Processo penale telematico: al difensore non è consentito depositare atti a mezzo PEC

Alla parte privata, nel processo penale, non è consentito trasmettere istanze a mezzo posta elettronica certificata questo strumento non costituisce valida forma di comunicazione e/o notificazione.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 18235, depositata il 30 aprile 2015. La tecnologia avanza, ma i limiti restano. Da metà dicembre 2014, come è noto, la Posta Elettronica Certificata è divenuto uno strumento usualmente impiegato per le notifiche degli atti giudiziari nel processo penale ai soggetti diversi dall’imputato. Era fin troppo scontato, tuttavia, che la PEC sarebbe divenuta protagonista di questioni processuali d’ogni genere. Il caso oggetto della sentenza in commento – decisione di grande importanza pratica, perché pone un paletto che i difensori terranno ben presente – è significativo. La difesa può depositare un proprio atto giudiziario, nel caso di specie un’istanza di rimessione in termini per proporre impugnazione, servendosi della posta elettronica certificata? No, dicono gli Ermellini, e ci spiegano bene anche perché. La forma delle notificazioni degli atti nel processo non è libera. La disciplina che consente la notifica a mezzo posta elettronica certificata serve a consentire alle cancellerie di procedere a notificazioni rapide ed economiche, aggiungiamo noi nei confronti delle persone diverse dall’imputato. Attualmente la PEC viene usata come alternativa privilegiata” rispetto ad altre forme di notifica con mezzi tecnici idonei, per usare le parole del codice telefono, fax, eccetera. Non è prevista espressamente la possibilità che il difensore, quindi la parte privata, possa servirsi di tale strumento per notificare un proprio atto all’autorità giudiziaria. Sulla base di questo rilievo la Suprema Corte non ha ritenuto che la spedizione elettronica dell’istanza di rimessione in termini per il deposito della quale è previsto un termine decadenziale per proporre impugnazione sia da considerarsi valida. Una decisione che, si immagina, potrà avere portata generale. Le conclusioni cui è pervenuto il Supremo Collegio fanno molto riflettere. Dal tenore della motivazione, infatti, sembra potersi desumere un indirizzo piuttosto chiaro i difensori, in quanto parti private, possono notificare validamente i propri atti alle autorità giudiziarie esclusivamente nelle forme disciplinate dal codice deposito dell’atto in segreteria o cancelleria e, salvo espresso divieto, invio a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. L’importanza del monito che proviene dalla Suprema Corte è evidente il deposito di un atto spedito a mezzo PEC, proveniente dal difensore, si ha per non eseguito, con tutte le conseguenze varie, ma sempre sgradevolissime del caso. E se si sbaglia il destinatario? Che succede se un’istanza viene depositata presso un organo giudiziario incompetente? Poniamo il caso che essa venga presentata ad un ufficio di Procura, e non al giudice. E’ proprio quello che è successo nel caso oggetto della sentenza in commento la richiesta di rimessione in termini veniva inviata alla Procura Generale e non al giudice che avrebbe dovuto decidere. In questi casi, hanno stabilito gli Ermellini, non si applica il principio che impone al giudice incompetente di trasmettere gli atti a quello competente, nato con esclusivo riferimento al settore delle impugnazioni e finalizzato ad assicurare, ove possibile, l’ammissibilità di queste ultime. L’istanza di rimessione in termini per impugnare una sentenza non appartiene al catalogo dei mezzi di impugnazione. Il PM – o, nel caso di specie, il PG – è una parte pubblica e, come tale, si deve riconoscergli un dovere di trasmissione al giudice competente delle istanze che erroneamente gli siano state presentate . Tuttavia, non può ritenersi che tale dovere abbia anche l’effetto di congelare” i termini perentori che scandiscono alcune incombenze processuali. Come sarà il prossimo futuro? Il progresso tecnologico non si ferma mai, e quindi è lecito aspettarsi che il continuo evolversi delle tecnologie si rifletterà anche su altri plessi normativi del codice del rito penale. L’informatizzazione del processo, inteso come tipica espressione dell’attività giudiziaria, è un cammino senza posa. Nel campo della giustizia civile si va verso la completa informatizzazione in quello penale ci vorrà qualche ulteriore sforzo. Magari, in un domani forse non troppo lontano, i penalisti potranno notificare i propri atti a mezzo PEC. Per adesso, però, si deve procedere all’antica”, cioè a norma di codice.