Un bagno, nemmeno quello di uno studio professionale, non è mai un set per riprese non autorizzate

Ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato ex art. 615 bis c.p. è la violazione della riservatezza domiciliare della persona offesa e non già la disponibilità di quel domicilio anche da parte dell’autore dell’indebita interferenza.

La previsione dell’art. 615 bis c.p. non richiede infatti che gli atti della vita privata oggetto delle captazioni illecite riguardino sempre e solo colui che abbia diritto di escludere altri dai luoghi di privata dimore ben potendo riguardare anche chi si trovi a frequentare quei luoghi, che privati in ogni caso sono, pur non essendone il dominus, senza che per questo possa venire meno la veste di persona offesa del titolare, comunque leso della abusiva clandestina introduzione” in un luogo di suo esclusivo dominio Cass., sent. n. 27847/2015, depositata il 2 luglio . Il caso. La vicenda ha quale teatro uno studio professionale dotato di bagno utilizzato in principalità dal personale dello studio, titolari e dipendenti, ed occasionalmente da clienti. All’interno di detto bagno, l’imputato, dipendente dello studio professionale, installando un telefonino con fotocamera attiva aveva rubato” immagini delle proprie colleghe che ivi si recavano. Tratto a giudizio per rispondere dei reati a lui contestati, per quanto di interesse di quelli previsti dall’art. 615 bis c.p. e artt. 616, 617 quater e quinquies , veniva riconosciuto colpevole sia in primo che in secondo grado e conseguentemente condannato. Formato ricorso per Cassazione egli si intratteneva, siamo certi con l’ausilio di ottimo collega, in relazione alle caratteristiche della norma portata dall’art. 615 bis c.p. con riferimento alla titolarità, da intendersi in senso civilistico, del luogo ove le riprese vennero effettuate. La Corte respinge il ricorso, riconoscendo solo l’intervenuta prescrizione del reato previsto e punito dall’art. 617 c.p., ma rendendo però l’onore delle armi alla tesi sostenuta dalla difesa che viene definita, qual complimento migliore per un difensore, suggestiva. La norma l’art. 615 bis c.p. prevede che sia punito chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procuri indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. Abitazione o altro luogo di privata dimora. I luoghi indicati dall’art. 614 c.p. sono, come è noto, l’abitazione o altro luogo di privata dimora o le appartenenze di essi. Occorre dunque che la condotta di captazione, di immagini o suoni, intervenga in uno dei luoghi di cui all’art. 614 c.p. e che sia posta in essere indebitamente. Proprio sul significato dell’avverbio la difesa si è, piacevolmente, intrattenuta. Indebitamente? Qual è il significato da attribuire all’avverbio, quando può dirsi indebitamente effettuata la captazione? Se detta captazione avviene in luogo di privata dimora, titolare dello ius excludendi sarebbe solo ed esclusivamente il titolare della dimora stessa, nel caso di specie il titolare dello studio, oppure tutti i fruitori dello studio stesso, compreso quindi fra gli altri anche l’imputato? La risposta al quesito è fondamentale e, per come esso è stato posto, assolutamente interessante ove lo ius excludendi spettasse solo al titolare dello studio egli sarebbe l’unico legittimato a lagnarsi della condotta posta in essere dall’imputato che però non lo ha riguardato, ove simile diritto spettasse a tutti i dipendenti dello studio allora sarebbe di pertinenza anche dell’imputato che, quindi, contitolare del diritto non potrebbe violare la norma. Un bell’esempio di ragionamento logico giuridico e anche di arte, in senso di tecnica, giuridica con la quale il ricorrente intendeva porre la Corte di fronte ad un dilemma che poteva condurre ad un’unica soluzione l’assoluzione. Il ragionamento della Corte. Gli Ermellini rendono l’onore delle armi riconoscendo il carattere suggestivo della tesi spesa ed anche come la stessa non abbia formato oggetto d’analisi da parte della Corte d’Appello territoriale ma respingono il ricorso. Il bagno, set delle riprese, non ha natura pubblica posto che il suo utilizzo non era consentito indiscriminatamente a chiunque ma riservato al titolare e agli impiegati dello studio, ricevendo così stabile e continuativa connotazione tale da giustificare la tutela di tale luogo indipendentemente dalla presenza in esso delle stesse. L’insegnamento è pacifico e vanta addirittura tra i suoi sostenitori le SSUU. Secondariamente, osserva la Corte, non v’è dubbio alcuno che la condotta sia stata posta in essere indebitamente a prescindere da chi fosse l’effettivo titolare dello ius excludendi , dal momento che la captazione delle immagini è avvenuto in modo fraudolento. A sostegno della tesi, la Corte cita le numerose sentenze in cui è stata affermata la penale responsabilità di un coniuge per aver registrato le conversazioni che in ambiato domestico l’altro coniuge intrattenga con un terzo. Osservando altresì come la norma non richieda che gli atti della vita privata oggetto di captazione debbano essere sempre posti in essere nei confronti del titolare del diritto di escludere altri dai luoghi di privata dimora, ben potendo riguardare anche chi si trovi a frequentare quei luoghi, che privati in ogni caso sono, senza esserne il dominus . La ricostruzione mi pare condivisibile e convincente. Ciò che non sono proprio riuscito a capire è perché la stessa Sezione abbia assolto, così come indicato e richiamato nel ricorso formato dall’imputato, medico autore di indebite riprese effettuate nel proprio studio ai danni di una paziente oggetto di visita. Certamente si tratta di un mio limite.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 aprile – 2 luglio 2015, n. 27847 Presidente Teresi - Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. R.F. ha proposto ricorso nei confronti della sentenza della Corte d'Appello di Brescia che ha confermato, quanto alla affermazione di responsabilità, la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Brescia di condanna per i reati di cui agli artt. 600 quater commi 1 e 2 capo a , 615 bis capo b e 617 quinquies c.p. nella parte relativa all'accusa di acquisizione fraudolenta di corrispondenza privata capo c . 2. Con un primo motivo lamenta, quanto al capo b dell'imputazione, la inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 614 e 615 bis c.p., con riferimento alla qualificazione come domicilio di una toilette di studio contabile. Deduce in particolare che, secondo la pronuncia delle Sezioni Unite n. 26797 del 2006, ciò che è in grado di trasformare un luogo in un domicilio è il requisito della stabilità relativa della vita personale che ivi si svolge che fa sì che lo stesso sia tutelabile anche quando la persona titolare del luogo sia assente nella specie è indubbio che la toilette posta all'interno dello studio contabile fosse da considerarsi accessibile da chiunque ovvero clienti e fornitori dello studio e dunque non sussumibile nella nozione di domicilio tutelato ex art. 614 c.p., diversamente finendosi per estendere la tutela di legge in malam partem . In definitiva unico titolare dello studio era S. mentre le impiegate persone offese godevano rispetto al bagno dei medesimi diritti dell'autore del reato, loro collega d'ufficio. Sicché delle due l'una o si ritiene che lo ius excludendi esista in capo a tutti i dipendenti compreso il R. sicché non si può parlare di violazione di domicilio da parte di questi, ovvero si ritiene che nessuno dei dipendenti abbia titolarità sul bagno e quindi la violazione del domicilio non può essere contestata a R. , tranne che con riferimento alla posizione di S. . 