Da locale commerciale a edificio di culto: immobile ‘rivoluzionato’ e sequestrato

Inutili le proteste mosse dal legale rappresentante del movimento religioso. Evidente il cambiamento della destinazione d’uso dell’immobile, anche tenendo presenti le ‘linee guida’ fornite dal Comune.

Da locale commerciale ad edificio di culto. Cambiamento radicale nella destinazione d’uso dell’immobile, situato in Campania. Consequenziale e legittimo il sequestro, nonostante le proteste del legale rappresentante del movimento religioso Cassazione, sentenza n. 27068, sez. III Penale, depositata il 26 giugno 2015 . Dalle compere alla preghiera Nessun tentennamento da parte dei giudici di merito viene ritenuto evidente il mutamento di destinazione d’uso di un immobile, originariamente ricompreso nella categoria ‘Bar-ristorante-negozio’ e poi utilizzato come edificio di culto . Ciò comporta l’applicazione della misura del sequestro preventivo , su cui il Giudice per le indagini preliminari e il Tribunale del riesame concordano in maniera netta. E tale linea di pensiero è condivisa e fatta propria anche dai giudici della Cassazione, i quali, alla luce delle rimostranze manifestate dal legale rappresentante dell’associazione religiosa – a cui viene addebitata l’operazione –, affrontano il tema centrale della vicenda, ossia il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile. Per i giudici del ‘Palazzaccio’ corretta è l’ottica adottata tra primo e secondo grado, perché la ‘trasformazione’ da locale commerciale ad edificio di culto si è pacificamente concretizzata, comportando una evidente modificazione urbanistica fra categorie funzionalmente autonome, non omogenee, producendo un conseguente aggravio urbanistico . Su questo fronte, in particolare, viene ricordato che la zona era classificata come agricola, ma, in virtù dell’estensione operata da una delibera consiliare , era stato consentita la realizzazione di residences, pensioni, alberghi, locali per attività ricreative, negozi e bar di conseguenza, affermano i giudici, è lapalissiano che l’utilizzo dell’immobile come luogo di culto ha concretizzato una violazione rispetto all’originario permesso di costruire . Anche perché, viene aggiunto per rispondere alle obiezioni del legale rappresentante del movimento religioso, non si può certo assimilare un luogo di culto, pur aperto anche ad iniziative religioso-culturali, ad un immobile di carattere residenziale, o, addirittura, turistico-ricettivo . E, in questo quadro, è irrilevante il richiamo difensivo al fatto che l’impatto urbanistico della casa di culto è minimo e trascurabile, in quanto l’immobile viene utilizzato limitatamente durante la settimana , anzi, spiegano i giudici, tale considerazione non fa altro che confermare l’avvenuto mutamento del carico urbanistico in ragione del mutamento di destinazione d’uso . Tutte queste considerazioni portano, alla fine, a confermare il sequestro dell’immobile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 aprile – 26 giugno 2015, n. 27068 Presidente Mannino – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza dei 12/11-1°/12/2014, il Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere rigettava il ricorso presentato da O.P. e, per l'effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Ufficio il 23-24/9/2014 e, poi, il 30/9 1°/10/2014 in particolare, il Collegio evidenziava i presupposti dei reato contestato ai sensi dell'art. 44, lett. c , d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ed in particolare l'avvenuto mutamento di destinazione d'uso dell'immobile adibito ad edificio di culto dell'associazione Testimoni di Geova, della quale il ricorrente è legale rappresentante. 2. Propone ampio ricorso per cassazione il P., a mezzo dei proprio difensore, deducendo dieci motivi - violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. per omessa motivazione. II Tribunale avrebbe ritenuto dirimente, per confermare il vincolo, la diversa destinazione d'uso dell'immobile rispetto al permesso di costruire, senza però motivare in alcun modo in ordine all'aumento del carico urbanistico, che viene soltanto presunto motivo ribadito sub 9 , non è dato sapere neppure in ragione di quale standard - mancanza di motivazione in ordine al periculum in mora. Il Tribunale non avrebbe considerato che l'opera ha ricevuto il nulla osta della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, sì che l'accertata compatibilità