Gratuito patrocinio: tra interessi in conflitto dei familiari, inidoneità della domanda e norma extra penale, prevale la condanna dell’imputato

È escluso che la domanda di gratuito patrocinio formulata dalla parte in occasione di azione volta ad ottener la dichiarazione degli effetti civili del matrimonio, possa essere formulata omettendo di considerare tra i redditi a disposizione del richiedente, anche quelli dei figli conviventi non avendo gli stessi alcun interesse giuridico, attuale e concreto, in contrasto con quello dei genitori.

Inoltre, non può considerarsi errore sulla legge extrapenale quello che involga quanto previsto dall’art. 76, d.p.r. n. 115/2002 espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 della medesima disposizione. Questo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18039, depositata il 29 aprile. Il caso. L’imputata aveva presentato domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai fini d’ottenere assistenza nella causa di divorzio promossa nei suoi confronti dal proprio coniuge. Nella domanda la donna non aveva stabilito i redditi percepiti dai figli convieniti la cui esistenza era invece stata debitamente segnalata nella domanda. Condannata per la violazione del disposto dell’art. 95, d.p.r. n. 115/2002, in primo e secondo grado, essa formava ricorso per cassazione deducendo a errata applicazione di legge in relazione al disposto dell’art. 76, d.p.r. per avere il Giudice d’appello disatteso la norma che stabilisce come nei processi in cui gli interessi del richiedente siano in conflitto con quelli degli altri componenti del nucleo familiare deve tenersi conto del solo reddito personale del dichiarante, b violazione dell’art. 47, comma 3, c.p. posto che anche ove si ritenesse la controversia afferente la cessazione degli effetti civili del matrimonio non rientrante tra le ipotesi previste dall’art. 76, d.p.r. n. 115/2002, sarebbe evidente l’errore interpretativo da parte della Corte di appello. c violazione di legge in riferimento all’art. 49, comma 2, c.p. per impossibilità dell’azione posta in essere dall’imputata a produrre l’evento dannoso per inidoneità dell’azione medesima, d vizio di motivazione per non avere, il giudice di seconde cure, preso in esame i documenti prodotti dalla difesa a dimostrazione del conflitto di interessi tra i famigliari del richiedente coinvolto in casa di divorzio. La Corte ha ritenuto infondato il ricorso. La causa di divorzio e gli interessi confliggenti dei familiari. La Corte, attraverso una piuttosto asettica ricostruzione della vicenda processuale astratta inerente la controversia promossa in sede civile, indica e determina come non via sia alcun contrasto, concreto ed attuale, tra gli interessi di uno dei due coniugi e quelli dei figli con lui conviventi rispetto alla domanda formata e presentata dall’altro coniuge volta ad ottenere il divorzio”. Individuando quale unico legittimato attivo all’azione uno dei due coniugi e quale unico legittimato passivo l’altro coniuge, non può che giungersi alla perfetta e dimostrata, in astratto ed in vitro, totale estraneità dei figli rispetto alla pronuncia. Ora, al di là della concreta vicenda, pare che l’equazione, che parte da presupposti giuridici veri, fondati ed incontestabili, pecchi di superficialità laddove non si tenga nel minimo conto che gli interessi” cui il Legislatore fa riferimento sembrano, in difetto di specificazione, potersi riferire al novero ed al numero di quelli che non processualmente” evidenziabili od azionabili, sono comunque potenzialmente, ma neppur troppo, capaci di condizionare il libero completo e pieno agire del soggetto che richiede, o si appresta a richiedere, tutela giurisdizionale. La lettura del termine interessi proposta offre ovviamente il fianco a critiche, ma appare più consona e rispettosa di quel diritto di difesa, che deve essere garantito in concreto e non in astratto, che il Legislatore ha inteso introdurre e santificare con la normativa di cui si discute. Ma l’esperimento condotto in vitro dagli Ermellini ha fornito esito e risposta differente. E’ tramite artifici e raggiri, indotto in errore la Regione Lombardia e, in forza di detta condotta, ottenuto indebiti finanziamenti che, però, sarebbero rimasti integralmente nella disponibilità dell’ente cui erano destinati. Alla luce della ricostruzione fattuale effettuata appare del tutto palese che i soggetti agenti agirono nella funzione e nell’interesse dell’ente Comune. La circostanza appare rivestire, nel ragionamento della Corte, efficacia risolutiva. L’errore. La Corte ribadisce, l’orientamento giurisprudenziale è risalente Cass. IV sez. penale n. 37590/2010 , come nel caso di specie non sia invocabile il disposto dell’art. 47, comma 3, c.p. posto che non vi è alcun rinvio a norme di natura extrapenale posto che l’art. 76 della disposizione del 2002 è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice. Francamente mi par corretto e giuridicamente indiscutibile. La natura del reato. Anche il terzo motivo di ricorso viene dichiarato infondato sulla scorta di un costante e risalente orientamento giurisprudenziale che indica come inidonea