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 gennaio – 30 aprile 2015, n. 18235 Presidente Cortese – Relatore Novik Rilevato in fatto 1. Con ordinanza del 11/6/2014 la Corte di assise di appello di Milano rigettava le richieste presentata da L.M. di dichiarare non esecutiva la sentenza emessa in data 30/11/2011, irrevocabile il 21/1/2014, di condanna della ricorrente alla pena di anni due mesi otto di reclusione per il reato previsto dall'art. 416 cod. pen. per omessa notifica del decreto di citazione a giudizio, dell'estratto contumaciale di primo e secondo grado e di tutti gli atti successivi rigettava la richiesta subordinata di restituzione nel termine per proporre impugnazione ai sensi dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen In ordine alla richiesta principale rilevava che all'atto della sua scarcerazione la ricorrente aveva dichiarato domicilio in omissis , dove era stata eseguita la notifica del decreto che dispone il giudizio. Non essendo stata reperita, tutte le notifiche erano state effettuate dapprima presso il difensore di fiducia e poi, a seguito della rinuncia al mandato di quest'ultimo, al difensore di ufficio nominato. Questi aveva proposto ricorso per cassazione dichiarato inammissibile. In relazione alla richiesta di rimessione nei termini per proporre impugnazione, il giudice dell'esecuzione ne rilevava la tardività. Pur dando atto che non vi era prova che l'imputata avesse avuta effettiva conoscenza della sentenza di condanna, ella era stata arrestata il 18/4/2014 tuttavia, la richiesta di essere rimessa nei termini per impugnare, proposta in data 19/5/2014 dal difensore di fiducia nominato, era pervenuta alla Procura generale della Repubblica di Milano in data 20/5/2014 e trasmessa alla Corte di appello il successivo 23/5/2014. 2. Con la successiva ordinanza emessa il 18/6/2014, la medesima Corte di assise di appello dichiarava inammissibile l'istanza di revoca dell'ordinanza 11/6 inviata via fax dal difensore. Ad avviso del giudicante, l'ordinanza era ricorribile soltanto per cassazione. In ogni caso, scendendo all'esame della doglianza, rilevava che l'originaria istanza era stata inviata dapprima a mezzo PEC, e il trentesimo giorno dall'arresto dell'imputata, a mezzo raccomandata, alla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano - ufficio esecuzioni. Osservava quindi che nel processo penale l'utilizzo della posta certificata non era consentito alle parti private per notificazioni o comunicazioni e che, comunque, l'istanza, trasmessa ad un ufficio incompetente a decidere non tenuto ad esprimere alcun parere, era pervenuta alla cancelleria del giudice competente fuori termine. 3. Avverso l'ordinanza la condannata propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, per violazione di legge in relazione alla tardività dell'istanza all'applicazione della normativa digitale e all'art. 583, comma 2, cod. proc. pen erronea applicazione della legge penale in relazione alla competenza del giudice dell'esecuzione errata pronuncia emessa dalla Corte di assise di appello non nella qualità giuridica di giudice dell'esecuzione, essendo il giudice dell'esecuzione competente funzionalmente mancato rispetto del principio espresso dall'art. 568, comma 5, cod. proc. pen Ad avviso del difensore, l'istanza era stata spedita in tempo utile il 19 maggio 2014, in quanto il 18 cadeva di domenica, sia a mezzo PEC, dato di cui la Corte di assise di appello non si era avveduta, sia a mezzo raccomandata A/R. In proposito, ai sensi dell'art. 583, comma 2, cod. proc. pen., si doveva avere riguardo alla data di spedizione della raccomandata e non alla data in cui la stessa era pervenuta e, in ipotesi di spedizione a mezzo servizio postale, la decadenza prevista dall'art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen. doveva avere riguardo alla data di invio della richiesta a mezzo di lettera raccomandata e non a quella di ricezione di essa da parte dell'Ufficio. Richiamata la normativa che regola l'invio a mezzo PEC, la ricorrente contesta la tesi della sua inapplicabilità formulata nell'ordinanza impugnata, anche perché nell'intestazione unitamente all'ufficio della procura generale vi era quello della Corte di assise di appello in funzione di giudice dell'esecuzione. Detta richiesta era stata presentata alla Corte di assise di appello, unitamente a quella di nullità, perché potesse essere giudicata unitariamente. Nessun pregiudizio era stato arrecato, attesa l'assenza di altre parti, ed era prassi degli uffici giudiziari di Roma che l'incidente di esecuzione fosse presentato presso l'ufficio esecuzione della procura di Roma - organo impersonale -, competente ad esprimere parere. In ogni caso, doveva trovare applicazione il principio introdotto dall'articolo 568 comma 5 del codice di rito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Va premesso che la Corte di assise di appello è stata investita della richiesta di nullità del titolo esecutivo e di rimessione in termini in relazione alla sentenza 30/11/2011 da essa stessa emessa in riforma della sentenza della Corte di assise di Milano 12/10/2010. La Corte distrettuale era nel contempo giudice dell'esecuzione e giudice dell'impugnazione, competente a decidere ex art. 175, comma 4, cod. proc. pen Le argomentazioni, di non perspicua comprensione, svolte dal difensore in proposito non sono pertinenti. 