Folle di gelosia, uccide a martellate la moglie: vacilla l’aggravante della crudeltà

Uomo condannato a trent’anni di reclusione. Ora, però, è possibile che la pena venga mitigata. Nodo gordiano è l’applicazione dell'aggravante della crudeltà insufficiente il mero richiamo al numero dei colpi inferti alla donna, soprattutto tenendo presente che ella ha provato a fuggire ed è stata inseguita e agguantata dal marito e poi uccisa.

Anni da incubo per una donna, vittima della folle gelosia del marito. E l’epilogo non è un ‘lieto fine’ tra le mura domestiche, difatti, e davanti agli occhi della piccola figlia, la donna trova la morte, presa letteralmente a martellate dalla persona che aveva scelto come compagno di vita. Inevitabile la condanna per l’uomo, a cui vengono attribuiti i reati di maltrattamenti in famiglia” e di omicidio”. Ma la pena – fissata in trent’anni di reclusione – potrebbe essere ridotta vacilla, difatti, l’aggravante della crudeltà” Cassazione, sentenza n. 27235, prima sezione penale, depositata oggi . Omicidio. Linea di pensiero comune per gip e giudici della Corte d’assise di appello colpevolezza piena, quella dell’uomo, responsabile – e reo confesso – della morte della moglie, colpita ripetutamente al capo con un martello . Consequenziale la pena di trent’anni di reclusione , anche tenendo presenti le aggravanti rappresentate dal rapporto di coniugio e dalla crudeltà . Decisive, sia chiaro, non solo le parole dell’uomo, ma anche la ricostruzione dell’omicidio, considerato il culmine della gelosia morbosa verso la donna, costretta a subire continue vessazioni , e addirittura a vivere una sorta di segregazione, tollerata per evitare di subire conseguenze ulteriori . Crudeltà. E ora, nel contesto della Cassazione, l’obiettivo del legale dell’uomo è vedere mitigata la pena , contestando, in sostanza, la circostanza aggravante della crudeltà . Su questo punto, in particolare, viene sottolineato in premessa, dal difensore, che la mera reiterazione dei colpi è irrilevante ai fini della configurabilità della crudeltà . Poi, viene aggiunto, dalla ricostruzione dell’omicidio è emerso che la vittima aveva reagito all’aggressione ed aveva persino tentato di fuggire , quindi le numerose martellate – ben sedici –, secondo il legale, hanno avuto soltanto lo scopo di togliere la vita alla donna . Ebbene, tali obiezioni vengono ritenute plausibili dai giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi ricordano che per poter parlare di crudeltà è necessario individuare modalità della condotta esecutiva da cui risulti evidente la volontà di infliggere alla vittima un patimento ulteriore . In questa vicenda, è acclarato che l’uomo ha colpito la moglie con il martello alla testa e in altre parti del corpo almeno sedici volte, anche quando la donna era già a terra esanime ed incapace di ulteriore difesa , ma, allo stesso tempo, è stato evidenziato che la vittima ha tentato la fuga verso la porta di casa , e perciò ella era stata inseguita, trattenuta e trascinata dal marito. Tale ricostruzione, secondo i giudici, rende plausibile l’ipotesi che i colpi ulteriormente inferti fossero stati necessaria a vincere la resistenza della vittima per eseguire il delitto . Ciò rende fragile la aggravante della crudeltà , che, è bene ricordarlo, concerne l’ azione cosciente e volontaria dell’omicida, il quale manifesta un’indole particolarmente malvagia quando usa violenza che non è necessaria né per vincere la resistenza della vittima, né per perseguire la morte, ma per dare soddisfazione ai propri istinti crudeli . All’interno di tale quadro, però, resta un elemento ancora da valutare la presenza fisica della figlia – di appena 4 anni – a casa, nel momento dell’omicidio. Su questo fronte, tuttavia, va dimostrato che l’uomo fosse consapevole del fatto che la bambina stesse assistendo mentre egli colpiva la moglie . Compito delicato, quindi, quello affidato ora ai giudici della Corte d’assise di appello, i quali dovranno approfondire ulteriormente la terribile vicenda, per decidere sulla applicabilità della aggravante della crudeltà .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 marzo – 30 giugno 2015, n. 27235 Presidente Cortese – Relatore La Posta Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 2.10.2013 la Corte di assise di appello di Bologna confermava la decisione dei Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Emilia che, all'esito dei giudizio abbreviato, condannava E.A.M. alla pena di anni trenta di reclusione per il reato di cui all'art. 572 cod. pen. e per l'omicidio, con le aggravanti dal rapporto di coniugio e dalla crudeltà. ritenute prevalenti sulle riconosciute circostanze attenuanti generiche, della moglie R.R. che colpiva ripetutamente al capo con un martello. Sulla prova della responsabilità dell'imputato - incontestata essendo lo stesso confesso - i giudici di appello hanno richiamato la sentenza di primo grado dando atto della ricostruzione della dinamica del fatto operata attraverso i rilievi fotografici, la consulenza medico legale del cadavere, le intercettazioni ambientali effettuate in carcere. Hanno evidenziato, altresì, che il movente era stato individuato nella gelosia morbosa dell'imputato, autore di continue vessazioni verso la compagna, coartata fino ad una sorta di segregazione che veniva tollerata dalla donna per evitare di subire conseguenze ulteriori. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia. Con il primo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta circostanza aggravante della crudeltà. Afferma che la Corte d'appello ha contraddetto l'orientamento giurisprudenziale, che pure ha richiamato, secondo il quale la mera reiterazione dei colpi è irrilevante ai fini della configurabilità della aggravante in oggetto. Inoltre, la crudeltà è stata ritenuta nonostante sia stato ritenuto sussistente il dolo d'impeto, non sia stato individuato il colpo che aveva determinato il decesso e sia stato affermato che la vittima aveva reagito all'aggressione ed aveva persino tentato di fuggire. Così che, il quid pluris per affermare la configurabilità dell'aggravante in esame si riduce alla circostanza secondo cui il numero eclatante di colpi inferti non erano stati necessari a determinare la morte affermazione non condivisibile in quanto nella stessa sentenza si fa riferimento ad una serie riavvicinata di colpi tale da rendere superfluo l'accertamento del colpo letale. Nella specie, all'evidenza, le numerose martellate hanno avuto soltanto lo scopo di togliere la vita alla donna quindi, il comportamento dell'imputato non può ritenersi caratterizzato dalla crudeltà. Quanto alla presenza della bambina di quattro anni, valorizzata al fine di ritenere dimostrata la malvagità dell'imputato, il ricorrente rileva che i giudici non hanno in alcun modo motivato in ordine alla consapevolezza dell'imputato che la figlia fosse presente mentre colpiva la moglie. Con un ulteriore motivo di ricorso si denuncia il vizio della motivazione in ordine al giudizio di comparazione fra le circostanze aggravanti e le circostanze attenuanti, ai sensi dell'art. 69 cod. pen Ad avviso del ricorrente, il giudizio di subvalenza muove dal travisamento delle risultanze probatorie non sono state valutate le circostanze che dimostrano un evidente resipiscenza nell'interrogatorio non aveva dichiarato circostanze mendaci l'assenza di concreto risarcimento del danno è giustificata dalle modeste condizioni economiche del ricorrente non vi è prova della presenza della figlia minore al momento del fatto. Considerato in diritto Ad avviso del Collegio, i rilievi difensivi in ordine alla ritenuta configurabilità della circostanza aggravante della crudeltà sono fondati. La circostanza aggravante di avere adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà verso le persone ricorre quando le modalità della condotta rendono obiettivamente evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell'evento e costituiscono un quid pluris rispetto all'attività necessaria ai fini della consumazione dei reato, rendendo la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla vittima con un'azione efferata, rivelatrice di un'indole malvagia e priva del più elementare senso d'umana pietà Sez. 1, n. 25276 del 27/05/2008, Potenza, rv. 240908 . E' necessario, quindi, che il giudice di merito individui modalità della condotta esecutiva dei delitto dalle quali risulti evidente la volontà di infliggere alla vittima un patimento ulteriore, tenuto conto del mezzo che nel caso concreto è stato utilizzato per eseguire il reato e, quindi, che emerga la superfluità dei patimenti cagionati rispetto al processo causale concreto, tale da denotare una particolare malvagità del soggetto agente. Tanto ribadito, nel caso di speciee la Corte di appello, nel confermare la valutazione del primo giudice in ordine alla configurabilità della circostanza aggravante della crudeltà, ha ritenuto che dall'autopsia e dai rilievi fotografici era emerso che l'imputato certamente aveva colpito la donna con il martello alla testa e in altre parti del corpo almeno sedici volte, anche quando la donna era già a terra esanime ed incapace di ulteriore difesa, ma non ha indicato sulla base di quali elementi di fatto ha ritenuto che molti colpi erano stati inferti indipendentemente dalla finalità di uccidere, pur avendo ammesso l'incertezza in ordine alla individuazione del colpo letale. Del resto, la circostanza valorizzata ai fini in esame dai giudici di merito che la vittima avesse tentato la fuga verso la porta di casa e che, per tale ragione, era stata inseguita, trattenuta e trascinata dall'imputato, per come descritta, risulta contraddittoria rispetto al carattere superfluo dei colpi ulteriormente inferti, verosimilmente necessari a vincere la resistenza della vittima per eseguire il delitto. La crudeltà non ha riguardo alla percezione da parte della vittima, bensì, alla azione cosciente e volontaria dell'agente che manifesta un'indole particolarmente malvagia quando usa violenza che non è necessaria né per vincere la resistenza della vittima, né per perseguire la morte, ma per dare soddisfazione ai propri istinti crudeli. Sotto tale profilo ben può essere ritenuta manifestazione di una tale malvagità la circostanza che l'imputato avesse agito in presenza della figlia di quattro anni che avrebbe assistito, quindi, all'azione di inaudita violenza dei padre contro la madre. Tuttavia, come ha dedotto il ricorrente, i giudici non hanno in alcun modo motivato in ordine alla consapevolezza da parte dell'agente che la figlia fosse presente mentre colpiva la moglie, necessaria ai fini della configurabilità dell'aggravante Sez. 1, n. 19966 del 15/01/2013, Amore, rv. 256254 . Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bologn ache dovrà rivalutare la configurabilità della circostanza aggravante. Restano assorbite, all'evidenza, le censure formulate dal ricorrente in ordine al giudizio di comparazione le circostanze aggravanti e tra le attenuanti riconosciute, ai sensi dell'art. 69 cod. pen., ed al conseguente trattamento sanzionatorio. All'annullamento con rinvio consegue la successiva liquidazione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili costituite. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante della crudeltà e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bologna.