L’oblazione speciale non costituisce condizione di procedibilità del procedimento penale

La Cassazione dirime il dubbio, superando una più rigorosa giurisprudenza.

Così la Cassazione, terza sez. Penale, n. 20562/2015, depositata il 19 maggio 2015. Il fatto. Gestore ed amministratore unico d’impresa utilizzava per quasi un anno manodopera acquisita da somministrante di lavoro non autorizzato ex art. 4, d.lgs. n. 276/2003 e viene condannato nella forma e nella quantità ex art. 18 del medesimo decreto. Ricorre l’imputato avverso la sentenza d’appello confermativa di quella del primo grado, contestando la mutazione del fatto descritto nell’imputazione nel corso del processo penale ed il mancato perfezionamento della procedura speciale di oblazione in materia di lavoro ex artt. 20 e ss., d.lgs. n. 758/1994, che avrebbe dovuto impedire l’apertura del processo penale. La Cassazione invocata smentisce i vizi contestati, argomentando in punto di misure estintive del reato. Annulla per la completa assenza di motivare del giudice d’appello sulla richiesta di applicazione delle circostanze generiche, invece richieste dall’imputato. L’esaurimento della procedura di oblazione speciale ex art. 20, d.lgs. n. 758/1994 non costituisce condizione di procedibilità del processo penale. Nel caso in oggetto la procedura di regolarizzazione, attivata dall’organo di vigilanza della Direzione provinciale del lavoro, non era stata perfezionata per errata notifica all’amministratore, eppure l’imputato ne sosteneva la natura di condizione di procedibilità per l’esercizio dell’azione penale, confortata da diffusa giurisprudenza. La Cassazione depone per l’orientamento contrario, l’avvio della suddetta procedura di regolarizzazione costituisce discrezionalità per la Direzione provinciale del lavoro – nel caso il procedimento penale viene sospeso ex art. 23 fino ai termini dell’art. 21, d.lgs. cit. -, la quale può non impartirne alcuna. In tal caso, per una interpretazione costituzionalmente orientata ex art. 24, Cost., il trasgressore può chiedere al giudice penale di essere ammesso al beneficio – anche nella forma della richiesta per l’oblazione ordinaria nella stessa misura agevolata di quella in sede amministrativa -. Ad ogni modo, in assenza di avvio della procedura da parte della Direzione provinciale e di richiesta del trasgressore, la procedura speciale non costituisce condizione di procedibilità del procedimento penale. Muta il fatto, ma era la richiesta dell’imputato. La sentenza non è nulla. Nel caso in oggetto i giudici avevano mutato la contestazione, dalla previsione ex art. 28, d.lgs. n. 276/2003 – reato di Somministrazione fraudolenta” – alla meno grave previsione ex art. 18, d.lgs. cit La Cassazione rievoca il consolidato giurisprudenziale in punto di mutazione della contestazione che conduce alla nullità della sentenza ex art. 521 c.p.p La violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza non è risolto nel pedissequo confronto letterale fra contestazioni, purché l’imputato abbia avuto la concreta possibilità di difendersi in giudizio su quel fatto e sulle prove a corredo. Oppure quando la diversa qualificazione giuridica del fatto abbia costituito uno dei possibili epiloghi decisori del processo penale e l’imputato abbia potuto interloquire sui contenuti dell’imputazione. In specie, proprio l’imputato nelle conclusioni del giudizio d’appello aveva sollecitato quella mutata qualificazione giuridica, perché meno grave. La Cassazione ritiene infondato il vizio perché ritenuto mancante l’interesse all’impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 aprile – 19 maggio 2015, n. 20562 Presidente Squassoni – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Ravenna, con sentenza del 7 aprile 2014 ha riconosciuto R.S. responsabile del reato di cui all'art. 18, comma 2 d.lgs. 276/2003, così modificata l'originaria imputazione concernente il reato di cui agli artt. 4, comma 1, lett. a e b e 28 d.lgs. 276/2003 perché, quale amministratore unico della M.S. Abbigliamento s.r.l.”, utilizzava illecitamente e con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, presso le sedi operative di Ravenna e Faenza, a partire dall'1/1/2010 fino alla data del 22/4/2010, le prestazioni lavorative di 4 dipendenti per complessive 342 giornate, somministrate in carenza di apposita iscrizione all'Albo di cui all’art. 4 d.lgs. 276/2003 da Giampaolo DE LUCA, nella sua qualità di legale rappresentante ed amministratore unico della C.S.I. Cooperativa Servizi Integrati” di . Avverso tale pronuncia il predetto propone personalmente ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando la mancanza di correlazione tra l'accusa e la decisione, poiché il giudice del merito, solo con riferimento alla sua posizione, avrebbe affermato la responsabilità penale per un fatto diverso da quello contestato, rispetto al quale avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero, peraltro senza indicarne in alcun modo le ragioni. 