Sarebbe estorsione e non truffa prospettare un male immaginario che può essere realizzato dall’agente

Consolidati indirizzi giurisprudenziali ed approcci normativi, facenti parte anche dell’immaginario collettivo, possono in breve tempo essere del tutto stravolti sino a modificare completamente il riferimento semantico di taluni concetti. Quando ciò avviene in melius, cioè a vantaggio della libertà, le lamentele sul punto, che atterranno per lo più a ragioni sistematiche e di difesa sociale, ben potranno essere vinte sulla scorta di evoluzioni normative e sociali. Se, invece, la nuova interpretazione è tale da aggravare significativamente un fatto rispetto al passato, allora il problema è più delicato, poiché il tutto si scontra con basilari esigenze costituzionali e con il rispetto di garanzie fondamentali.

Ciò è quanto è avvenuto con la sentenza della Corte di Cassazione n. 28181, depositata il 2 luglio 2015. Per comprendere l’importanza della sentenza qui in commento conviene dapprima considerare attentamente il fatto posto in giudizio. Il caso. Alcuni soggetti, tra cui l’imputato ricorrente, si erano introdotti in una abitazione fingendosi carabinieri e, con la scusa di dover eseguire delle perquisizioni, si erano fatti consegnare denari che la vittima teneva in cassaforte. L’ordinanza cautelare emessa aveva fondato, in punto di diritto, la responsabilità, facendo riferimento alla fattispecie del furto in abitazione ex art. 624 bis c.p., cosa che – francamente – non è sostenibile, posto che non vi è stata sottrazione del bene contro la volontà del soggetto, poiché questa, seppur viziata, vi era. Su questa semplice osservazione l’interessato aveva proposto ricorso per cassazione per annullare l’ordinanza cautelare, sostenendo che al più si trattava di truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n. 2 c.p. per aver ingenerato nella persona offesa in timore di un pericolo immaginario ovvero l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità. La Cassazione, investita della questione, non potendo non convenire sulla insussistenza del reato di furto inizialmente contestato, ha ritenuto, tuttavia, di respingere il ricorso sostenendo che il caso di specie dovrebbe essere più correttamente qualificato come estorsione ex art. 629 c.p Poiché quest’ultimo reato prevede una reclusione che va da 5 a 10 anni oltre al pagamento della multa, mentre il reato di cui la circostanza aggravante ex art. 640, comma 2, n. 2 c.p. prevede una reclusione da 1 a 5 anni oltre il pagamento di una multa, la diversa qualificazione in questione è di particolare rilevanza ai fini sanzionatori. La Suprema Corte, ben conscia di tale effetto, ha provveduto a chiarire la sua posizione, facendo leva su ultimi precedenti giurisprudenziali che nei fatti hanno riscritto le disposizioni in questione. Le motivazioni orientamenti giurisprudenziali. La Cassazione riconosce che secondo un primo orientamento il criterio differenziale tra il delitto di truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario e quello di estorsione, risiede solo ed esclusivamente nell’elemento oggettivo si ha truffa aggravata quando il danno immaginario viene indotto nella persona offesa tramite artifici o raggiri si ha estorsione, invece, quando il danno è certo e sicuro ed opera del reo o di altri ove la vittima non ceda alla richiesta minatoria. Ne consegue che la valutazione circa la sussistenza del danno immaginario o del danno reale va effettuata ex ante essendo irrilevante ogni valutazione in ordine alla provenienza del danno prospettato ovvero allo stato soggettivo della persona offesa Cass. Pen., sent. n. 52121/14 . La Suprema Corte, tuttavia, non ha ritenuto di seguire tale impostazione, assolutamente rispettosa del dettato legale, facendo leva sul fatto che da tempo si è incominciato a considerare astrattamente” lo stato del soggetto passivo e la capacità del soggetto attivo di poter o meno realizzare direttamente o indirettamente il male minacciato. La Cassazione ha così potuto richiamare una recente decisione nella quale si è così concluso il criterio distintivo tra il reato di truffa e di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente mentre si configura l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il profitto o di subire il male minacciato Cass. Pen., sent. n. 7662/15 . La minaccia come elemento dell’estorsione. Se, dunque, integra il reato di estorsione la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente Cass., sent. n. 27996/14 , secondo la Cassazione, è giocoforza concludere che non vi è spazio per la truffa allorché il male dipenda dal soggetto agente, ancorché siano stati utilizzati degli artifici o dei raggiri. Da qui la conclusione per cui nel caso di specie il fatto andava qualificato come estorsione, posto che la vittima è stata indotta ad aprire la cassaforte della