3. Per quanto attiene la trasmissione dell'istanza del difensore a mezzo PEC si osserva che alla parte privata, nel processo penale, non è consentito l'uso di tale mezzo informatico di trasmissione, quale forma di comunicazione e/o notificazione. L'utilizzo della PEC è stato consentito, ma a partire dal 15/12/2014, solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall'imputato - a norma degli articoli 148 comma 2-bis - 149 - 150 e 151 comma 2 cod. proc. pen. legge n. 228 del 2012 art. 1 comma 19 D.L 18/10/2012 n. 179, art. 16, comma 9 e 10 . Allo stato, la forma della notifica via PEC è deputata a sostituire forme derogatorie dell'ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari. Si tratta de a le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. b le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall'Autorità giudiziaria giudice o pubblico ministero , con mezzi tecnici idonei , secondo il dettato dell'art. 148, comma 2-bis, cod. proc. pen. c gli avvisi e le convocazioni urgenti disposte dal giudice nei confronti di persona diversa dall'imputato, per le quali è stata finora consentita la notifica a mezzo del telefono confermata da telegramma ovvero, in caso di impossibilità, mediante mera comunicazione telegrafica dell'estratto , da eseguirsi ai recapiti corrispondenti ai luoghi di cui all'art. 157, commi primo e secondo e nei confronti del destinatario o di suo convivente art. 149, cod. proc. pen. d le notificazioni di altri atti disposte dal giudice sempre nei confronti di persona diversa dall'imputato, mediante l'impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell'atto art. 150, cod. proc. pen. . 4. In ogni caso, è decisivo ed assorbente il rilievo che la richiesta di rimessione in termini è stata presentata oltre il termine di decadenza. L'art. 175 cod. proc. pen., comma 2 bis, stabilisce che l'istanza di restituzione nel termine deve essere presentata all'ufficio giudiziario competente nel termine di decadenza di trenta giorni, e non contiene alcun richiamo alla facoltà di spedizione dell'atto a mezzo di raccomandata, riservata dall'art. 583 cod. proc. pen. agli atti di impugnazione, ed estesa da specifiche norme processuali ad altri mezzi di gravame, quali la richiesta di riesame contro le misure cautelari personali art. 309 cod. proc. pen., comma 4 che richiama gli artt. 582 e 583 o le misure cautelari reali art. 324 cod. proc. pen., comma 2 che richiama l'art. 582, nella interpretazione data da Sez. U., n. 230 del 20/12/2007 - dep. 07/01/2008, Normanno, Rv. 237861 né può affermarsi l'applicabilità dell'art. 583 cod. proc. pen. comprendendo nella categoria degli atti di impugnazione anche la richiesta di restituzione nel termine, trattandosi di rimedio processuale privo della connotazione propria dell'impugnazione, consistente nella richiesta di riforma di un provvedimento giudiziario rivolta ad un giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento impugnato. Per tali ragioni si deve concludere che, ai fini di verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine a norma dell'art. 175 cod. proc. pen., comma 2 bis, non è applicabile la disposizione prevista dall'art. 583 cod. proc. pen., comma 2, che individua la data di proposizione dell'impugnazione in quella di spedizione della raccomandata in senso conforme Sez. 1, Sentenza n. 6726 del 2010 Sez. 2, n. 35339 del 13/06/2007, Bari, Rv. 237759 Sez. 1, n. 25185 del 17/02/2009, Ben Kassi, Rv. 243808, secondo cui la decadenza di cui all'art. 175 c.p.p., comma 2 bis opera con riguardo alla data di ricezione della richiesta da parte dell'Ufficio e non a quella di invio dell'atto da parte dell'interessato . Non solo, quindi, la raccomandata A/R è pervenuta alla Procura Generale fuori termine il 20/5/2014 termine ultimo utile il 19/5, avendo avuto la condannata conoscenza del provvedimento il 18/4 al momento del suo arresto, che costituisce il dies a quo , ma il momento della presentazione della richiesta deve essere considerato a tutti gli effetti quello in cui la stessa giunge all'esame del giudice competente a decidere. In proposito, va osservato che l'art. 583 cod. proc. pen. che esprime il principio generale di conservazione degli atti giuridici e del favor impugnationis riguarda le impugnazioni e regola i rapporti tra organi appartenenti alla giurisdizione. Il pubblico ministero non è un giudice e se come parte pubblica, in adempimento dell'obbligo di cooperazione con le parti per il perseguimento dei fini della giustizia, si deve riconoscergli un dovere di trasmissione al giudice competente delle istanze che erroneamente gli siano state presentate, ciò non significa che tutte le conseguenze di legge, come il rispetto del termine impeditivo della decadenza, si hanno per verificate quando la richiesta perviene al giudice competente nel caso, il 23/5 . A norma dell'art. 616 cod. proc. pen. la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.