L’abuso dell’autorità non può essere dedotto in via presuntiva ma deve essere comunque dimostrato

Nonostante il racconto della persona offesa fosse alquanto conforme alla veridicità del fatto, perché sussista il reato di violenza sessuale mediante abuso dell’autorità ex art. 609 bis c.p. è necessario che si riscontri l’elemento della costrizione della vittima al rapporto sessuale. Tale costrizione non può essere desunta, in via presuntiva, dalla semplice posizione autorevole ricoperta dall’individuo imputato, ma deve essere dimostrata come nel reato di violenza sessuale mediante violenza o minaccia.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, sez. III Pen., con la sentenza n. 16107 deposita il 17 aprile 2015. La veridicità del fatto non è sufficiente. Nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso presentato ritenendo fondata la sentenza di luogo a procedere pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare. I fatti concernevano una presunta violenza sessuale subita da una giovane donna da parte di un medico ginecologo. Il giudice dell’udienza preliminare prima ed i giudici di legittimità successivamente, ritenendo corrette le deduzioni del G.U.P., hanno riconosciuto la veridicità del racconto della persona offesa ma hanno altresì evidenziato come ciò non fosse bastevole per il prosieguo del procedimento in fase dibattimentale. È infatti necessario dimostrare che l’induzione al consenso sia stata causata dall’abuso dell’autorità. L’elemento della costrizione. I giudici di legittimità, nel ricostruire il reato di violenza sessuale mediante abuso di autorità ex art. 609 bis c.p., rilevano come l’elemento della costrizione della persona offesa sia necessario al pari del reato di violenza sessuale mediante violenza o minaccia. Tale costrizione non può essere desunta in via presuntiva dalla posizione autorevole dell’individuo imputato. Il legislatore intervenendo nel 1996 sul reato in questione ha eliminato la presunzione assoluta sussistente in capo al pubblico ufficiale che avesse avuto rapporti di natura sessuale con persone sottoposto alla sua autorità. Il legislatore in sostituzione ha previsto nel nuovo articolo 609 bis c.p. l’abuso della condizione di autorità. L’abuso si constata nella strumentalizzazione del potere che comporta una subordinazione psicologica tale per cui la vittima è effettivamente costretta al rapporto sessuale Cass., sez. III, n. 36595/2012 . La posizione autoritativa deve essere ovviamente ricoperta in maniera formale e pubblicistica affinchè possa trattarsi di abuso di autorità. Nel caso di specie, aldilà della posizione autorevole o meno del medico ginecologo sulla quale il G.U.P. non interviene in precisazione, mancava del tutto nel racconto, a tratti contraddittorio, della persona offesa l’elemento della costrizione, fondante il reato ex art. 609 bis c.p

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 marzo – 17 aprile 2015, n. 16107 Presidente Squassoni – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30.1.2014 il GUP del Tribunale di Trani, pronunciando nei confronti di M.C. , dichiarava non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, in relazione al reato previsto dall'art. 609 bis cod. pen., poiché, mediante abuso dell'autorità di medico curante, costringeva C.R. , sua paziente, a compiere su di lui e subire da parte sua atti sessuali di vario genere, ed in particolare toccamenti di parti intime, nel corso di una visita medica, in omissis . 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, la parte civile C.R. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. a. Violazione dell'art. 606 lettere b ed e cod. proc. pen. - Violazione di legge - Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 609 bis cod. pen. - Mancanza e mera apparenza della motivazione in ordine all'elemento costitutivo del reato. La ricorrente deduce l'erroneità e contraddittorietà della sentenza impugnata che riconoscerebbe una violazione del protocollo deontologico da parte del medico, l'attendibilità della persona offesa, una paradossale negligenza nelle indagini, ma concluderebbe per l'insussistenza del fatto. b. Erronea applicazione della legge penale. Il racconto della persona offesa sarebbe stato sezionato ed esaminato in modo disarticolato estrapolandosi solo alcune espressioni per dedurre giudizi o rilevare diversità, a scapito del racconto nella sua interezza. Sarebbe stata operata una disamina