sua abitazione perché i soggetti agenti hanno ingenerato direttamente il timore di un danno come derivante dall’essere destinataria di un ordine di perquisizione finalizzata alla ricerca di armi o droga, sicché l’adesione della vittima è stata certamente frutto di una determinazione per volontà coartata . Considerazioni critiche. La decisione in commento non può essere accettata e condivisa, quanto meno con riferimento alle conclusioni a cui si è giunti. Nel concetto di minaccia vi è necessariamente la prospettazione di un male ingiusto, cioè di un male che di per sé non sia conforme a diritto. Se, quindi, viene prospettato una male giusto”, cioè conforme a diritto, ma in sé e con giudizio ex ante irrealizzabile, poiché mancano nella realtà i presupposti per la sua realizzazione, si domanda se vi sia minaccia rilevante ex art. 629 c.p La risposta, a sommesso avviso di chi scrive, è negativa. Se, infatti, la vittima cede alle richieste apparentemente legittime dell’agente, non lo fa perché pensa di dover evitare un male ingiusto, ma o per semplice adesione o al più per evitare che vengano allo stesso applicate le sanzioni legali per il caso di disubbidienza. In questi casi, insomma, si è al di fuori dalla sfera della minaccia in senso tecnico. D’altra parte, se il male prospettato, nella realtà, non può in alcun modo dipendere dalla volontà dell’agente, come quando si prospetta l’uso della magia nera” oppure l’invio del malocchio”, poiché si agisce sopra in piano diverso da quella causale, allora, ancorché la vittima ritenga che il male ingiusto” dipenda dall’agente, si è al di fuori della minaccia in senso stretto e si rientra nel concetto di timore immaginario”, poiché il pericolo del male futuro sta tutto nell’immaginazione della persona offesa. Di ciò, come sopra indicato, è stato sempre consapevole il nostro legislatore il quale ha ben previsto proprio nell’art. 640, comma 2, n. 2 c.p. due casi di mali prospettati dall’agente, che non possono ritenersi minaccia” in senso tecnico, ma che ciò nonostante, in particolari situazioni meritano la pena il male che non può in alcun modo avvenire con condizionamenti causali da parte dell’agente pericolo immaginario ancorché ciò sia paventato come possibile il male giusto” costituito dall’obbedire ad un ordine dell’autorità, seppure risulti che in realtà l’agente non aveva alcun titolo per farsi obbedire sotto la veste indossata arbitrariamente o che l’ordine non esista. Nel caso in cui, dunque, si chiedono beni o danari, prospettando altrimenti a di dire a terzi cose non vere sulla persona offesa ovvero b di compiere atti di un proprio ufficio inesistente non si ha difficoltà di riconoscere la sussistenza dell’estorsione. Ma nel caso in cui si faccia apparire la dazione del denaro come adempimento di atto d’ufficio, che se effettivamente sussistente renderebbe del tutto legittima la consegna del denaro, si ha una perfetta integrazione della fattispecie della truffa di cui si tratta. Se così è, non può parlarsi di estorsione. Ad ogni modo, è evidente che nel caso di specie una qualificazione giuridica mai prospettata in precedenza, sia stata applicata al ricorrente in danno dello stesso e come nulla o quasi valgano nella procedura cautelare i principi da ultimo enunciati dalla CEDU nel caso Drassich. Dato lo scenario, non deve stupire che si sia addirittura paventa che di tale diversa” qualificazione giuridica si dovrà tener conto da parte dei giudici di merito , ancorché dalla decisione in questione non consegua l’annullamento dell’ordinanza impugnata . Qualche volta la Corte di cassazione ama sentirsi legislatore e giudice indiscusso ed indiscutibile del diritto. Capita che ciò accada anche ai giorni nostri così come nei tempi antichi. Per fortuna il sistema è capace di evitare che una sentenza cautelare” di rigetto possa trasformarsi in vicolo giuridico assoluto per il giudice di merito ed anche per i giudici futuri. Per fortuna, la presente sentenza, se pure nei suoi presupposti ed effetti lascia perplessi, è solo una sentenza cautelare e il processo di merito, quello vero e di garanzia, deve ancora svolgersi. Per fortuna, benché iura novit curia, iura habent sua sidera .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 febbraio – 2 luglio 2015, n. 28181 Presidente Nappi – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 10 novembre 2014 il Tribunale di Napoli, sezione riesame, ha confermato l'ordinanza emessa in data 21 ottobre 2014 dal G.I.P. dello stesso Tribunale, con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.P., indagato per il reato di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 n. 5 cod. pen. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'indagato, deducendo con il primo motivo la violazione di legge, in relazione agli artt. 624 bis e 640 cod. pen., nonché il vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. pen. Ha sostenuto il ricorrente che il fatto ascrittogli deve essere più correttamente ricondotto nella fattispecie di cui all'art. 640, comma secondo n. 2, cod. pen., piuttosto che in quella di furto aggravato in abitazione. Con il secondo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle integrazioni di produzione documentale effettuate dal P.M. all'udienza del 10 novembre 2014. Il ricorrente si è lamentato del fatto che il Tribunale, pur richiamando gli atti depositati dal P.M., non ha tenuto conto di un atto a lui favorevole ovvero quello che documenta il mancato suo riconoscimento da parte della persona offesa. Tale circostanza mina -secondo il deducente la correttezza della ricostruzione del fatto e del suo ruolo come indagato, tenuto conto che tale ruolo viene definito apicale , pur non essendo contestato alcun vincolo associativo ex art. 416 cod. pen., ed è stato ritenuto ostativo dal Tribunale alla applicazione di una misura meno afflittiva. Considerato in diritto Il ricorso merita il rigetto. 1. Si evince dagli atti che al ricorrente è stato contestato il fatto di essersi introdotto con altri soggetti, camuffati da carabinieri, nell'abitazione di Giuseppe Pica e, dopo aver giustificato la presenza per finalità di giustizia l'esecuzione di un ordine di perquisizione di essersi impossessato di una consistente somma di denaro 27.000 euro e di gioielli, custoditi dalla persona offesa in una cassaforte, che era stata aperta in seguito all'ordine intimato dai falsi pubblici ufficiali. 2. Infondata è la tesi sostenuta dal ricorrente in relazione alla qualificazione giuridica del suddetto fatto come truffa c.d. vessatoria art. 640, comma secondo n. 2, cod. pen. 2.1. Va premesso che, come si dirà qui di seguito, nel caso di specie deve ritenersi configurabile il reato di estorsione aggravata e non quello di furto in abitazione, come contestato di tale diversa qualificazione giuridica si dovrà tener conto da parte dei giudici di merito e tuttavia ad essa non consegue l'annullamento dell'ordinanza impugnata, non incidendo certamente sul fatto come contestato e sul relativo quadro indiziario e sulla legittimità rectius, adottabilità della misura cautelare in atto. 2.2. Nella materia qui di interesse si registrano due diversi indirizzi interpretativi. Secondo un primo orientamento, il criterio differenziale tra il delitto di truffa aggravato dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario e quello di estorsione, risiede solo ed esclusivamente nell'elemento oggettivo si ha truffa aggravata quando il danno immaginario viene indotto nella persona offesa tramite raggiri o artifizi si ha estorsione, invece, quando il danno è certo e sicuro ad opera del reo o di altri ove la vittima non ceda alla richiesta minatoria. Ne consegue che la valutazione circa la sussistenza del danno immaginario e, quindi, del reato di truffa aggravata o del danno reale e, quindi, del reato di estorsione va effettuata ex ante essendo irrilevante ogni valutazione in ordine alla provenienza del danno prospettato ovvero allo stato soggettivo della persona offesa. Fattispecie, nella quale la Corte ha qualificato come truffa aggravata la condotta dell'imputato, che, presentandosi come agente di polizia in borghese ed esibendo un falso distintivo, induceva la persona offesa a farsi consegnare la somma di 500,00 euro, minacciando di elevare verbale di contravvenzione per infrazioni al codice della strada per il superiore importo di 1300,00 euro cosi, tra le più recenti, Sez. 2, n. 52121 del 25/11/2014, Danzi, Rv. 261328 . Secondo altro orientamento, al quale questo collegio intende aderire, uno dei criteri distintivi tra l'estorsione e la truffa per ingenerato timore è da ravvisare nella particolare posizione dell'agente nei rapporti con lo stato d'animo del soggetto passivo. Nella estorsione, infatti, l'agente incute direttamente od indirettamente il timore di un danno che fa apparire certo in caso di rifiuto e proveniente da lui o da persona a lui legata da un rapporto qualsiasi , di guisa che l'adesione della vittima è il frutto di una determinazione per volontà coartata l'attuazione del male minacciato deve presentarsi in forma di possibilità concreta dipendente dalla volontà dell'agente o di persona legata allo stesso. Nella truffa vessatoria, invece, il danno è prospettato solo in termini di eventualità obiettiva e giammai derivante in modo diretto od indiretto dalla volontà dell'agente, di guisa che l'offeso agisce non perché coartato, ma tratto in inganno, anche se il timore contribuisce ad ingenerare l'errore nel processo formativo della volontà tra le tante Sez. 2, n. 36906 del 27/09/2011, Traverso, Rv. 251149 si vedano anche Rv. 133309 156497 174914 201333 215705 226057 248402 251149 . Quindi, tra le due fattispecie vengono in rilievo due criteri distintivi 1 lo