L’aggravante del mezzo fraudolento deve essere idonea a sorprendere la volontà contraria della persona offesa

Esaminando un caso di furto, i giudici di legittimità riconoscono la sussistenza della circostanza aggravante della destrezza nella rapidità con cui l’agente sottraeva il bene mobile. Non riconoscono, invece, la circostanza aggravante del mezzo fraudolento nella finzione della ricerca di un capo di abbigliamento. Tale circostanza infatti deve essere caratterizzata da una tale astuzia da essere idonea ad eludere le difese dell’agente ed a sorprenderne la volontà contraria.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, sez. V Penale, n. 28168, depositata il 2 luglio 2015. La ricostruzione fattuale. Il caso prospettato innanzi ai Giudici di legittimità concerne un episodio di furto aggravato secondo il giudizio di merito dalle circostanze della destrezza e del mezzo fraudolento. In particolare, una signora, fingendo di dover comprare un capo di abbigliamento, si impossessava, approfittando della distrazione della proprietaria del negozio, della somma di 1.200 euro contenuta nel portafoglio riposto nella borsa della stessa titolare. I Giudici di merito riscontravano nel corretto riconoscimento della collocazione della borsa e nell’abilità della sottrazione della stessa, la circostanza aggravante della destrezza, e nella lunga e prolungata pantomima circa l’acquisto di un capo di abbigliamento, la circostanza aggravante del mezzo fraudolento. La destrezza. I Giudici di legittimità nella commentata sentenza riconoscono come i Giudici di merito abbiano correttamente inquadrato la circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625, comma 1, n. 4, c.p Le circostanze aggravanti del mezzo fraudolento e della destrezza, sostengono i Giudici di merito, si caratterizzano la prima, per la scaltrezza nell’eludere la vigilanza della persona detentrice della cosa mobile, la seconda per la rapidità di impossessamento della cosa mobile altrui. Le sentenze di merito hanno certamente dato atto della rapidità con la quale l’imputata ha preso possesso del denaro della titolare del negozio. Ella, infatti, ha velocemente individuato e sottratto la borsa, cogliendo il momento in cui la titolare del negozio era intenta ad occuparsi di altro cliente. Il mezzo fraudolento. Diversamente dalla prima circostanza aggravante, i Giudici di legittimità non riconoscono la sussistenza della seconda circostanza. Già le Sezioni Unite, con sentenza n. 40354/13 precisavano che l’aggravante del mezzo fraudolento circoscrive una condotta, denotata da una tale insidiosità, scaltrezza, astuzia da essere idonea a sorprendere la volontà contraria del detentore della cosa mobile e a vanificare, dunque, le misure che lo stesso abbia posto a difesa del bene. Tali caratteristiche non si rilevano nel fatto concreto. L’agente, infatti, si è semplicemente limitata a cercare un capo di abbigliamento. Condotta questa inidonea a sorprendere la volontà contraria della titolare del negozio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 aprile – 2 luglio 2015, n. 28168 Presidente Lombardi – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 14/01/2013 la Corte di appello di Ancona, per quanto è qui di interesse, ha confermato la sentenza del 22/11/2011 con la quale il Tribunale di Camerino aveva dichiarato C.G. responsabile del reato di cui agli artt. 624 bis, 625, primo comma, nn. 2 e 4 , cod. pen., perché, al fine di trarne profitto, si era impossessata della somma di Euro 1.200 custodita nel portafogli collocato all'interno della borsa di M.V. sottraendola con destrezza, insieme con la borsa, dal mobile dove era collocata all'interno del negozio della persona offesa, dopo aver usato il mezzo fraudolento di aggirarsi all'interno dello stesso negozio alla ricerca di merce da acquistare e di acquistare un articolo e approfittando del fatto che la titolare era impegnata a seguire un altro cliente il carabiniere Ci.Di. . 