in rapporto all’evento voluto sia da ritenersi esclusivamente quella condotta che, valutata in astratto, deve mostrare una inefficienza strutturale e strumentale del mezzo che non deve consentire neppure una attuazione eccezionale del proposito criminoso . Inefficienza che nel caso di specie non solo non è stata rilevata ma diviene addirittura superflua allorché si consideri che la giurisprudenza considera la fattispecie astratta quale integrante reato di mera condotta che, per sua stessa natura esclude qualsiasi influenza dell’evento in relazione al suo perfezionarsi. Dunque la mera richiesta formata nella consapevolezza d’omettere dati richiesti ai fini di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato integra ex se e senza necessità che l’evento si realizzi, condotta tipica ed illecita. Del resto il conseguimento dell’indebito vantaggio costituisce e determina un aumento di pena che, più lieve, permane comunque per la mera condotta che non raggiunga lo scopo prefissato. La Corte ritiene di non dedicare che tre scarne righe all’ultimo motivo di gravame finalizzate esclusivamente a ritenere logico e sufficientemente argomentato il procedimento seguito dal giudice di seconde cure nel pronunciare sentenza di condanna. L’assenza d’ogni altro elemento impedisce la formazione d’alcun commento in tema che parrebbe frutto di apodittiche prese di posizioni piuttosto che di valutazioni giuridiche. Il che, da parte di un avvocato non sarebbe commendevole.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 1 – 29 aprile 2015, numero 18039 Presidente Sirena – Relatore Casella Ritenuto in fatto La Corte d'appello di Cagliari, con sentenza emessa in data 12 febbraio 2013, confermava la sentenza 20 novembre 2009 con la quale il GIP del Tribunale di Cagliari, in esito a giudizio abbreviato, dichiarò P.M.B. responsabile del delitto di cui agli artt. 76 e 95 d.P.R. 30 maggio 2002 numero 115,commesso in Cagliari l' 1 febbraio 2007, per aver falsamente attestato, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che il proprio nucleo famigliare aveva percepito, nell'anno 2005, redditi pari a 5.190,00 euro anziché per complessivi euro 34.948,00, omettendo in tal modo di indicare i redditi percepiti nello stesso anno dai figli conviventi, peraltro menzionati nella stessa dichiarazione B.A. e B.P., pari rispettivamente ad euro 22.485,00 ed ad euro 17.729,00. Ricorre per cassazione l'imputata, per tramite del difensore, deducendo quattro motivi di annullamento per vizi di violazione di legge, così riassunti. Denunzia la ricorrente, con il primo motivo, la violazione dell'articolo 76, comma 4° d.P.R. numero 115 del 2002 per avere la Corte distrettuale disatteso la chiara portata derogatoria di detta disposizione che stabilisce che, nei processi in cui gli interessi del richiedente siano in conflitto con quelli degli altri componenti del nucleo famigliare, deve tenersi conto del solo reddito personale del dichiarante. Sostiene il difensore che, nel caso specifico, l'imputata avrebbe potuto giovarsi di tale deroga posto che, quale convenuta nella causa di divorzio promossa dal coniuge, per ciò stesso si era venuta a trovare in conflitto di interessi con i figli conviventi, attesa la notoria avversione di questi sia alla separazione che, a fortiori, al divorzio dei genitori. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell'articolo 47, comma 3° cod. penumero posto che, anche ove si ritenesse il divorzio non rientrare tra le ipotesi di deroga, risulterebbe comunque innegabile l'errore interpretativo della norma extrapenale in cui sarebbe incorsa l'imputata, tale da escluderne la punibilità. Lamenta inoltre il difensore, con la terza censura, la violazione dell'articolo 49 comma 2° cod.penumero La Corte d'appello, secondo la difesa, avrebbe dovuto pronunziare sentenza di assoluzione della prevenuta essendo impossibile l'evento dannoso o pericoloso, per inidoneità dell'azione stante l'inammissibilità intrinseca dell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio presentata dalla predetta, al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Cagliari in quanto priva dei requisiti essenziali previsti dell'articolo 79 d.P.R. numero 115 dei 2002, quanto all'indicazione dei figli. Di talché l'istanza non avrebbe potuto valere quale dichiarazione sostitutiva della certificazione sulle condizioni di reddito dei componenti il nucleo famigliare. Con l'ultimo motivo, il difensore si duole dei vizio motivazionale non avendo Giudici di seconda istanza preso in esame i documenti prodotti dalla difesa E costituiti dai moduli e dalle istruzioni predisposti dai diversi ordini forensi per IZ domanda di ammissione al gratuito patrocinio a dimostrazione della sussistenza di conflitto di interesse tra i famigliari del richiedente coinvolto in causa di divorzio. Considerato in diritto II ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con ogni conseguente effetto a carico dell'imputata, ex articolo 616 cod. proc. penumero Quanto alla prima doglianza, non può non condividersi l'esaustiva e puntuale motivazione resa dalla Corte distrettuale in risposta della stessa censura dedotta