Non può esserci reato laddove il fisco tragga comunque un vantaggio economico

Il reato di sottrazione fraudolenta dal pagamento delle imposte si caratterizza per il dolo specifico, posto che l’alienazione simulata, o il compimento di altri atti fraudolenti, devono essere finalizzati alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27143 depositata il 30 giugno 2015. Il caso. Il legale rappresentante di una S.r.l. propone ricorso contro il decreto di sequestro preventivo di un’imbarcazione per il reato di sottrazione fraudolenta dal pagamento delle imposte commesso dalla società, confermato dal Tribunale di sede di riesame. Dalla ricostruzione dei fatti storici, risulta che il sequestro è stato disposto per la riscossione dei debiti tributari maturati in relazione alla vendita simulata della nave, per un importo di oltre 180mila euro. Il ricorrente censura, sotto diversi profili, la ritenuta sussistenza dell’ipotesi di reato contestata. L’elemento soggettivo del reato. Il ricorso risulta fondato in quanto l’ordinanza impugnata, dopo aver motivato in ordine alla ritenuta natura fraudolenta della vendita dell’imbarcazione, ha negato ogni rilevanza all’intervenuta destinazione della somma ricavata all’assolvimento degli oneri tributari. La S.C. precisa che il reato in parola, previsto dall’articolo 11, d.lgs. n. 74/00, si caratterizza per il dolo specifico posto che l’alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva [ ] devono essere finalizzati alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte . Dalla formulazione testuale della norma risulta dunque che una condotta il cui risultato economico fosse destinato ad andare anziché a detrimento, addirittura a beneficio dell’Erario non può dirsi caratterizzata dal dolo specifico e ciò indipendentemente dal fatto che le imposte in tal modo pagate fossero quelle per le quali sia pendente un’azione di riscossione. La pendenza di una procedura di riscossione. Si consideri inoltre che, come afferma la costante giurisprudenza, per la configurazione del reato in parola non è necessaria un’azione di recupero o riscossione. Era dunque necessario che il Tribunale motivasse adeguatamente in relazione agli elementi indicativi del fatto che la vendita dell’imbarcazione fosse stata consapevolmente posta in essere per un valore inferiore a quello reale. Per questi motivi la Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 aprile – 30 giugno 2015, numero 27143 Presidente Mannino – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. N.M. , quale legale rappresentante della Bluride S.r.l., quale terza interessata, ha proposto ricorso nei confronti del decreto di sequestro preventivo dell'imbarcazione denominata Mattina per il reato di cui all'art. 11 del d.lgs. numero 74 del 2000, contestato a C.F. , T.E. e F.G. , in quanto proprietaria dell'imbarcazione stessa. 2. Premette il ricorrente che, in tesi accusatoria, il sequestro preventivo ha avuto ad oggetto in via diretta l'imbarcazione venduta, per l'importo di Euro 180.000, al fine di eludere la riscossione dei consistenti debiti tributari maturati, dalla F.d. Service S.r.l. alla Bluride, società neocostituita con capitale sociale di soli Euro 12.000. 2.1. Ciò posto, con un primo motivo deduce violazione dell'art. 11 del d.lgs. numero 74 del 2000 dopo avere svolto una ricostruzione dei fatti storici all'origine del procedimento, precisa che l'alienazione del natante, lungi dall'essere stata simulata, è effettivamente avvenuta giacché l'acquirente ne ha realmente pagato il prezzo attraverso uno scoperto di conto corrente poi ripianato con un mutuo ottenuto né la rimessa di Euro 4.000 operata da C. in favore della Bluride sarebbe rilevante in quanto effettuata un anno dopo la vendita dell'imbarcazione e rappresentante un importo del tutto irrisorio rispetto al valore del bene. Deduce poi in particolare come l'ordinanza, erroneamente, nel considerare irrilevante il fatto che il prezzo di vendita dell'imbarcazione sia stato utilizzato per il pagamento di debiti tributari, abbia ritenuto che tali debiti fossero diversi da quelli in contestazione e che comunque l'esposizione tributaria complessiva della F.d. Service sarebbe stata ben maggiore. Quanto al primo assunto l'F 24 prodotto testimonierebbe infatti come lo stesso fosse finalizzato al versamento dell'Iva, ossia di un'imposta il cui versamento sarebbe stato in tutto o in parte omesso quanto al secondo, la documentazione prodotta con la memoria difensiva avrebbe smentito totalmente le dichiarazioni del dirigente dell'Agenzia delle entrate secondo cui nessun pagamento sarebbe stato effettuato. Lamenta poi l'omessa motivazione del Tribunale quanto alla fattispecie di cui all'art. 11 in particolare evidenziando come il prezzo di vendita del bene non sarebbe stato affatto incongruo ma addirittura superiore al valore di mercato dell'epoca con deprezzamento rispetto al valore originario di acquisto dovuto a vari fattori su tale punto l'ordinanza del Tribunale del riesame si è limitata infatti ad affermare che l'imbarcazione avesse un certo valore . 2.2. Con un secondo motivo lamenta la violazione di legge in ordine all'assenza della individuazione della condotta tipica di cui all'art. 11 mancando del tutto la descrizione della condotta richiesta dalla norma, ovvero l'alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti in ogni caso la natura simulata non potrebbe certo trarsi dal fatto che i fondi per pagare le rate del mutuo sarebbero stati corrisposti dallo stesso alienante C. con bonifici mensili giacché è la stessa ordinanza a riconoscere che questi avrebbe in realtà corrisposto unicamente Euro 4.000 su 180 mila complessivi comunque non ricollegabili alla rata di mutuo. 