stato d'animo del soggetto passivo, che nell'estorsione agisce con la volontà coartata, mentre nella truffa vessatoria si determina perché tratto in inganno, sia pure attraverso la prospettazione di un timore Sez. 2, n. 5244 del 19/11/1975, Rv. 133309 2 la realizzazione del danno minacciato, che nella estorsione viene prospettato come possibilità concreta, che dipende direttamente o indirettamente dallo stesso agente nella truffa, invece, il male rappresentato non dipende, neppure in parte, dall'agente, il quale resta del tutto estraneo all'evento, sì che il soggetto passivo si determina all'azione versando in stato di errore tra le tante, Sez. 2, n. 7889 del 27/03/1996, P.M. in proc. Spinelli, Rv. 205606 . In una recentissima pronunzia si è ribadito che il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. Fattispecie in cui la Corte ha qualificato come estorsione la condotta dell'imputato che costringeva la vittima a farsi consegnare degli orecchini, minacciandola che avrebbe potuto rivelare al marito l'esistenza di un amante Sez. 2, n. 7662 del 27/01/2015 dep. 19/02/2015, Lanza, Rv. 262574 . Insomma, il reato di truffa aggravata dall'essere stato ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario art. 640 cpv. n. 2 cod. pen. si configura solo allorché venga prospettata al soggetto passivo una situazione di pericolo che non sia riconducibile alla condotta dell'agente, ma che anzi da questa prescinda perché dipendente dalla volontà di un terzo o da accadimenti non controllabili dall'uomo in tal caso la vittima viene infatti indotta ad agire per l'ipotetico pericolo di subire un danno il cui verificarsi, tuttavia, viene avvertito come dipendente da fattori esterni estranei all'agente, che si limita pertanto a condizionare la volontà dell'offeso, senza peraltro conculcarla, con una falsa rappresentazione della realtà. Al contrario, se il verificarsi del male minacciato, pur immaginario, viene prospettato come dipendente dalla volontà dell'agente, il soggetto passivo è comunque posto davanti all'alternativa di aderire all'ingiusta e pregiudizievole richiesta del primo o subire il danno in tali ipotesi pertanto si configura il delitto di estorsione, ed a nulla rileva che la minaccia, se credibile, non sia concretamente attuabile Sez. 2, n. 7889 del 27/03/1996 dep. 10/08/1996, P.M. in proc. Spinelli, Rv. 205606 . E, sempre in altra recente pronunzia di questa corte, si è rilevato che integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l'effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell'agente, quanto che questa sia la rappresentazione della vittima, ancorché in contrasto con la realtà effettiva, a lei ignota. Nella specie, la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di estorsione nella condotta dell'imputato il quale, presentandosi come dipendente di Equitalia, pur non rivestendo più tale qualifica, aveva prospettato il pignoramento ed il sequestro dei beni di proprietà del soggetto passivo, per costringerlo a versargli una somma di denaro non dovuta Sez. 6, n. 27996 del 28/05/2014, Stasi e altro, Rv. 261479 . 2.3. Come si è detto, nel caso in esame la vittima è stata indotta ad aprire la cassaforte della sua abitazione perché i soggetti agenti tra cui l'indagato ricorrente hanno ingenerato direttamente il timore di un danno come derivante dall'essere destinataria di un ordine di perquisizione finalizzata alla ricerca di armi o droga, sicché l'adesione della stessa vittima che ha consentito l'illecito impossessamento dei valori custoditi nella suddetta cassaforte è stata certamente il frutto di una determinazione per volontà coartata. 3. Manifestamente infondato è il secondo motivo, con il quale viene genericamente rappresentato che il tribunale non avrebbe tenuto conto, nella valutazione dei quadro indiziario, dei mancato riconoscimento dell'indagato da parte della vittima durante le operazioni di individuazione di persona effettuate presso il carcere. Nulla viene specificato in ordine alla incidenza di tale attività sulla solidità dei quadro indiziario delineato a carico dell'indagato sia nell'ordinanza genetica sia in quella del Tribunale del riesame. Il motivo, quindi, risulta del tutto generico, mancando ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento del ricorso, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità. Del tutto inconferente, poi, è il riferimento critico fatto alla parte della ordinanza impugnata che delinea il ruolo apicale dell'indagato, onde giustificare l'idoneità della misura cautelare applicata. Il Tribunale, con motivazione esente da vizi logici e di metodo, indica specificamente gli elementi a sostegno della decisione assunta, facendo riferimento ad atti di indagine che evidenziano la pericolosità sociale dell'indagato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 ter disp. att., cod. proc. pen.