con i motivi d'appello, con cui si è sottolineata in particolare la sussistenza oggettiva e soggettiva del delitto di falso commesso dalla imputata. Resta invero escluso che l'imputata, quale convenuta nella causa di divorzio intentata dal coniuge, potesse trovarsi in conflitto di interessi non solo com'è ovvio con il coniuge legittimato attivo all'azione promossa, ma anche con i figli conviventi, processualmente privi di ogni legittimazione a fronte dell'azione di natura strettamente personale coinvolgente i soli coniugi, a nulla comunque rilevando un'eventuale dissenso o consenso dai figli manifestato per l'iniziativa dei padre, ciò semmai incidendo esclusivamente sul piano congetturale e di fatto. Peraltro l'oggettiva falsità della dichiarazione autocertificativa ex artt. 79 lett. c e 76 d.P.R. numero 115 del 2002 sull'ammontare del reddito complessivo del nucleo famigliare nella quale l'imputata omise di indicare i redditi percepiti dai due figli conviventi doveva ritenersi pacificamente sorretta dall'incontestabile volontà di dissimulare il vero allo scopo di conseguire il beneficio richiesto, nella consapevolezza di non trovarsi nelle condizioni previste dalla legge. A riprova deve annotarsi che la P. si guardò bene dal segnalare, nella domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, presentata al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Cagliari, le ragioni che l'avevano indotta ad omettere l'indicazione dei redditi prodotti dai figli nell'anno d'imposta di riferimento 2005. Alla invero pretestuosa esistenza del conflitto di interessi, quale illazione della difesa come ha evidenziato la Corte d'appello l'imputata fece cenno unicamente con l'atto d'appello, disvelando la manifesta mala fede che inficiava la presentazione della domanda, non avendo messo in condizione l'organo competente a provvedere in via anticipata di compiere le necessarie e preventive verifiche ed eventualmente ammetterla al beneficio escludendo dal calcolo complessivo del reddito quello prodotto dai figli conviventi nell'anno 2005, ove ritenuta la sussistenza del conflitto di interessi ovvero determinarsi diversamente. Egualmente infondato è il secondo motivo. Questa stessa Sezione, con la sentenza numero 37590 del 2010 rv. 248404, ha già statuito che deve considerarsi errore sulla legge penale - tale quindi da non escludere la punibilità - quello che involga quanto previsto dall'articolo 76 d.P.R. numero 115 del 2002 che è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all'articolo 95 d.P.R. numero 115 del 2002 ,previo rinvio all'articolo 79 dello stesso d.P.R., non trattandosi di norma extrapenale. Dal chiaro orientamento non v'è motivo di discostarsi, non rilevando quindi nella concreta fattispecie il disposto dell'articolo 47, comma 3° cod. penumero Del tutto condivisibile in quanto immune dai lamentati vizi va ritenuto l'assunto argomentativo con cui la Corte d'appello ha già giudicato priva di pregio la stessa censura, riproposta con il terzo motivo di ricorso. Come già rilevato, la fattispecie di reato rientra nella categoria dei reato di pura condotta. L'evento costituito dal conseguimento dell'illecita ammissione al beneficio determina unicamente un aumento della pena. Ora può dirsi orientamento prevalente e consolidato della giurisprudenza di legittimità, ancorchè risalente nel tempo, quello secondo il quale cfr. ex multis Sez.1 numero 721/1998 rv. 180233 Sez 6 numero 15335/1990 rv. 185809 Sez. 2 numero 7630/2004 rv.228557 ai fini della configurabilità dei reato impossibile, l'inidoneità, in rapporto all'evento voluto, deve essere assoluta, con valutazione astratta della inefficienza strutturale e strumentale del mezzo che non deve consentire neppure una attuazione eccezionale del proposito criminoso. II che non appare sostenibile nel caso di specie in cui - ovviamente - il fatto che l'imputata abbia indicato nell'istanza di cui all'articolo 79 d.P.R. numero 115 del 2002 come si assume in ricorso le generalità dei figli conviventi, ancorchè incomplete perchè prive del rispettivo codice fiscale, non rappresentò circostanza impeditiva degli accertamenti del caso, attesochè l'istante ebbe ad omettere la contestuale specificazione delle ragioni per cui, versando essa in conflitto di interessi, non si sarebbe dovuto tener conto dei redditi prodotti da costoro. Né può ritenersi ammissibile, date le riferite circostanze di fatto, che la ricorrente possa giovarsi a posteriori del mancato rilievo dell'inammissibilità dell'istanza dalla stessa proposta volutamente incompleta come sostenuto peraltro solamente con l'atto d'appello onde sottrarsi a responsabilità penale. La risposta alla quarta ed ultima censura dedotta è già stata esposta nelle considerazioni che precedono avendo la Corte d'appello già sufficientemente messo in luce la condizione di mala fede in cui versava l'imputata allorchè non prospettò, in uno con la domanda volutamente redatta in termini incompleti la sussistenza dei presunto conflitto di interessi in cui versava nei confronti dei figli conviventi in quanto convenuta nella causa di divorzio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.