con gli interessi tutelati dal vincolo ambientale eliderebbe il per/culum citato - contraddittorietà dei provvedimento. Il Tribunale, da un lato, avrebbe individuato le esigenze cautelare nel mutamento di destinazione d'uso, dall'altro nella realizzazione dell'edificio in assenza del permesso di costruire in tal modo la motivazione risulterebbe apparente e contraddittoria - violazione della I. r. Campania 28 novembre 2001, n. 19, art. 23-ter, d.P.R. n. 380 del 2001. L'ordinanza non avrebbe considerato l'art. 23-ter, d.P.R. n. 380 dei 2001, inserito dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla I. 11 novembre 2014, n. 16, in forza del quale il solo mutamento di destinazione d'uso ormai rilevante è quello che comporti l'assegnazione dell'immobile ad una diversa categoria funzionale tra alcune individuate orbene, l'unica applicabile al caso di specie sarebbe quella residenziale e turistico-recettiva, sì che non sussisterebbe alcun mutamento di destinazione d'uso. E senza considerare, inoltre, che l'attività dei Movimento dei Testimoni di Geova svolgerebbe anche attività culturale, sociale e ricreativa, sì da confermare ulteriormente questo assunto - violazione degli artt. 15, 31 e 32, d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione al permesso di costruire n. 5116 del 2010 capo d . L'ordinanza non avrebbe valutato la piena legittimità del titolo edificatorio e, di seguito, della proroga ottenuta il 26/10/2012 nel corpo della quale, peraltro, si affermerebbe che non sono intervenute nuove forme modificative degli strumenti urbanistici - carenza ed erroneità di motivazione quanto al permesso di costruire citato. II Tribunale non avrebbe valutato che la copertura dell'immobile sarebbe stata realizzata in una determinata maniera per espressa indicazione della Soprintendenza - violazione degli artt. 64, 65, 71 e 72, d.P.R. n. 380 del 2001 capo b . Il Tribunale non avrebbe speso alcuna considerazione sul motivo di gravame relativo a queste contestazioni, invero infondate alla luce delle documentazione prodotta - difetto di motivazione in ordine agli artt. 93, 94 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001 capo c . Analoga omissione si ravviserebbe per le contestazioni in materia di normativa antisismica, parimenti infondata in ragione dell'autorizzazione sismica n. 3254 rilasciata dalla Regione Campania - violazione di legge per omesso esame di tutti i motivi di gravame, alla luce delle doglianze sopra indicate. Considerato in diritto 3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelare reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di violazione di legge rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell'art. 606 stesso codice v., per tutte Sez. U, n. 5876 dei 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611 . Ciò premesso, il gravame è infondato al riguardo, la questione centrale della vicenda - il mutamento della destinazione d'uso - costituisce motivo decisivo ed assorbente rispetto agli altri. Per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, la destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione dell'immobile e risponde agli scopi di interesse pubblico perseguiti dalla pianificazione. Essa, infatti, individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale dei territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. Soltanto gli strumenti di pianificazione, generali ed attuativi, possono decidere, fra tutte quelle possibili, la destinazione d'uso dei suoli e degli edifici, poiché alle varie e diverse destinazioni, in tutte le loro possibili relazioni, devono essere assegnate - proprio in sede pianificatoria - determinate qualità e quantità di servizi. L'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono quindi realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto la possibilità di una gestione ottimale dei territorio Sez. 3, n. 38005 del 16/5/2013, Farieri, Rv. 257689 . Ciò dato, il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è soltanto quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, da individuarsi tenendo conto della destinazione indicata nell'ultimo titolo abilitativo relativo all'immobile ovvero della sua tipologia, nonché delle attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire in caso di esecuzione di nuovi lavori Sez. 3, n. 38005 del 16/5/2013, Farieri, Rv. 257689 . Ancora in termini generali, poi, il Collegio di merito ribadisce