2.1. Con un secondo motivo lamenta l'inosservanza e violazione degli artt. 124 c.p., 129 c.p.p. e 615 bis c.p. relativamente alla decisione che ha escluso l'improcedibilità del reato sub b per difetto di querela ripropone sul punto l'assunto per cui le persone offese ebbero a proporre querela solo il 15/04/2010, ovvero ben oltre i termini di legge decorrenti da quando le stesse avevano avuto contezza delle videoriprese sia perché informate di ciò dalla collega P.E. sia perché l'imputato aveva ammesso il fatto. Contesta l'affermazione della Corte secondo cui tale conoscenza non sarebbe stata precisa, certa e diretta quanto al fatto di essere state riprese necessariamente nell'atto di spogliarsi, ciò essendo necessario per valutare la tempestività delle querele. Al contrario, dalle sommarie informazioni rese, è possibile evincere che sia il titolare che le impiegate dello studio erano a conoscenza delle riprese effettuate e del fatto che responsabile fosse R. poiché, messo alle strette R. , questi aveva affermato che suo unico scopo nella vita era quello di riprendere le colleghe in atteggiamenti intimi. Né sarebbe corretto affermare che il termine di decadenza decorra dalla conoscenza certa di ciascun singolo fatto - reato anziché soltanto dalla conoscenza dell'ultimo atto consumativo della continuazione. 2.2. Con un terzo motivo relativamente al capo c contesta l'erronea applicazione dell'art. 617 quinquies c.p. non potendo ritenersi captazione l'attività posta in essere tramite il keylogger Pc Surveillance pro. Premesso che nel computer dell'imputato è stata rinvenuta una cartella con salvataggio di immagini captate da un software di keylogger consistenti in riproduzioni di schermate di p.c. estrapolate a distanza di circa venti secondi dal computer in uso alla collega B. , rileva che la norma contestata è volta a tutelare le comunicazioni informatiche in fase di trasmissione essendo il profilo statico già considerato dall'art. 616 c.p. posto a tutela della corrispondenza. Nel caso di specie il programma di captazione pc surveillor non era in grado di riprodurre le comunicazioni con carattere attuale ed in tempo reale inserendosi nel flusso delle stesse ma si limitava a registrare ciò che veniva digitato in tastiera memorizzando localmente tali osservazioni proprio sul computer del soggetto osservato in sostanza si trattava come della fotografia di una missiva poi sottratta . A fronte di ciò la Corte ha affermato che i due computer erano collegati in rete tra loro essendo installati nello stesso studio, ma ciò significa solamente che erano in rete quanto a server e sistema gestionale ma non nel senso che fosse possibile attingere dati ed informazioni e files l'uno dall'altro. 2.3. Con un quarto motivo censura la violazione degli artt. 529, comma 2, c.p.p., 531, comma 2, c.p. e 617 quinquies c.p. posto che si sarebbe dovuto fare riferimento al momento dell'acquisto nel marzo 2006 dell'apparecchiatura presumibilmente subito dopo installata mentre la Corte ha valorizzato quale unico dato certo quello del primo screenshot, rilevato in data 05/10/2007. Tuttavia la norma punisce non l'utilizzazione ma l'installazione né, quanto alla motivazione della sentenza, è ragionevole ritenere che l'imputato, acquistato il programma, lo abbia poi lasciato inutilizzato dal marzo del 2006 all'ottobre del 2007. 2.4. Con un quinto motivo lamenta la totale omessa motivazione con riferimento alla richiesta di concessione dell'indulto quanto al reato di cui all'art. 617 quinquies c.p. fondata sulla data dell'installazione attestatasi nel marzo 2006 al momento dell'acquisto. 2.5. Con un sesto motivo lamenta l'erronea ed insufficiente motivazione quanto al reato di detenzione di materiale pornografico posto che, a fronte delle osservazioni del consulente che aveva indicato gli elementi di incertezza in ordine al soggetto proprietario od utilizzatore dell'hard disk, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto ciò rilevante ai soli fini della configurabilità della circostanza aggravante dell'ingente quantità. 