3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il non corretto espletamento della procedura di estinzione mediante oblazione, non avendo egli ricevuto alcuna comunicazione da parte del personale ispettivo della Direzione Provinciale del lavoro che, avendo egli cessato la carica di amministratore della società, avrebbe dovuto essergli spedita presso la residenza, mentre, da quanto risultante agli atti del procedimento, sarebbe stata inviata presso un negozio di Faenza nelle mani di una commessa” la quale, sentita nel corso dell'istruttoria dibattimentale, avrebbe escluso di conoscerlo ed ammesso di non averlo contattato per renderlo edotto della comunicazione, cosicché difetterebbe la condizione di procedibilità per il reato contestato. 4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per la omessa o, comunque, parziale indicazione delle conclusioni delle parti, essendo stata tralasciata l'indicazione della richiesta della difesa di rilevare l'improcedibilità dell'azione penale. 5. Con un quarto motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione, non avendo il giudice del merito specificato le ragioni per le quali è pervenuto alla riqualificazione del fatto contestato ed alla decisione di condanna, né avendo indicato le modalità di quantificazione della pena irrogata. Rileva, inoltre, che le risultanze istruttorie, che indica nel dettaglio, avrebbero consentito di escludere la sua responsabilità per i fatti addebitatigli 6. Con un quinto motivo di ricorso si duole, infine, del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che pure ritiene del tutto immotivato. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. Va preliminarmente osservato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che l'art. 521 cod. proc. pen., nello stabilire che il giudice possa dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, richiede che il fatto storico addebitato rimanga identico per ciò che concerne la condotta, l'evento e l'elemento soggettivo. In applicazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, la diversità del fatto accertato rispetto a quello contestato si ha dunque quando il secondo si pone, rispetto al primo, in un rapporto di completa eterogeneità. La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro rilevato, in più occasioni, che la violazione di detto principio sia ravvisabile soltanto quando la modifica dell'imputazione pregiudichi le possibilità di difesa dell'imputato cfr. ex pi. Sez. 2, n. 34969 del 10/5/2013, Caterino e altri, Rv. 257782 Sez. 6, n. 6346 del 9/11/2012 dep. 2013 , Domizi e altri, Rv. 254888 Sez. 3, n. 41478 del 4/10/2012, Stagnoli, Rv. 253871 Sez. 3, n. 36817 del 14/6/2011, T. D. M., Rv. 251081 Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051 . Nel considerare la questione in esame, inoltre, si è anche tenuto conto dei principi stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo Corte Europea, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia Corte Europea, 25 marzo 1999, Pellissier e Sassi c. Francia che questa Corte ha avuto modo di richiamare Sez. 6, n. 20500 del 19/2/2010, Fadda, Rv. 247371 ricordando che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha affermato che la portata dell'art. 6, par. 3, lett. a e b della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo impone un concetto ampio del principio del contraddittorio, che non si limita solo alla formazione della prova, ma che proietta i suoi effetti anche alla valutazione giuridica del fatto. In sostanza, l'imputato deve essere messo nelle condizioni di discutere in contraddittorio ogni profilo dell'accusa che gli viene mossa, compresa la qualificazione giuridica dei fatti addebitati. Il diritto ad essere informato dell'accusa e, quindi, dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l'accusa stessa, implica il diritto dell'imputato a preparare la sua difesa, sicché se il giudice ha la possibilità di riqualificare i fatti, deve essere assicurata all'imputato la possibilità di esercitare il proprio diritto alla difesa in maniera concreta ed effettiva ciò presuppone che sia informato, in tempo utile, sia dell'accusa, sia della qualificazione giuridica dei fatti a carico . Sempre in applicazione di tali principi, si è ulteriormente chiarito che la diversa qualificazione giuridica del fatto non determina la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. quando appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto, nella fase di merito, la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione Sez. 5, n. 7984 del 24/9/2012 dep. 2013 , Jovanovic e altro, Rv. 254649. V. anche Sez. 1, n. 9091 del 18/2/2010, Di Gati e altri, Rv. 246494 . Inoltre, nella decisione in precedenza richiamata SS.UU. n. 36651/2010, cit. le Sezioni Unite hanno anche precisato che l'indagine finalizzata alla verifica della violazione del principio di correlazione non deve esaurirsi nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, in quanto, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, non vi è violazione quando l'imputato, attraverso lo sviluppo del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Deve conseguentemente tenersi conto non soltanto del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, in modo tale da porlo in condizione di esercitare le sue difese sull'intero materiale probatorio valorizzato ai fini della decisione Sez. VI n. 5890, 6 febbraio 2013 Sez. III n. 15655, 16 aprile 2008 ed altre prec. Conf. . 2. Date tali premesse, deve rilevarsi che, nel caso in esame, rispetto all'originaria contestazione, che riguardava gli artt. 4, comma 1, lett. a e b e 28 d.lgs. 276/2003, il ricorrente è stato condannato per la violazione dell'art. 18, comma 2 d.lgs. 276/2003. La sentenza impugnata non indica, peraltro, le ragioni per le quali si è pervenuti a tale decisione. Ciò posto, si ricorda che l'art. 28 stabilisce che, ferme restando le sanzioni di cui all'articolo 18, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore, somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20 Euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione” . L'art. 18 prevede, invece, che nei confronti dell'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a , ovvero da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b , o comunque al di fuori dei limiti ivi previsti, si applica la pena dell'ammenda di Euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo” . Si tratta, all'evidenza, di due fattispecie diverse, la prima delle quali, relativa alle ipotesi di somministrazione fraudolenta ”, riguardante una condotta oggettivamente più grave, richiede, sotto il profilo soggettivo, lo specifico fine di elusione di norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore. 3. Va tuttavia rilevato che, secondo quanto evidenziato nella sentenza impugnata, la diversa qualificazione del fatto era stata sollecitata dalla difesa dell'imputato nelle sue conclusioni, laddove, in ulteriore subordine ”, l'Avv. MADELLA, difensore dell'odierno ricorrente, richiedeva il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche qualificando l'ipotesi del reato art. 4 comma. 1 lett. a sanzionato art. 18 d.P.R. 276/03” , cosicché il giudice del merito ha provveduto recependo in pieno la sollecitazione del difensore. Tale evenienza, dunque, non ha comportato alcuna lesione del diritto di difesa, poiché le conclusioni cui è pervenuto il giudicante coincidono perfettamente con le richieste formulate dal difensore, evidentemente all'esito di una articolata interlocuzione. Inoltre, il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 18 deve ritenersi più mite, in quanto la somministrazione comporta per l’utilizzatore sanzioni ulteriori rispetto a quelle stabilite. Risulta pertanto evidente la carenza di interesse all'impugnazione. 4. Quanto al secondo motivo di ricorso si osserva che al summenzionato reato è certamente applicabile la procedura di estinzione mediante oblazione prevista dagli artt. 20 e ss. del d.lgs. 19 dicembre 1994 n. 758, trattandosi di violazione contravvenzionale attinente a materia affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, come già rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte Sez. 3, n. 2857 del 16/10/2013 dep.2014 , Carelli, Rv. 258626 in ragione di quanto disposto dagli artt. 13 e 15 d.lgs. 124/2004. Quanto alla natura di condizione di procedibilità del previo espletamento della procedura di estinzione, la summenzionata decisione la riconosce espressamente, così come altre pronunce precedenti Sez. 3, n. 34750 del 3/5/2011, Costantini, Rv. 251229 Sez. 3, n. 34900 del 6/6/2007, P.M. in proc. Loi, Rv. 237198 . Si è a tale proposito osservato, con riferimento a quanto disposto dal d.lgs. 124/2004 sent. 34900/2007, cit. , che sebbene il reato contravvenzionale sussista nella sua perfezione ontologica anche prima che si apra e si chiuda il procedimento amministrativo in questione, che condiziona la prosecuzione e l'esito del procedimento penale, e se è vero che la condotta di inottemperanza all'obbligo di regolarizzazione e di pagamento della sanzione