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione C.G. , attraverso il difensore avv. C. Zucconi Galli Fonseca, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen Il primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 213 e 214 cod. proc. pen L'individuazione fotografica e la ricognizione personale operate dalla persona offesa sono state falsate dal fatto che, in precedenza, M. aveva visto la persona da riconoscere nel filmino mostratole da Mo.Pa. titolare di un negozio presso il quale l'imputata aveva ammesso di aver commesso un furto e nella foto mostrata dai Carabinieri. Il medesimo rilievo vale per il riconoscimento effettuato dal teste Ci.Di. , il quale in fotografia, durante le indagini preliminari, aveva riconosciuto l'imputata solo per l'80-90%, mentre successivamente l'ha riconosciuta al 100% pure nel suo caso ha inciso negativamente la foto mostratagli dai colleghi, né si può escludere che abbia visionato anche il filmino. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione. A fronte degli indicati riconoscimenti, non genuini e inutilizzabili, i giudici di merito hanno minimizzato o ignorato altri elementi di segno contrario. La perquisizione volta a ricercare gli orecchini e l'anello indossati dalla presunta autrice del furto e descritti dalla persona offesa con precisione ha dato esito negativo, in quanto gli oggetti sequestrati non sono stati riconosciuti da M. , né è stato rinvenuto il cardigan acquistato dalla presunta autrice del furto. La teste Ma.Fl. , figlia dell'imputata, ha riferito che il telefono cellulare oggetto del controllo da parte della polizia giudiziaria era in uso a più persone della famiglia e che il pomeriggio del OMISSIS l'aveva in uso lei. La Corte di appello ha attribuito valenza neutra alle testimoni Ch.Lu. e Mi.Si. , che, nel corso delle indagini preliminari, avevano in un primo momento dichiarato che il pomeriggio del OMISSIS l'imputata si trovava con loro al lavoro quando gli inquirenti hanno comunicato alle due testi che per quella data non risultava segnata la busta paga della C. e, quindi, le hanno interrogate come indagate di favoreggiamento, le due hanno riferito di essersi forse sbagliate e che la presenza dell'imputata si riferiva al OMISSIS la difesa, tuttavia, ha dimostrata, attraverso le buste paga, che neppure il OMISSIS C. risultava al lavoro, sicché ciò che risulta dalle buste paga non è indicativo di tutte le presenze dell'imputata sul posto di lavoro e, tra le due versioni, è più credibile la prima in quanto immune da condizionamenti e paure. Il terzo motivo denuncia inosservanza di norme processuali la persona offesa ha riconosciuto l'imputata solo per poco più del 50%, sicché il riconoscimento non è utilizzabile come prova piena. Il quarto motivo denuncia erronea applicazione dell'art. 625, primo comma, nn. 2 e 4 cod. pen. e vizi di motivazione. L'aggravante della destrezza non può ritenersi sussistente in quanto l'oggetto rubato si trovava su un ripiano senza alcuna particolare protezione, non essendo sufficiente, per la sua configurabilità, che l'attenzione del derubato sia rivolta altrove. Anche l'aggravante del mezzo fraudolento non sussiste, in quanto l'agente non ha finto nulla, avendo in realtà acquistato un cardigan. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato con esclusivo riferimento alla circostanza aggravante del mezzo fraudolento. 2. Il primo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati. Per una compiuta disamina delle questioni poste dal ricorso, mette conto osservare che, nella valutazione dei giudici di merito, l'affermazione di responsabilità dell'imputata fa leva su due profili per un verso, l'identificazione dell'autore del furto in danno di M.V. con la donna descritta dalla stessa persona offesa ossia, la donna che ha acquistato il cardigan e presente nel negozio quando ivi si trovava anche il carabiniere Ci.Di. per altro verso, l'identificazione di tale donna con l'imputata. Il ricorso investe solo il secondo profilo della decisione. Al riguardo, la Corte di merito ha valorizzato, mettendone in luce le diverse connotazioni, i contributi conoscitivi offerti dal carabiniere Ci. e dalla persona offesa M. il primo ha identificato l'imputata