppo armonico della personalità usando un mezzo violento che tale fine contraddice, conseguendo da ciò che l'eccesso di mezzi di correzione violenti concretizza il reato di maltrattamenti in famiglia e non rientra nella fattispecie di cui all'art. 571 c.p. neppure ove sostenuto da animus corrigendi Sez. 6, 10.5.2012, Ciasca Sez. 6, 2.5.2013, Banfi , poiché l'intenzione soggettiva non è idonea a far rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti, come nel caso di specie, in continue umiliazioni, rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche Sez. 6, 14.6.2013, Giusa che al rigetto del ricorso consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.