indicato dall'organo di vigilanza, purché ascrivibile al soggetto agente quanto meno a titolo di colpa, integra una condizione di punibilità intrinseca, cioè incidente sull'interesse tutelato dalla fattispecie, è anche vero che l'effettivo ed esatto verificarsi, in tutti i suoi passaggi, della procedura amministrativa prevista dalle disposizioni in esame, configura una condizione di procedibilità dell'azione penale ”, così ribadendo le conclusioni cui erano pervenute altre precedenti pronunce. A tale indirizzo si sono adeguate le altre decisioni sopra richiamate, senza ulteriori specificazioni. Va tuttavia rilevato, pur prendendo atto di tali arresti, che dalle conclusioni cui si è pervenuti con la sentenza 34900/2007 si sono motivatamente discostate, con argomentazioni che il Collegio condivide, successive pronunce Sez. 3, n. 26758 del 5/5/2010, Cionna e altri, Rv. 248097 Sez. 3, n. 5864 del 18/11/2010 dep. 2011 , Zecchino, Rv. 249566 nelle quali, premessa una articolata disamina della normativa, cui si rinvia, precisano, in primo luogo, come sia ben possibile e del tutto legittimo che l'organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione ed una tale evenienza non condizioni affatto l'esercizio dell'azione penale, cosa che invece avviene, ma per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui l'organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione. Veniva altresì richiamata l'attenzione sul fatto che l'art. 15 d.lgs. 124/2004, oltre ad avere ampliato l'ambito di applicazione del d.lgs. 758/1994, ha previsto l'applicabilità della procedura di regolarizzazione anche nei casi in cui la fattispecie sia a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all'adempimento degli obblighi di legge penalmente sanzionati prima dell'emanazione della prescrizione. All'esito di tale disamina, le richiamate sentenze così testualmente sintetizzano le conclusioni cui pervengono a la prescrizione di regolarizzazione può - non necessariamente deve - essere impartita dall'organo di vigilanza il quale, vuoi inizialmente ove sia quest'ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M. , vuoi successivamente ove sia il P.M., che abbia ricevuto la notizia di reato da altra fonte, ad investire l'organo di vigilanza , può determinarsi a non impartirne alcuna perché, ad es., non c'è nulla da regolarizzare, o perché la regolarizzazione c'è già stata ed è congrua b la sospensione del processo penale di cui all'art. 23 cit., nell'ipotesi in cui la prescrizione di regolarizzazione sia stata impartita dall'organo di vigilanza ove sia quest'ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M. , ovvero possa ancora essere impartita ove sia il P.M., che abbia ricevuto al notizia di reato da altra fonte, ad investire l'organo di vigilanza , non è mai sine die, ma ha comunque un limite temporale massimo di cui si è detto sopra che chiude la parentesi mirata alla conformazione da parte del trasgressore alla prescrizione di regolarizzazione, nel senso sopra chiarito, impartita dall'organo di vigilanza c non c'è alcun diritto del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione dall'organo di vigilanza con assegnazione del relativo termine per adempiere egli è comunque tenuto a regolarizzare - ossia a rispettare le norme di prevenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro - anche se alla prescrizione di legge non si aggiunga la prescrizione dell'organo di vigilanza di rispettarla adottando in particolare specifiche misure ma in ogni caso egli, ove abbia regolarizzato adottando misure equiparabili a quelle che l'organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli con la prescrizione di regolarizzazione, può comunque chiedere al giudice di essere ammesso all'oblazione in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione gli sia stata impartita dall'organo di vigilanza ciò in ragione di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 24, comma 3 ” . Si perviene poi all'ulteriore conclusione secondo la quale il fatto che l'organo di vigilanza, nel comunicare la notizia di reato al Pubblico Ministero, non abbia impartito alcuna prescrizione di regolarizzazione all'imputato, non preclude, se è stata constatata l'avvenuta regolarizzazione, la richiesta di ammissione all'oblazione in sede amministrativa, così come non impedisce, successivamente, la richiesta dell'imputato al giudice di essere ammesso all'oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata dell'oblazione in sede amministrativa. 5. Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non avrebbe comportato l'improcedibilità dell'azione penale e non avrebbe comunque precluso al ricorrente di definire la propria posizione attraverso l'oblazione in sede amministrativa o penale. Nella fattispecie, tuttavia, risulta dalla sentenza impugnata che l'Ispettorato del lavoro aveva inviato a tutti gli imputati gli avvisi di accertamento della violazione, con contestuale prescrizione di eliminare le irregolarità, nel caso fossero ancora sussistenti ovvero accedere alla procedura di definizione dell'illecito in sede amministrativa. Il giudice del merito ha quindi verificato, con accertamento in fatto, l'avvio della procedura di regolarizzazione e l'inoltro della comunicazione a tutti i soggetti interessati. Il ricorrente si duole, però, del fatto che la comunicazione sarebbe stata inviata in luogo diverso dalla sua abitazione e dalla sede dell'azienda. Una tale evenienza, ancorché dimostrata, non avrebbe tuttavia inciso, per le ragioni dianzi esposte sulla procedibilità dell'azione penale. Il motivo di ricorso è, pertanto, infondato. 6. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso, perché anche la mancanza totale dell'indicazione, nell'intestazione della sentenza, delle conclusioni delle parti, non comporta alcuna conseguenza, non essendo tale ipotesi prevista tra i motivi di nullità della sentenza dall'art. 546 cod. proc. pen. cfr. Sez. 6, n. 5907 del 29/11/2011 dep. 2012 , Borella, Rv. 252404 Sez. 3, n. 19077 del 24/3/2009, Aberham e altri, Rv. 243764 . Nel caso di specie, peraltro, la censura riguarda non la mancanza assoluta delle conclusioni, bensì la mera non corretta riproduzione delle stesse. 7. Per ciò che concerne, poi, il quarto motivo di ricorso, deve rilevarsi che la sentenza impugnata descrive sufficientemente gli esiti degli accertamenti espletati e la posizione soggettiva dei singoli imputati, dando conto delle ragioni per le quali perviene all'affermazione di responsabilità penale. La motivazione, che appare immune da vizi logici o manifeste contraddizioni, non risulta criticabile in questa sede, dove non possono avere ingresso le censure formulate dal ricorrente, articolate in fatto e contenenti plurimi richiami ad atti del procedimento cui questa Corte non ha accesso ed alle risultanze dell'istruzione dibattimentale che non possono essere qui sottoposte ad autonoma valutazione. 8. A conclusioni diverse deve invece pervenirsi per ciò che concerne la determinazione della pena, pure oggetto di censura nel medesimo motivo di ricorso ed il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, di cui tratta, invece, il quinto motivo di ricorso. Il giudice, nel quantificare la pena, opera una valutazione discrezionale che richiede una motivazione, ancorché sintetica. Inoltre, come si è già avuto modo di rilevare, la valutazione di congruità dei criteri di quantificazione della pena utilizzati dal giudice del merito possono valere anche quale implicita motivazione del diniego delle attenuanti generiche Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, Palmisani, Rv. 230591. Conf. Sez. 4, n. 23679 del 23 aprile 2013, Viale, Rv. 256201 . Nel caso in esame, la richiesta delle attenuanti generiche era stata esplicitamente formulata dalla difesa, come risulta dalle conclusioni riportate in sentenza. Sul punto tuttavia, la motivazione è completamente assente, perché il giudice ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta. Quanto alla quantificazione della pena, vi è un laconico richiamo ai criteri di cui all'art. 28 del d.lgs. 276/03 senza alcuna ulteriore precisazione che consenta di verificare il calcolo effettuato e senza considerare, peraltro, che, riguardo all'odierno ricorrente, il giudice avrebbe dovuto fare riferimento all'articolo 18 del medesimo decreto in conseguenza della diversa qualificazione del fatto. 9. La evidente lacuna motivazionale impone pertanto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al riconoscimento o meno delle richieste attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, con l'ulteriore precisazione che il giudicato formatosi sull'accertamento del reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d'annullamento. A tale proposito va rilevato che, come già affermato da questa Corte Sez. 3, n. 2857 del 16/10/2013 dep.2014 , Carelli, Rv. 258626, cit. Sez. 3, n. 16381 del 26/1/2010, P.G. in proc. De Martiis, Rv. 246754 Sez. 3, n. 25726 del 24/2/2004, Guerra, Rv. 228957 , il reato non è scindibile in una serie di fatti distinti in relazione ad ogni lavoratore e ad ogni giornata lavorativa, ma ha natura di reato permanente che si protrae unitariamente sino a quando cessa la somministrazione abusiva quindi, nel caso in esame, fino al 22/4/2010 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, con rinvio al Tribunale di Ravenna. Rigetta nel resto il ricorso.