E' sequestrabile l'ammontare dell'imposta evasa

In caso di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 1, comma 143, l. n. 244/2007, va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui beneficia il reo.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 16108, depositata il 17 aprile 2015. Il caso. Il Tribunale di Napoli confermava il decreto del gip, che aveva disposto il sequestro di un immobile di proprietà di un indagato. L’accusa contestata era, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, in qualità di rappresentante legale di una società, di non aver presentato la dichiarazione annuale relativa a tali imposte, a fronte di elementi positivi di reddito accertati ricavi non dichiarati per una somma pari a circa 1.700.000 euro e con un’imposta sul valore aggiunto evasa per circa 344.00 euro questi importi erano stati determinati a seguito di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’indagato ricorre in Cassazione, rilevando che il convincimento del pm, ripreso dal gip nel provvedimento cautelare, sarebbe scaturito dal verbale di contestazione dell’Agenzia delle entrate. Il provvedimento cautelare, però, sarebbe totalmente sbagliato, in quanto imputerebbe la somma ad IRPEF non pagata, mentre si tratterebbe di IVA calcolata in via presuntiva. Inoltre la società opererebbe solo con soggetti stranieri, per cui le operazioni sarebbero esenti da IVA. Deduce che la società avrebbe pagato le imposte relative al reddito di esercizio. Infine, lamenta che il sequestro sarebbe stato applicato nei confronti di un soggetto estraneo alla società, la quale, al momento dell’accertamento, era in liquidazione, per cui la documentazione fiscale andava richiesta al liquidatore, non avendo l’ex-amministratore alcun potere in merito. La Corte di Cassazione rileva che il Tribunale di Napoli aveva dato atto che nel provvedimento impugnato si fosse fatto erroneamente riferimento ad un’evasione a fini IRPEF, rettificando una svista che veniva ritenuta non in grado di compromettere il diritto di difesa dell’indagato, stante l’espresso richiamo fatto dal gip alla richiesta allegata del pm il quale aveva fatto riferimento all’imposta sul valore aggiunto ed alle risultanze degli accertamenti dell’Agenzia, sempre riferiti all’IVA. In più, l’assunto secondo cui la società avrebbe operato in regime di esenzione IVA era rimasto completamente indimostrato. Secondo i giudici di legittimità, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia. Sequestro del profitto. In tema di reati tributari, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, può essere disposto non solo per il prezzo, ma anche per il profitto del reato. Questa misura può essere applicata ai beni anche nella sola disponibilità dell’indagato, da intendersi come quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, anche se il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi. Ammontare dell’imposta evasa. Inoltre, in caso di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 1, comma 143, l. n. 244/2007, va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui beneficia il reo. Per la quantificazione del risparmio, si deve tener conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario. Gli Ermellini sottolineano poi che il ricorrente era l’amministratore della società al momento della presunta commissione del reato, per cui era irrilevante il fatto che, al momento dell’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, la società fosse stata posta in liquidazione. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 marzo – 17 aprile 2015, n. 16108 Presidente Squassoni – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 4.4.2014 il Tribunale di Napoli in funzione di giudice del riesame, pronunciando sulla richiesta di T.G. , confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Napoli, in data 28.1.14, con condanna al pagamento delle spese della procedura. Il 25.2.2014 era stato sequestrato, a seguito di individuazione del bene da apprendere da parte del Pm, un immobile di proprietà dell'indagato sito in Piano di Sorrento omissis . Il GIP del Tribunale di Napoli, aveva accolto la domanda cautelare reale formulata dal Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 321, co. 2, cod. proc. pen., in riferimento al combinato disposto degli artt. 322ter cod. pen. e 1 co. 143 L. 24.12.2007 n. 244, che disciplinano la confisca per equivalente del profitto di reati tributari. L'incolpazione provvisoria nei confronti dell'odierno ricorrente gli vede contestato il reato previsto dall'art. 5 del D.L.vo 74/2000 poiché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi ed in violazione della medesima disposizione di legge in qualità di