2.3. Con un terzo motivo deduce la violazione dell'art. 11 del d.lgs. 74 del 2000 in ordine alla posizione del terzo estraneo ricorrente anche in relazione all'assenza del periculum in mora e alla totale omessa motivazione rispetto a quanto dedotto dalla difesa. Nelle deduzioni difensive si sottolineava, secondo la stessa impostazione accusatoria, che N. risultava del tutto estraneo al supposto reato tanto da non essere neppure citato dal decreto impugnato e che dunque il sequestro aveva colpito un soggetto che deteneva un bene in perfetta buona fede, essendo tra l'altro egli divenuto amministratore della società acquirente l’1 giugno 2011 mentre l'imbarcazione era stata venduta il 27 aprile 2011. Sul punto, l'ordinanza impugnata si è limitata a rilevare come del tutto indifferente che il ricorrente sia raggiunto da gravità indiziaria o piuttosto che il reato sia stato commesso da altri soggetti senza dunque valutare in alcun modo, come anche richiesto dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, il tema posto dal ricorrente, ovvero la legittimità del sequestro in capo al proprietario esclusivo di buona fede dell'imbarcazione, e senza indicare una qualche ragione per la quale si dovesse ritenere che l'imbarcazione in sequestro fosse nella effettiva disponibilità di C. e non della Bluride. Del resto, è risultato, come confermato sia dal G.i.p. che dal Tribunale del riesame, che l’imbarcazione è stata realmente e continuativamente utilizzata dalla Bluride per i noleggi e mai finalizzata all'utilizzo da parte dell'indagato C. . Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato nei limiti di cui subito oltre. L'ordinanza impugnata, dopo avere logicamente spiegato le ragioni per le quali la vendita dell'imbarcazione in sequestro dovrebbe ritenersi fraudolenta, fondamentalmente ricondotte, da un lato, alla avvenuta costituzione della società Bluride appena venti giorni prima che alla stessa fosse venduta l'imbarcazione stessa, e, dall'altro, alle condotte dimostrative di una ingerenza negli affari della società acquirente da parte dei soggetti cui è riconducibile la società alienante ed in particolare di C. che avrebbe garantito un mutuo di 180.000 Euro alla Bluride, di cui amministratore è il cognato N. , collegato all'acquisto dell'imbarcazione , con conseguente infondatezza anche della tesi della estraneità del terzo, ha ritenuto non rilevante, nel senso di una esclusione del fumus del reato, l'intervenuta destinazione della somma di denaro ricavata dalla vendita all'assolvimento di oneri tributari. L'ordinanza, infatti, pur dando atto, a pag. 12, che, effettivamente, con modello F 24, sarebbero stati pagati oneri tributari per l'importo di Euro 180.000, ha puntualizzato tuttavia che i debiti tributari in tal modo pagati sarebbero diversi da quelli in contestazione. 4. Ciò posto, va però ricordato che il reato di cui all'art. 11 del d.lgs. numero 74 del 2000 è caratterizzato dal dolo specifico posto che la alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva nei quali la condotta sanzionata consiste, devono essere finalizzati alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte sicché, attesa la formulazione della norma, deve ritenersi che una condotta il cui risultato economico fosse destinato ad andare, anziché a detrimento, addirittura a beneficio dell'Erario, non potrebbe dirsi accompagnata dal dolo specifico de quo, indipendentemente dal fatto che le imposte in tal modo pagate fossero quelle per le quali sia eventualmente pendente un'azione di riscossione o altre e, del resto, se, per costante indirizzo di questa Corte, un'azione di recupero o riscossione nella fattispecie de qua non risultante come intrapresa nemmeno è necessaria per la configurazione del reato attesa la natura di pericolo dello stesso cfr., tra le altre, da ultimo, Sez. 3, numero 39079 del 09/04/2013, Barei e altro, Rv. 256376 , diverrebbe evidentemente problematica, se non arbitraria, la stessa individuazione di debiti tributari da privilegiare rispetto ad altri. Ne consegue che, a fronte di tale principio, sarebbe stato necessario che il Tribunale, per potere legittimamente ritenere irrilevante, sul piano del fumus , l'intervenuto versamento dei 180.000 Euro all'Erario, desse conto degli elementi indicativi del fatto che la vendita dell'imbarcazione sia consapevolmente stata posta in essere per un valore inferiore a quello reale solo così, infatti, pur in presenza di un versamento del corrispettivo ricavato al fine di pagare un debito tributario, potrebbe in astratto ritenersi ugualmente perseguita la finalità di ledere le legittime aspettative del fisco ovviamente volte ad incamerare l'effettivo valore del bene compravenduto. E solo così, del resto, potrebbe legittimamente qualificarsi come fraudolento, così come previsto dall'art. 11 cit., l'atto posto in essere. Sennonché, su tale punto, l'ordinanza impugnata non ha in alcun modo motivato, essendosi limitata ad affermare, come esattamente lamentato dal ricorrente, che l'imbarcazione aveva un certo valore . 5. L'ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame sullo specifico punto evidenziato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli.