Tutela dell’innocente e possibilità di richiedere la “revisione” del patteggiamento

In ragione delle particolari caratteristiche del rito disciplinato dall’articolo 444 del c.p.p. l’area della revisione della sentenza di patteggiamento, con riguardo all’ipotesi dell’articolo 630 lettera c , è più circoscritta rispetto a quella della revisione della sentenza emessa all’esito di un giudizio ordinario. Sulla revisione della pronuncia emessa a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti si riflettono infatti i limiti strutturali del rito speciale e quindi la revisione della sentenza dovrà essere effettuata seguendo e facendo riferimento allea regola generale dettata per il rito e contenuta nell’articolo 129 c.p.p

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15922/15, sollecitata da un ricorso avverso una pronuncia della competente Corte d’appello che aveva respinto la richiesta di revisione della sentenza, presentata da un imputato che a suo tempo aveva richiesto, nei propri confronti, l’applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p., è intervenuta, senza lasciar spazio ed adito a dubbi, in ordine alla possibilità di richiedere il procedimento di revisione, ex articolo 630, lettera c . La norma istitutrice del processo di revisione, capace di aggredire il giudicato penale facendogli perdere la propria intangibile forza, come è noto recita la revisione può essere richiesta - omissis - c se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631 La disposizione viene sottoposta ad attenta disamina, quasi ad una dissezione anatomo patologica, i cui risultati sono posti a confronto con la ratio legis e, udite udite, financo con le esigenze del sistema di, così espressamente nella pronuncia, tutela dell’innocente . A fronte di siffatte premesse esigenze, fra le quali ovvio ci si debba aspettare assuma preminenza quella di tutela dell’innocente dall’errore giudiziario, la Corte giunge ad una pronuncia che pare, in ultima analisi e concretamente disattenderle, nonostante il Procuratore Generale, con propria requisitoria scritta, avesse richiesto l’accoglimento del ricorso formulato. Il filo logico” seguito dalla Corte. La motivazione che la Corte di Cassazione rende circa la propria decisione, di rigetto per infondatezza del ricorso, appare, a prima lettura, dotata di logica stringente ed incontestabile. In sostanza essa afferma, seguendo il principio del sillogismo giuridico, che siccome la sentenza resa ex articolo 444 c.p.p. lascia al Giudice il solo spazio di verificare, oltre alla congruità della pena ed alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto, solo quella di verificare che non esistano cause di immediata declaratoria di non punibilità ex articolo 129 c.p.p., siccome l’articolo 630 lettera c fa riferimento a prove nuove che sole o unite a quelle già valutate dimostrino che il condannato deve essere prosciolto, allora il giudizio che il giudice della revisione, ovvero il giudice chiamato a dar ingresso al procedimento di revisione, deve essere svolto alla stregua di quello che aveva suo tempo svolto il Giudice chiamato dalle parti ad applicare la pena su richiesta, ovvero egli deve valutare esclusivamente se le nuove prove potrebbero condurre ad una declaratoria di immediata non punibilità ex articolo 129 c.p.p. Il che, apparentemente, non fa una grinza. Il ragionamento trova supporto e sostegno, sempre a detta della Corte, nelle esigenze di sistema che impongono che lo strumento della revisione non diventi lo strumento per ottenere tutto ciò cui consapevolmente e liberamente si è rinunciato con la scelta del patteggiamento e ciò che sarebbe stato impossibile ottenere nell’originario giudizio conclusosi con una sentenza di applicazione pena così nel testo della decisione, trascrivendo integralmente, Cass. Pen. Sez. & amp n. 31374 del 24.05.2011 . Ovvero occorre impedire che il giudizio di revisione della sentenza si possa trasformare in una sorta di giudizio ad alea estremamente ridotta per l’imputato che, al peggio, vedrebbe confermata la sentenza resa nei suoi confronti ex articolo 444 c.p.p. che gli ha consentito di godere dei benefici, ben noti, in tema di pena principale e di pene accessorie. Ancor più direttamente il rito ex articolo 444 c.p.p. non può svolgere la funzione tipica del paracadute, attutendo immediatamente gli effetti della condanna e lasciando aperta la porta per un più comodo” e controllato giudizio a cognizione piena da formarsi in sede di revisione. La tutela dell’innocente. Se la Corte si fosse fermata ad illustrare questa posizione, con tutti i dubbi che sulla stessa è legittimo avanzare e declinare, forse me ne sarei appagato ed avrei potuto dire che la scelta del rito ex sé comportava di fatto una rinuncia ad altre strade e che, in ossequio ai principi del fair trail , una condotta quale quella descritta costituirebbe certo abuso del processo da parte dell’imputato - condannato e della difesa. Ma, così non è la Corte nomina anche l’esigenza di porre rimedio all’errore giudiziario e, conseguentemente, alla tutela dell’innocente. Dunque il principio di tutela dell’innocente, che è posto alla base del procedimento di revisione, esiste e la Corte lo sa. Ma come può dirsi rispettato se la valutazione che la Corte deve compiere si basa esclusivamente su prove che non siano volte a pronuncia da rendersi ex articolo 631 c.p.p., che espressamente richiama gli articoli 529, 530 e 531 c.p.p, ma alla luce della ben più ristretta portata di quelli previsti dall’articolo 129 c.p.p. ? Credo che l’illogicità del ragionamento seguito dalla Corte appaia evidente il principio di tutela e difesa dell’innocente viene derubricato limitato a tutela dell’innocente che sia evidentemente tale. Ovvero di innocente che sia stato per errore macroscopico non considerato tale dal primo giudice o che, per altrettanto enorme errore, non abbia saputo reperire le prove che avrebbero condotto ad una pronuncia ex articolo 129 il giudice di primo grado. Cioè, dal novero della possibilità concessa a tutela e presidio del diritto di difesa, spariscono tutte quelle ipotesi che possono condurre l’imputato ad effettuare una scelta di richiesta di applicazione pena ex articolo 444 c.p.p. nell’impossibilità, attuale al momento della formulazione della stessa, di disporre di prove che sole o unite a quelle già valutate possano condurre ad una pronuncia lui favorevole. In altre parole, patteggiando l’imputato rinuncia, ora e per sempre, al diritto di richiedere al Giudice una pronuncia diversa fondata su prove nuove sopravvenute ed evidentemente a lui del tutto sconosciute al momento della pronuncia della sentenza. Il che, francamente, non mi par scritto nel codice di rito, ancor meno nella Carta Fondamentale e/o nelle CEDU. Perché, ricordiamolo prima di tutti a noi stessi, le prove ex articolo 630 c.p.p. debbono essere sopravvenute o nuove, differentemente il rimedio straordinario sarebbe inapplicabile. Ma se le prove sono nuove o sopravvenute come faceva l’imputato a valutarle ? Come poteva il difensore consigliarlo in quella scelta di difesa tecnica sempre più importante nel diritto moderno ? La Corte non lo spiega e, trincerandosi dietro l’apparente ferrea logica del falso sillogismo, si limita ad affermare il seguente che in ragione delle particolari caratteristiche del rito disciplinato dall’articolo 444 del c.p.p. l’area della revisione della sentenza di patteggiamento, con riguardo all’ipotesi dell’articolo 630 lettera c è più circoscritta rispetto a quella della revisione della sentenza emessa all’esito di un giudizio ordinario. Sulla revisione della pronuncia emessa a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti si riflettono i limiti strutturali del rito speciale, ovvero la revisione della sentenza dovrà essere effettuata seguendo e facendo riferimento allea regola generale dettata per il rito e contenuta nell’articolo 129 c.p.p