localizzata ad elementi di contorno, di scarsa rilevanza. La diversità evidenziata non determinerebbe alcuna interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato per l'assoluta mancanza di un rapporto di causalità necessaria o presupposizione logica tra le parti del racconti ed il racconto nella sua unitarietà e non involgerebbe la condotta tenuta dall'imputato nella visita del omissis . Nel caso di specie il nucleo essenziale delle dichiarazioni della p.o., offrirebbe un'intrinseca coerenza, unicità e veridicità, mentre i particolari indicati dal GUP perderebbero di rilevanza di fronte alla condotta tenuta dall'imputato. L'attendibilità del racconto della vittima troverebbe conferma anche nelle dichiarazioni dell'imputato che afferma che la stessa avrebbe accettato di fare da cavia. Lo stesso GUP nella ricostruzione dei fatti riconoscerebbe detta attendibilità. Pertanto la sentenza risulterebbe certamente illogica, ammettendo lo svolgimento dei fatti narrati dalla C. . c. Violazione di legge - Erronea insussistenza del reato. Nel caso di specie sussisterebbero entrambi gli elementi costitutivi del reato. Il GUP avrebbe ritenuto l'insussistenza del reato perché la vittima avrebbe eseguito la manipolazione senza alcuna rimostranza o dissenso. La sentenza impugnata non avrebbe correttamente applicato il principio di diritto nell'ipotesi di reato di violenza sessuale mediante abuso di autorità. La ricorrente ricostruisce attentamente i fatti di causa da cui si desumerebbe l'abuso di autorità. La conclusione cui sarebbe pervenuta la sentenza dell'esistenza di un consenso, offenderebbe la libertà personale intesa come libertà di autodeterminazione a compiere un atto sessuale. Le consulenze di parte prodotte dall'imputato sarebbero una del tutto inconferente e l'altra apodittica e priva di qualsiasi certificazione. Chiede pertanto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. La sentenza impugnata è stata emessa nel rispetto dei criteri previsti dall'art. 425 cod. proc. pen Va ricordato, sul punto, il costante dictum di questa Corte di legittimità secondo cui il giudice dell'udienza preliminare nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, a norma dell'art. 425, comma terzo, cod. proc. pen., deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell'imputato ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate, sez. 2, n. 48831 del 14.11.2013, Maida, rv. 257645 cfr. anche, sez. 4 n. 26410 del 18.4.2007, Giganti ed altri, rv. 236800 sez. 3, n. 39401 del 21.3.2013, Narducci e altri, rv. 256848 sez. 6, n. 5049 del 27.11.2012 dep. 31.1.2013, Cappello e altri, rv. 254241 sez. 5 n. 22864 del 15.5.2009, Giacomin, rv. 244202. L'istituto dell'udienza preliminare, nella sua struttura fondamentale, in tal senso, è sostanzialmente rimasto immutato anche dopo le varie novelle di cui alla legge n. 105 del 1993 e legge n. 479 del 1999 che hanno fatto seguito al codice Vassalli del 1989. È rimasta, infatti, la sua specifica funzione di filtro, per evitare inutili passaggi alla fase dibattimentale e, quindi, nei casi in cui il giudizio di proscioglimento sia ritenuto non superabile in dibattimento è possibile l'epilogo decisorio previsto dall'art. 425. Peraltro, va ricordato che la norma de quo è stata sottoposta al vaglio del giudice delle leggi, che ha avuto modo di evidenziare che l'apprezzamento del merito che il giudice è chiamato a compiere all'esito della udienza preliminare non si sviluppa [ .] secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento così Corte Costituzionale, sentenza 15 marzo 1996 n. 71 . Sulla stessa linea si è da tempo assestata la giurisprudenza di questa Suprema Corte subito dopo la riforma del 1999 tra le tante, sez. 6, n. 42275 del 16.11.2001, Acampora, rv. 221303 Sez. Un. 30.10.2002 n. 39915, Vottari, rv. 222602 . E nel solco di tale interpretazione si è specificato che il controllo in sede di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 deve mirare solo a verificare l'osservanza del criterio prognostico adottato dal GUP nell'escludere la sostenibilità dell'accusa in giudizio e nell'ambito della competenza propria della fase dell'udienza preliminare ovvero quella di procedere ad una valutazione sommaria delle fonti di prova offerte dal P.M. e dalle parti tra le tante, sez. 5 n. 15364 del 18.3.2010, Caradonna e altri, rv. 246874 sez. 6 n. 33921 del 17.7.2012, Rolla, rv. 253127 e, più di recente, sez. 2, n. 5669 del 