rappresentante legale della TERIC0 srl, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, non presentava, essendovi obbligato, per gli anni d'imposta 2008, la dichiarazione annuale relativa a dette imposte con conseguente imposta evasa superiore ad Euro trentamila, con riferimento a taluna delle singole imposte , come di seguito meglio specificato per l'anno 2008, a fronte di elementi positivi di reddito accertati ricavi non dichiarati per Euro 1.720.152,00 e con un'imposta sul valore aggiunto evasa per Euro 344.030,40 nella specie, imporli determinati a seguito di avviso di accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate di Napoli , Commesso nel mese di ottobre 2009 scadenza del termine di presentazione della dichiarazione per l'anno di imposta in parola . 2. Ricorre T.G. , a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. a. Mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione derivante dal testo del provvedimento impugnato. Il ricorrente rileva che il convincimento del P.M., completamento ripreso dal GIP nel provvedimento cautelare, scaturirebbe dal verbale di contestazione dell'Agenzia delle Entrate. Il provvedimento cautelare sarebbe totalmente sbagliato in quanto imputerebbe la cifra di Euro 344.030,40 ad IRPEF non pagata, mentre si tratterebbe di IVA calcolata in via presuntiva. Rileva inoltre che la Terico Srl opererebbe esclusivamente con soggetti stranieri e, pertanto, tutte le operazioni sarebbero esenti da iva. Inoltre la società avrebbe pagato le imposte relative al reddito di esercizio, come dimostrato dalla copia dei modelli F24 prodotti. L'unico rilievo addebitabile alla società sarebbe la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, che comporta una sanzione di scarsa rilevanza senza conseguenze gravose come quella rilevata. In ultimo rileva che trattandosi di società in liquidazione, al momento dell'accertamento, l'eventuale responsabilità sarebbe a carico del liquidatore e non certamente di T.G. ex amministratore. b. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Il sequestro sarebbe stato applicato nei confronti di un soggetto estraneo alla società. Al momento dell'accertamento la società era in liquidazione e quindi la documentazione fiscale andava richiesta al liquidatore, non avendo l’ex amministratore alcun potere in merito. Il T. non sarebbe stato messo in condizioni di dare spiegazioni, per mancanza di poteri considerando lo stato di liquidazione in cui si trovava la società all'atto dell'accertamento. Chiede pertanto la cassazione dell'ordinanza impugnata, illegittima per i motivi esposti. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato. 2. Con il primo motivo il difensore ricorrente ripropone il motivo di riesame già esaminato dal Tribunale, tendendo ad ottenere un nuovo riesame dei fatti, nel merito, precluso in questa sede. Va ricordato, infatti, che l'art. 325 cod. proc. pen. prevede che contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha, tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692 conf. sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093 . Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l' iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative . Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto. 3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all'odierno esame, come si andrà a specificare, non si sia in presenza di un deficit motivazionale tale da configurare l'errata applicazione di norme di diritto. Il Tribunale di Napoli offre, infatti, una motivazione congrua, disattendendo i motivi oggi riproposti, evidenziando come il fumus del reato contestato emergesse anche, oltre che dall'esito dell'accertamento, da tutte le emergenze documentali. I giudici partenopei danno atto, peraltro, che nel provvedimento impugnato si fosse fatto erroneamente riferimento ad un'evasione ai fini IRPEF, rettificando ed evidenziando come si tratti, all'evidenza, di una svista che in nessun modo ha potuto compromettere il diritto di difesa dell'indagato, stante l'espresso richiamo fatto dal Gip all'allegata richiesta del PM che, invece, ha correttamente fatto riferimento all'imposta sul valore aggiunto ed alle risultanze degli accertamenti tecnici dell'Agenzia delle Entrate, pure riferiti all'IVA. Coerentemente, poi, nel provvedimento impugnato si rileva che l'assunto difensivo secondo cui la Terico srl avrebbe operato in regime di esenzione IVA fosse rimasto del tutto indimostrato. Viene, peraltro, evidenziato come, nell'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, si facesse riferimento ad un'attività di commercio all'ingrosso di elettrodomestici e di elettronica , ben diversa, dunque, da quella, indicata nei motivi di gravame, di stoccaggio, deposito e riparazione di containers di armatori stranieri e come in ogni caso non fosse stata prodotta alcuna fattura o documentazione amministrativo-contabile a sostegno dell'asserto difensivo. Condivisibilmente, sul punto, il tribunale napoletano ha ritenuto che non ci si potesse accontentare, in mancanza di una qualunque traccia scritta degli assenti rapporti d'affari con armatori stranieri, delle dichiarazioni rese da due agenti raccomandatari marittimi in sede di indagini difensive. 