2.6. Con un settimo motivo lamenta la violazione degli artt. 62 bis c.p. e 133 c.p. in relazione al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche fondato sull'elevato disvalore sociale del quadro fattuale e sull'intensità particolarmente elevata del dolo. In particolare, riepilogato che il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena non è libero ma vincolato a limiti legislativamente predeterminati, censura il fatto che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del risarcimento del danno in favore di tutte le parti civili costituite valorizzato in altra parte della sentenza infatti, secondo la Corte, il risarcimento sarebbe stato non spontaneo ma imposto da statuizione del giudice civile senza tenere conto tuttavia del grave stato di precarietà in ogni caso, si sarebbe dovuto considerare l'immediata ammissione delle proprie responsabilità e l'assoluta incensuratezza dell'imputato ben valutabile con riferimento quanto meno al capo b e ad una parte dei capi a e c in relazione al tempus commissi delicti . 2.7. Con un ultimo motivo lamenta l'erronea applicazione dell'art. 163 c.p. e il connesso vizio di motivazione laddove, una volta condivise le doglianze sopra poste, la pena potrebbe essere rideterminata al di sotto del limite dei due anni e potrebbe quindi tenersi conto della prognosi di astensione da futuri reati desumibile anche dal percorso di rivisitazione e rielaborazione delle proprie condotte intrapreso nel frattempo con l'aiuto di un esperto. Considerato in diritto 3. Il primo motivo di ricorso è infondato. Il ricorrente sostiene infatti, come già visto sopra, che, ai fini della integrazione del reato contestato, difetterebbe, relativamente al luogo il bagno dello studio di un commercialista in cui avveniva la effettuazione delle riprese, il requisito di luogo di privata dimora, necessario in forza del richiamo che l'art. 615 bis c.p. effettua all'art. 614 c.p Va premesso che l'art. 615 bis c.p. prevede, infatti, che sia punito chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'art. 614 c.p. la dizione della norma lascia intendere, dunque, che, affinché la condotta descritta integri il reato, non è sufficiente che la stessa abbia ad oggetto immagini che riguardino atti che si svolgano in uno dei luoghi indicati dall'art. 614 c.p. e, dunque, l'abitazione o altro luogo di privata dimora o le appartenenze di essi ma è anche necessario che tale condotta sia posta in essere indebitamente ciò significa, dunque, in necessaria connessione logica con quanto del resto più specificamente previsto dall'art. 614 c.p., su cui la disposizione è ritagliata , che, seppure la condotta avvenga in uno di detti luoghi, la stessa non sarebbe illecita ove non avvenga in contrasto od eludendo, clandestinamente o con inganno, la volontà di chi abbia il diritto di escludere dal luogo l'autore delle riprese. Ed è, soprattutto sotto tale profilo, come pare di comprendere, che il ricorrente lamenta la mancata integrazione del reato perché, si sostiene in ricorso, ove il bagno in questione fosse riconducibile ad un luogo di privata dimora, titolare dello ius excludendi ovvero colui la cui volontà dovrebbe essere violata od elusa dal soggetto agente o sarebbe il solo S. quale titolare dello studio o sarebbero tutti i fruitori dello studio, compreso, però, in tal caso, lo stesso autore del reato e ciò comporterebbe, allora, la insussistenza del reato, nel primo caso perché, sembra di comprendere, la condotta illecita non avrebbe comunque coinvolto la persona di S. , e nel secondo caso perché, citandosi, a conforto, Sez. 6, n. 36884 del 20/05/2008, P.G. in proc. N. non massimata , lo stesso autore del fatto sarebbe il titolare, insieme ad altri, del luogo violato dalle riprese. Ora, tale tesi, seppure suggestiva, e non affrontata dalla sentenza impugnata, che si è limitata ad affermare che il bagno in oggetto non può essere assimilato ad un bagno pubblico, è tuttavia infondata. Va anzitutto premesso che, correttamente, la Corte territoriale ha appunto affermato la natura non pubblica del bagno posto che il suo utilizzo non era consentito indiscriminatamente a chiunque ma era riservato al titolare e agli impiegati dello studio con conseguente connotazione di stabile e continuativa frequentazione da parte di tali persone tale da giustificare, secondo la prospettiva affermata da Sez. U., n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269, e poi ripresa da arresti di altre sezioni semplici cfr. Sez. 6, n. 42711 del 23/10/2008, Destro, Rv. 241880 la