28.1.2014, Schiaffino e altri, rv. 258211 . Occorre ulteriormente precisare che la valutazione del giudice dell'udienza preliminare non può prescindere da quella della rilevanza penale dei fatti come ascritti. Sul punto è costante, infatti, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità nel senso di ritenere che vada dichiarato immediatamente il proscioglimento l'inesistenza del fatto, l'irrilevanza penale, il non averlo l'imputato commesso se ne risultano i presupposti dagli atti in modo incontrovertibile, tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. Necessita, in altri termini, che la prova dell'innocenza dell'imputato emerga positivamente dagli atti e senza necessità di ulteriori accertamenti ex plurimis sez. 6, n. 5438/2012, rv. 252407, Tucci Sez. Un., n. 17179/2002, Conti, rv. 221403 Sez. Un, n. 35490/2009, Tettamanti, rv. 244273 . E laddove tale accertamento sia possibile in udienza preliminare sulla base degli atti, il giudice deve emettere sentenza di non luogo a procedere, essendo superflua la fase dibattimentale. 3. Orbene, precisati i condivisibili principi giuridici di riferimento cui il Collegio ritiene di attenersi, nel caso in esame il G.U.P. ha ritenuto l'inutilità del dibattimento riconosce la veridicità del racconto della persona offesa, ma non ritenendo che si configurasse l'induzione al consenso con l'abuso di autorità. A tali conclusioni il giudice pugliese è pervenuto sulla scorta di numerose contraddizioni evidenziate nel racconto dei fatti, non sempre coerente nelle varie fasi delle indagini, da parte della persona offesa. In primis , il GUP ha ritenuto poco comprensibile la ragione per la quale la C. , ventiduenne affetta da vaginismo , si fosse portata presso il M. per sottoporsi a visita ginecologica accompagnata dal suo ex fidanzato come più volte dichiarato nella denuncia del omissis , mentre questo suo ex fidanzato , sentito dai poliziotti, aveva dichiarato invece di avere da diversi anni una relazione sentimentale in atto con la C. . Nella sentenza impugnata si è posta poi in rilievo la circostanza che, nella denuncia orale sporta al Commissariato di P.S. di il omissis , alle ore 15.50, allorquando la donna si presentò in compagnia di due legali per riferire verbalmente di avere subito una presunta violenza sessuale da parte del M. , in servizio, quale ginecologo presso il relativo reparto dell'Ospedale di , la stessa ebbe a dichiarare .durante tale visita medica il dottore, dopo avermi spiegato a voce quale sarebbe stata la tecnica di rilassamento da attuare per risolvere il mio problema, incominciò ad attuarla ed in pratica mi fece denudare tutta la parte inferiore del corpo. In pratica rimasi vestita solo con la maglietta sollevata sino al seno. Quindi il dottore cominciò ad effettuare delle manipolazioni sul mio corpo ed in particolare si dedicò al ventre e sino alle parti intime del mio corpo. Dopo avere terminato tale manipolazione, chiese ed ottenne che io stessa facessi a lui le stesse manipolazioni che avevo ricevuto. In pratica il dottore si denudò rimanendo vestito solo con la maglietta sollevata sino all'altezza del seno ed io praticai sul suo corpo le stesse identiche manipolazioni che poco prima avevo da lui ricevuto. Al termine della visita medica il dottore mi disse che avrei dovuto imparare bene le tecniche di rilassamento appena effettuate, poiché in futuro avrei dovuto praticarle anche ad altri pazienti Poiché tale tipo di visita medica mi era sembrata alquanto strana, domenica scorsa, in occasione della festa della mamma, ho scritto una lettera a mia madre spiegando quanto mi era accaduto. Mia madre appreso ciò si è rivolta ad un avvocato, il quale, dopo aver consultato un ginecologo, apprendeva che tale tecnica non prevedeva che la paziente effettuasse sul corpo del dottore le manipolazioni idonee a superare il problema ginecologico di irrigidimento vaginale sofferto. Pertanto lo stesso avvocato mi consigliava di rivolgermi alle forze dell'ordine per denunciare quanto accadutomi” . In sentenza viene evidenziata, in proposito, la diversità di contenuto di tale denuncia rispetto a quella presentata il giorno successivo alla Procura della Repubblica, soprattutto per ciò che concerne l'intervento della madre della de-nunciante nella vicenda, omesso nella denuncia del 16.2.2012. 