sulla base di un'individuazione fotografica in termini di altissima probabilità e, in dibattimento, all'esito di una ricognizione personale in termini di assoluta certezza la seconda la cui attendibilità è rimarcata dalla Corte di merito anche alla luce del mancato riconoscimento, di seguito esaminato, dell'anello sequestrato all'imputata ha individuato fotograficamente e, quindi, riconosciuto personalmente in dibattimento la C. con buona approssimazione. Osserva al riguardo la Corte di merito che la persona offesa M. ha continuato ad esprimersi negli stessi originari termini prudenziali, mentre il carabiniere Ci. ha sempre coerentemente individuato la ricorrente con assoluta certezza. Così sintetizzato il percorso argomentativo, sul punto, del giudice di appello, le censure di cui ai motivi in esame sono infondate. Quelle incentrate sulla successione individuazione fotografica/ricognizione personale trascurano il principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui tra individuazione e ricognizione non sussiste alcun rapporto di alternatività Sez. 6, n. 6422 del 18/02/1994 - dep. 01/06/1994, Goddi ed altri, Rv. 197867 , sicché non è nulla né inutilizzabile la ricognizione personale compiuta dalla persona chiamata, nel corso delle indagini preliminari, ad eseguire l'individuazione fotografica Sez. 2, n. 7337 del 27/01/2009 - dep. 19/02/2009, Rizzi, Rv. 243298 . Per l'una e per l'altra, la valenza probatoria deve essere associata alla testimonianza dibattimentale infatti, l'individuazione di un soggetto - sia personale che fotografica - è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale Sez. 4, n. 1867 del 21/02/2013 - dep. 17/01/2014, Jonovic, Rv. 258173 . La Corte di merito ha congruamente dato atto della valenza probatoria delle individuazioni operate dalla persona offesa e dal carabiniere Ci. , rimarcando l'esito in termini di certezza di quest'ultima e la diversa valenza di quella resa dalla persona offesa, di cui peraltro - con argomentazione non oggetto di critica da parte del ricorso - il giudice di appello ha sottolineato comunque la genuinità. Rilievo, quest'ultimo, che rende altresì ragione dell'infondatezza della doglianza incentrata sulla visione da parte della M. del video relativo al diverso furto, laddove l'ulteriore censura articolata con il terzo motivo non inficia la valutazione della sentenza impugnata, incentrata sulla convergenza dei due riconoscimenti e sulla valenza probatoria di quello operato da Ci. , valenza, questa, non compromessa dalle doglianze difensive in parte correlate ad elementi del tutto congetturali e svincolati dal riferimento ad atti del processo, quali l'ipotizzata visione anche da parte sua del filmino relativo all'altro furto , in larga misura indirizzate verso l'individuazione operata dalla persona offesa. 3. Non merita accoglimento neanche il secondo motivo. Concentrata la ratio decidendi, nei termini sintetizzati, sull'identificazione dell'imputata come la cliente presente nel negozio insieme con Ci. , gli elementi di segno contrario dedotti dal ricorso non compromettono la tenuta logico-argomentativa della sentenza impugnata. Quanto all'uso del telefonino, la Corte di appello ha osservato che lo stesso - muto durante il tempo del furto - ben poteva essere utilizzato da altro componente della famiglia sul punto, peraltro, è assorbente il rilievo dell'assoluta genericità della doglianza. Né la Corte di appello ha trascurato l'esame dell'esito negativo della perquisizione e, dunque, del mancato rinvenimento del cardigan di cui qualsiasi ladro dotato di minima scaltrezza si sarebbe subito liberato dopo un furto commesso a volto scoperto e del mancato riconoscimento dell'anello sequestrato presso l'imputata e degli orecchini descritti dalla M. di cui, come anticipato, si mette in luce la genuinità delle dichiarazioni , che, osserva ancora il giudice di appello, data l'appariscenza, ben potrebbero essere stati occultati, con accortezza, altrove. La Corte di merito, infine, rileva il carattere neutro delle dichiarazioni ritrattate da Cu.Lu. e da Mi.Si. al riguardo, le