4. L'ordinanza impugnata, dunque, pare fare buon governo dei principi reiteratamente affermati da questa Corte regolatrice in materia. In particolare, va ricordato che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, sez. 3, n. 23108 del 23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all'art. 322 ter cod. pen. dalla l. n. 190 del 2012 conf. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri, rv. 248618 sez. 3 n. 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058 . Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente art. 322-ter cod. pen. può essere applicato ai beni anche nella sola disponibilità dell'indagato, per quest'ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi sez. 3, n. 15210 dell'8.3.2012 . Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di profitto del reato e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un'ampia latitudine semantica da colmare in via interpretativa Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri . In detta pronuncia con riferimento alla confisca di valore prevista dall'art. 19 del d.Lgs. 8.6.2001, n. 231 sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di profitto dei reato contenuta nell'art. 240 cod. pen., secondo le quali il profitto a cui fa riferimento l'art. 240, comma 1, cod. pen., deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli 17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir . Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall'art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 va riferito all'ammontare dell'imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all'accertamento del debito tributario così questa sez. 3, 23 ottobre 2012, n. 45849 . Va peraltro ricordato che in tema di misure cautelari reali, il Tribunale del riesame che proceda alla conferma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non deve accertare, ai fini del rispetto del principio di proporzionalità, l'esatta corrispondenza tra profitto del reato e quantum sottoposto a vincolo cautelare, essendo, invece, sufficiente che motivi sulla non esorbitanza del valore dei beni sequestrati rispetto al credito garantito sez. 3, n. 39091 del 23.4.2013, Cianfrone, rv. 257284 . Ne consegue che, laddove la valutazione del giudice risponda a tali criteri, essa è insindacabile in sede di legittimità. Il provvedimento del tribunale del riesame che conferma il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può essere, infatti, ritenuto illegittimo nel solo caso in cui non contenga alcuna valutazione sul valore dei beni sequestrati valutazione necessaria al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, non essendo consentito differire l'adempimento estimatorio alla fase esecutiva della confisca ex multis, sez. 3, 7 ottobre 2010, n. 41731 . In particolare, va sottolineato che l'IVA sottratta al fisco costituisce il profitto del reato sez. 3 n. 25890/2010 Sez. Unite 38691/2009 e che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, sez. 3, n. 23108 del 23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all'art. 322 ter cod. pen. dalla l. n. 190 del 2012 conf. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri, rv. 248618 sez. 3 n. 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058 . Il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall'art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 va riferito all'ammontare dell'imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all'accertamento del debito tributario così questa sez. 3, 23 ottobre 2012, n. 45849 . 5. L'ordinanza impugnata segue un percorso argomentativo logico e privo di vizi, prendendo in esame le doglianze dell'indagato e fornendo adeguata risposta a tutte le questioni poste. Del tutto infondato, perciò, appare anche il secondo motivo di ricorso, in quanto come ammesso dallo stesso ricorrente, egli era l'amministratore al momento della presunta commissione del reato e nessuna rilevanza, può avere il fatto che al momento dell'accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate, la società fosse stata posta in liquidazione. 6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege , la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.