4. Il GUP di Trani fa buon governo dei principi affermati da questa Corte regolatrice in materia di cui ricorda la pronuncia n. 36595/12 quando ricorda che, anche a dare per scontato che la vicenda si sia svolta secondo quanto riferito dalla C. , nel reato di violenza sessuale mediante abuso di autorità la costrizione della persona offesa, quale elemento pur sempre necessario del reato stesso alla pari di quello commesso con violenza o minaccia, non può essere desunta, in via meramente presuntiva, sulla base della posizione autoritativa ricoperta dal soggetto agente. Nella pronuncia di questa Corte richiamata, si era ricordato, infatti, che il legislatore del 1996, con la disposizione dell'art. 609 bis c.p., innovando il delitto di cui al precedente art. 520, ha modificato la norma sulla violenza sessuale commessa mediante abuso di autorità ed ha eliminato la presunzione assoluta sussistente a carico del pubblico ufficiale che si fosse congiunto carnalmente con persone sottoposte alla sua autorità, richiedendo ora, per l'integrazione del nuovo reato di cui all'art. 609 bis, un abuso di autorità, ossia una strumentalizzazione del proprio potere, realizzato attraverso una subornazione psicologica tale per cui la vittima viene costretta al rapporto sessuale cfr. sul punto sez. 3, n. 36595 del 22.5.2012, T. e altro, rv. 253389 . Anche nella violenza sessuale mediante abuso di autorità, in altri termini, deve esservi una costrizione della vittima a subire gli atti sessuali nonostante il suo dissenso, al pari della violenza sessuale commessa mediante violenza o minaccia. L'ipotesi di reato contestata presuppone necessariamente nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico Sez. Un., 31.5.2000, n. 13, Bove, m. 216338 , che il GUP di Trani pare dare per scontato anche non si comprende, da quanto emerge dagli atti, se il medico in questione abbia sottoposto la C. ad una visita nell'attività di servizio pubblico ovvero, privatamente, intra moenia . Tuttavia, condivisibilmente, superata anche la questione della qualifica dell'agente, il GUP ha ritenuto che l'ipotesi accusatoria non avesse possibilità di essere sostenuta in giudizio sul versante della necessaria presenza, anche in tali casi, dell'elemento della costrizione così questa sez. 3, n. 12446 del 10.10.2000, Gerardi, rv.218351 sez. 3, n. 32513 del 19.6.2000,Padova, rv. 223101 sez. 4, n. 6982 del 19.1.2012, M., rv. 251955 . Nel caso di specie ha ritenuto, infatti, che tale costrizione non la si evincesse, in primis, dalla ricordata denuncia orale resa dalla C. alla P.S. in data omissis dal momento che quella richiesta del ginecologo rivolta alla donna di manipolazione sul suo corpo, e l'ottenimento della stessa, ancorché risultata successivamente alquanto strana alla stessa paziente, non venne avanzata né ottenuta mediante alcuna costrizione da parte del sanitario, tant'è che quella, per sua stessa ammissione, la praticò sul corpo di questi secondo la stessa tecnica posta in essere poco prima sul suo corpo dal medico, senza alcuna rimostranza o comunque dissenso . E, addirittura, che dalla denuncia che la C. ebbe a formalizzare il omissis presso la Procura della Repubblica di Trani, si rilevi, al contrario, chiaramente, l'assenza di costrizione laddove la denunciante riferiva che il M. la . invitava a continuare anche nella zona genitale perché questa era importante per la terapia , ancorché - in questa successiva denuncia, rileva il GUP integrando qualcosa che nella prima mancava - con disagio ed imbarazzo , che il giudicante valuta connaturati, comunque, ad una visita ginecologica operata da un uomo. 5. Il GUP di Trani, dunque, ha logicamente ritenuto, a fronte del contenuto delle due denunce, che il dibattimento non avrebbe potuto aggiungere altri elementi di conoscenza a sostegno di una inconsistente imputazione, se non la circostanza che quella riferita erezione del M. mai si sarebbe potuta in realtà verificare a causa dell'incapacità di natura patologica dell'imputato. Peraltro, tutti gli elementi che il GUP sembra trascurare e che erano emersi la patologia lamentata e provata dall'imputato che mal si concilierebbe con l'avvenuta erezione, ma anche la contraddittoria presenza del fidanzato della donna in sala d'attesa sono tutti ulteriori elementi a favore del M. che, dunque, avvalorano ulteriormente l'assunta decisione da parte del GUP di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere. 6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege , la condanna della parte civile ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.