tutela di tale luogo indipendentemente dalla presenza in esso delle stesse né l'occasionale accesso al bagno da parte di clienti e fornitori, pur sempre condizionato, evidentemente, alla volontà del personale, può fondatamente condurre a diversa conclusione. In secondo luogo, a confutazione dell'assunto difensivo appena esposto, non vi è dubbio che la condotta sia stata posta in essere indebitamente, e ciò sia che, come deve ritenersi, titolari dello ius excludendi fossero gli impiegati dello studio ivi incluso lo stesso imputato, sia che il titolare fosse da ravvisare solo nel titolare dello studio medesimo di cui il bagno è un accessorio . Pacifico infatti che la condotta di captazione delle immagini delle impiegate che si recavano in bagno sia avvenuta clandestinamente, ovvero per mezzo di un telefonino collocato all'interno di un beauty posto su di una mensola, non può rilevare in senso contrario il fatto che soggetto attivo sia stato uno degli stessi titolari va infatti ricordato come questa Corte abbia, in più di una occasione, affermato che ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato è la violazione della riservatezza domiciliare della persona offesa, e non già la disponibilità di quel domicilio anche da parte dell'autore dell'indebita intercettazione tanto che si è precisato come il reato di interferenze illecite nella vita privata sia configurabile anche nel caso di indebita registrazione, da parte di un coniuge, di conversazioni che, in ambito domestico, l'altro coniuge intrattenga con un terzo Sez. 5, n. 35681 del 30/05/2014, C, Rv. 261445 Sez. 5, n. 39827 del 08/11/2006, Rv 234960 Sez. 5, n. 8762 del 16/10/2012, S., Rv. 255084 . E tale conclusione appare, tra l'altro, perfettamente compatibile con la decisione di questa Corte menzionata dal ricorrente nel senso della esclusione del reato nella quale, infatti, autore delle riprese indebite effettuate all'interno di uno studio medico era stato lo stesso titolare dello studio ai danni non già, come nella specie, di persona anch'essa titolare di uno ius excludendi alios , ma di una paziente oggetto di visita. In ogni caso, quand'anche si ritenesse che titolare fosse solo S. , il fatto, evidenziato dal ricorrente, che questi non risulti figurare tra le persone le cui condotte venivano captate, non pare rilevare in senso ostativo la previsione dell'art. 615 bis c.p. non richiede, infatti, che gli atti della vita privata oggetto delle captazioni illecite riguardino sempre e solo colui che abbia diritto di escludere altri dai luoghi di privata dimora ben potendo riguardare anche chi si trovi a frequentare quei luoghi, che privati in ogni caso sono, pur non essendone il dominus , senza che per questo possa venire meno la veste di persona offesa del titolare, comunque leso dalla abusiva clandestina introduzione in un luogo, appunto, di suo esclusivo dominio e ciò tanto più laddove, come in questo caso, detto luogo sia, per così dire, intrinsecamente votato all'espletamento di atti fisiologici per definizione caratterizzati da riservatezza o privacy . Del resto, e conclusivamente, anche a non volere convenire con quanto sino a qui esposto, non va dimenticato che tra le condotte contestate al capo b vi è anche l'effettuazione di riprese ai danni della figlia minore di una collega dell'imputato, ritratta all'interno del bagno della propria abitazione e sulla quale nessuna doglianza l'imputato ha svolto. 4. Anche il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla invocata improcedibilità del reato sub b per tardiva presentazione delle querele, è infondato. La Corte territoriale ha spiegato che le persone offese ebbero ad apprendere, visionandolo, del contenuto delle immagini indebitamente captate allorquando furono convocate dai carabinieri in data 15/04/2010 per rendere sommare informazioni senza che, ai fini della conoscenza necessaria per far decorrere il termine per presentare querela, fosse rilevante l'avere in precedenza saputo che la loro collega P. aveva scoperto, nel maggio o giugno del 2009, la presenza in bagno del cellulare con fotocamera attiva. Soltanto dunque dalla effettiva conoscenza del contenuto delle immagini, tanto più necessario perché, soltanto visionando lo stesso, si poteva avere contezza del fatto di essere state oggetto di riprese. Tale affermazione è corretta questa Corte ha infatti in più occasioni precisato che il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva da ultimo, Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014, Lezzi, Rv. 261018 Sez.5, n. 33466 del 09/07/2008, Ladogana, Rv.241395 ,sicché, esattamente, i giudici di merito hanno fatto decorrere il termine dalla data della presa di conoscenza dell'effettivo contenuto delle immagini e ciò vale, va sottolineato, anche per P.E. in relazione a tutte quelle numerose immagini riprese prima del giorno in cui la stessa ebbe a rinvenire il telefonino in funzione posto in bagno, circostanza, questa, suscettibile di far decorrere il termine unicamente con riguardo alla ripresa effettuata quel giorno stesso. Né, evidentemente, in relazione al reato continuato, possono operare principi diversi da quello appena richiamato posto che sempre dalla conoscenza certa del fatto deve decorrere il termine per la querela e non essendovi alcuna ragione logico - giuridica per fare riferimento, invece, alla conoscenza del momento di cessazione della continuazione come del resto già affermato da questa Corte con principio esattamente richiamato dalla sentenza impugnata cfr. Sez. 3, n. 42891 del 16/10/2008, Badalamenti, Rv. 241539 Sez.3, n. 7420 del 12/05/1987, Gigi, Rv. 176184 . 5. Con riferimento al terzo motivo, va, preliminarmente, preso atto della intervenuta prescrizione del reato. Originariamente a R. era stata contestata, al capo c dell'imputazione, il delitto p.e p. dagli artt. 616 c.p., 617 quater e 617 quinquies c.p. e 81 cpv. c.p. perché .mediante l'installazione, ed il suo successivo utilizzo, di apposito software del tipo Keylogger nel computer dello studio S.P. di Vearolanuova in uso all'impiegata B.G. , catturava fraudolentemente complessivamente 16.877 files immagini ritraenti screenshots del summenzionato p.c. riguardanti corrispondenza privata della sig.ra B.G. , costituita da scritti su forum da lei frequentati e numerose e-mails che la stessa riceveva ed inviava a propri contatti informazioni di tipo fiscale ed aziendale relative a clienti dello studio .”. Come desumibile dalla lettura del dispositivo, la sentenza di primo grado ebbe a pronunciare condanna dell'imputato, quanto a detto capo, nella parte relativa all'accusa di acquisizione fraudolenta di corrispondenza privata di B.G. , qualificato ai sensi dell'art. 617 quinquies c.p.” in parte motiva, invece, la stessa sentenza, riteneva meglio calibrata una .qualificazione della condotta di installazione di apparecchiature atte ad intercettare rispetto a quella di intercettazione di comunicazioni relative ad un sistema informatico ipotizzata con la contestazione di cui all'art. 617 quater c.p.”. Tali statuizioni sono poi rimaste a tutt'oggi inalterate avendo la Corte bresciana confermato le stesse. Ciò posto, a fronte della contraddizione tra motivazione e dispositivo rilevata, quand'anche il Tribunale abbia voluto, come parrebbe privilegiandosi il dispositivo, condannare R. per la condotta di acquisizione di corrispondenza informatica altrui, ovviamente di per sé posteriore a quella di installazione dell'apparecchiatura, è certo che deve ritenersi maturata la prescrizione infatti, sia il Tribunale a pag.9 che la Corte pag. 27 hanno individuato il periodo di captazione delle schermate in quello ricompreso tra il 7/9/07 e l'1/10/07, sicché, al più tardi, la prescrizione è intervenuta in data 01/04/2015 e tale prescrizione, pur se maturata successivamente alla sentenza impugnata, oltre a prevalere su un eventuale annullamento con rinvio sul punto della funzione in concreto svolta dall'apparecchiatura e della sua correlazione con le condotte illecite dell'art. 616 c.p. ovvero, piuttosto, dell'art. 617 quinquies c.p., non può non operare attesa la non manifesta infondatezza, oltre che del già considerato primo motivo, anche del presente, incentrato appunto sulla motivazione resa dalla Corte in ordine alla predetta correlazione. Ciò determina, naturalmente, l'assorbimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, quest'ultimo, in ogni caso, inammissibile alla luce del consolidato principio secondo cui, nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello, in ordine all'applicabilità o meno del condono, l'imputato non ha interesse a ricorrere per cassazione, potendo ottenere l'applicazione del beneficio in sede esecutiva, a meno che il giudice d'appello non ne abbia negato l'applicazione da ultimo in tal senso, Sez. 2, n. 710 del 01/10/2013, Forin, Rv. 258073 . 6. Il sesto motivo è manifestamente infondato. Risulta dalla stessa sentenza impugnata, senza che in ricorso vi sia su ciò stata contestazione, che lo stesso appellante ha riconosciuto che le immagini illecite procuratesi dal R. e detenute nei suoi hard disk siano state quanto meno 500 e, del resto, dalla stessa sentenza di primo grado risulta, a pagg. 4-5, che in data 07/04/2008 venne eseguito il sequestro presso l'abitazione dell'imputato di un personal computer con relativi supporti e lettori e di un cd rom denominato Hamilton sui quali vennero poi rinvenute le migliaia di file di contenuto pedopornografico. 7. Il settimo motivo è anch'esso manifestamente infondato. Va rammentato che nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione da ultimo, nel segno di un costante indirizzo, Sez.3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 . Nella specie, la Corte bresciana, facendo puntuale applicazione di detto principio, ha correttamente valorizzato, come impeditive della concessione delle circostanze attenuanti generiche, la metodica ripetitività nella acquisizione dell'ingente materiale pedopornografico e delle immagini ritraenti le numerose persone offese di cui al capo c dell'imputazione quale indice di elevato disvalore sociale e di intensità di dolo, mentre ha ritenuto non valorizzagli, da un lato, il comportamento ammissivo delle proprie responsabilità, in quanto tenuto soltanto all'esito degli accertamenti eseguiti dai carabinieri e dall'altro, il risarcimento del danno nei confronti delle parti civili operato solo in conseguenza della provvisoria esecutività della relativa statuizione di cui alla sentenza di primo grado cfr., nel senso della non valorizzabilità di condotta dettata da intento utilitaristico, da ultimo, Sez. 6, n. 11732 del 27/01/2012, Di Lauro e altri, Rv.252229 . 8. Sicché, in definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto al reato di cui al capo c perché estinto per prescrizione e, quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio complessivamente conseguente, non operabile in questa sede essendo stato a suo tempo assunto come reato più grave tra quelli sub b e c proprio quello estinto, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Brescia resta fermo il conseguente potere del giudice del rinvio di valutare, all'esito della determinazione complessiva della pena, la sussistenza dei presupposti che parrebbero essere stati negati dalla sentenza impugnata in ragione del superamento del limite dei due anni di pena detentiva per fare luogo alla sospensione condizionale della pena, in tal senso restando assorbito l'ottavo motivo di ricorso. Al rigetto dei motivi relativi al reato sub b segue la condanna alla rifusione in favore delle parti civili costituite delle spese di patrocinio da liquidarsi in complessivi Euro 7.200 Euro 3.000 oltre alla maggiorazione del 20% per le altre sette parti civili oltre a spese generali ed accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo c perché estinto per prescrizione e con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Brescia per la rideterminazione della pena per i residui reati. Rigetta nel resto. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili P.E. , S.P.S. , Su.Se. , Br.Mo. , Ro.Do. , O.M. , B.G. e Z.A. che liquida in complessivi Euro 7.200 oltre a spese generali ed accessori di legge.