il principio - costantemente sostenuto da questa Corte - in forza del quale, in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d'uso senza opere è assoggettato a D.I.A. ora S.C.LA. , purché intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica in questo caso, infatti, non è ravvisabile alcun aggravamento del carico urbanistico esistente. Diversamente, è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria come nel caso di specie o, se il cambio d'uso sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria omogenea Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013, dep. 5/2/2014, Tortora, Rv. 258686 Sez. 3, n. 4943 del 17/1/2012, Bittesini, Rv. 251984 . Ciò risponde al principio secondo cui, diversamente, risulterebbero vulnerate le regole generali finalizzate ad assicurare il corretto ed ordinato assetto dei territorio, con conseguente, concreto ed inevitabile pericolo di compromissione degli equilibri prefigurati dalla strumentazione urbanistica Consiglio di Stato, 25/5/2012, n. 759 potendo, inoltre, risultare pregiudicato anche l'interesse patrimoniale dell'ente, perché gli interessati sarebbero altrimenti indotti a chiedere il rilascio dei titoli edilizi contro il pagamento di un minor contributo per il basso carico urbanistico, per poi mutare liberamente e gratuitamente la destinazione originaria senza corrispondere i maggiori oneri che derivano dal maggiore carico urbanistico Sez. 3, n. 39897 del 24/6/2014, Filippi, non massimata . 4. Così richiamati i termini della questione, osserva la Corte che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si è attenuto a questi principi di diritto con motivazione adeguata, congrua ed immune da vizi logici, evidenziando che il mutamento di destinazione d'uso da bar/ristorante/negozio ad edificio di culto si era pacificamente realizzato ed aveva comportato una evidente modificazione urbanistica fra categorie funzionalmente autonome, non omogenee, producendo un conseguente aggravio dell'assetto urbanistico la zona era classificata come agricola ma, in virtù dell'estensione operata dalla delibera consiliare n. 7 del 1993, consentiva la realizzazione di residences, pensioni, alberghi, locali per attività ricreative, negozi e bar ciò in palese difformità dal permesso di costruire n. 5116 rilasciato dal Comune di Alife il 10/11/2010 e successiva proroga. A fronte di tale congruo argomento, peraltro, il ricorrente si limita a due censure, che paiono infondate. Innanzitutto, il gravame richiama l'art. 23-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, come introdotto dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla I. 11 novembre 2014, n. 16, in forza del quale, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate a residenziale a-bis turistico-ricettiva c produttiva e direzionale c commerciale d rurale alla luce di ciò, a giudizio del P., la destinazione d'uso ravvisabile nel caso di specie sarebbe quella residenziale e turistico-recettiva , sì che non potrebbe esser ravvisato alcun mutamento della stessa destinazione, trattandosi di passaggio all'interno della medesima categoria. Orbene, rileva il Collegio che questa novella non può invero produrre effetto di sorta nella presente vicenda, e nella presente fase cautelare, atteso che - giusta logica e diffusa motivazione dell'ordinanza sul punto - il mutamento contestato si traduce in una nuova destinazione d'uso non riconducibile ad alcuna delle categorie ora esaminate, non potendo certo assimilarsi un luogo di culto, pur aperto anche ad iniziative religioso-culturali, ad un immobile di carattere residenziale o, addirittura, turistico-ricettivo. Ancora, il gravame contesta che l'impatto urbanistico della casa di culto sarebbe minimo e trascurabile, in quanto l'immobile viene utilizzato limitatamente durante la settimana l'utilizzo dei servizi e l'impatto urbanistico e sociale, quindi sarebbe in linea, anzi sottostimato, rispetto a quello derivante da utilizzi espressamente richiamati in PRG come residences, pensioni, alberghi, locali per attività ricreative, negozi e bar, case per vacanze . Orbene, rileva la Corte che queste considerazioni, per un verso, attengono ad una verifica in fatto non consentita in sede di legittimità, e, per altro verso, non escludono - anzi, confermano - l'avvenuto aumento dei carico urbanistico in ragione dei mutamento di destinazione d'uso ravvisato. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.