censure della ricorrente, che attribuiscono una maggiore attendibilità alle prime dichiarazioni che offrivano un alibi all'imputata , muovono dalla considerazione che neppure per il OMISSIS giorno indicato, dopo la ritrattazione, come quello in cui si erano trovate con l'imputata C. risultava al lavoro sulla base delle buste paga. A fronte di tale rilievo, resta, tuttavia, la divaricazione tra tali dichiarazioni sulla quale è incentrata la loro valutazione in termini di neutralità ad opera della Corte di merito, sicché, in buona sostanza, le doglianze deducono questioni di merito, sollecitando una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici. 4. Il quarto motivo è solo in parte fondato. La sentenza di primo grado ha ritenuto la configurabilità, nel caso di specie, delle circostanze aggravanti della destrezza e del mezzo fraudolento, correlando la prima all'elusione della sorveglianza della persona offesa sul portafogli sottratto e la seconda al superamento delle difese della M. ottenuto facendo credere alla stessa di essere interessata agli articoli in vendita nel negozio. In linea con questa impostazione, la Corte di appello ha richiamato, per un verso, l'abilità dell'imputata nell'individuazione del posto ove era collocata la borsa e nel l'impossessarsi di essa approfittando di un momento in cui l'attenzione della vittima era diretta altrove, e, per altro verso, la lunga pantomima circa l'acquisto di un capo di abbigliamento assolutamente inadatto per l'imputata, per poi trattenersi nel negozio fino all'arrivo di un altro cliente. Così riassunte le argomentazioni dei giudici di merito in ordine alla sussistenza delle circostanze aggravanti contestate, mette conto ribadire che, in tema di furto, sono pienamente compatibili le circostanze aggravanti del mezzo fraudolento e della destrezza che, pur descrivendo modelli di agente prossimi ma non pienamente sovrapponibili, si caratterizzano, rispettivamente, la prima per la particolare scaltrezza idonea ad eludere la vigilanza del soggetto passivo e la seconda per la spiccata rapidità di azione nell'impossessamento della cosa mobile altrui Sez. 4, n. 21299 del 12/04/2013 - dep. 17/05/2013, Haldares e altro, Rv. 255294 . Ciò premesso, rileva il Collegio che le sentenze di merito hanno dato congruamente atto di una particolare rapidità ed efficacia dell'azione di impossessamento, realizzata - con l'individuazione della collocazione della borsa e la sua sottrazione - nel momento in cui la titolare del negozio era intenta a seguire l'altro cliente nel termini indicati, la motivazione circa la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 625, primo comma, n. 4 cod. pen. non è inficiata dai rilievi difensivi. A diverse conclusioni deve giungersi con riguardo alla circostanza aggravante del mezzo fraudolento, a proposito della quale le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che detta aggravante delinea una condotta, posta in essere nel corso dell'azione delittuosa, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013 - dep. 30/09/2013, Sciuscio, Rv. 255974, che ha escluso la configurabilità dell'aggravante nel caso di occultamento sulla persona o nella borsa di mercé esposta in un esercizio di vendita self-service . Non si ravvisano dette caratteristiche nella condotta dell'imputata, che si è limitata alla ricerca di un capo di abbigliamento, peraltro, come sottolinea la sentenza impugnata, del tutto inadatto alla sua persona, circostanza, questa, idonea a ridimensionare l'insidiosità della condotta e la sua capacità di sorprendere la contraria volontà della persona offesa. 5. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente all'aggravante del mezzo fraudolento, che deve essere esclusa, dovendosi, nel resto, rigettare il ricorso, mentre deve disporsi il rinvio alla competente Corte di appello di Perugia per la determinazione della pena. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente all'aggravante del mezzo fraudolento, che esclude. Rigetta nel resto il ricorso e rinvia per la determinazione della pena alla Corte di appello di Perugia.