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 marzo – 16 aprile 2015, n. 15922 Presidente Ippolito – Relatore Capozzi Considerato in fatto 1. Con ordinanza del 21.5.2014 la Corte di appello di L'Aquila ha dichiarato l'inammissibilità della richiesta di revisione proposta da M. M. della sentenza emessa, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., dal G.I.P. del Tribunale in data 21.11.2012 con la quale al predetto, in relazione al delitto di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/90 per la detenzione illegale di 531 grammi di cocaina, era applicata la pena di anni quattro di reclusione oltre la multa e pena accessoria. 2. Ha ritenuto la Corte che l'istanza, valutata alla stregua dei parametro di giudizio ex art. 129 cod. proc. pen. , non deduceva nuove prove tali che potessero fornire l'evidenza della innocenza del M., potendo al più far dubitare della prova d'accusa rappresentata dal rinvenimento della droga all'interno del sedile dell'auto dello stesso M., ma inidonea ad inficiare l'accordo sulla pena. 3. Avverso la ordinanza propone ricorso per cassazione il M., a mezzo del difensore, deducendo 3.1. Violazione dell'art. 631 cod. proc. pen. in quanto tale previsione non indica , quale parametro di valutazione, il criterio previsto dall'art. 129 cod. proc. pen., conseguendo che la richiesta di revisione ammissibile determina il superamento dell'assetto precedentemente concordato e l'apertura di un giudizio ordinario secondo quanto previsto dall'art. 636 comma 2 cod. proc. pen Il ragionamento condotto dal provvedimento impugnato, risulterebbe illogico e contraddittorio perché finisce per riconoscere la probabilità di assoluzione del ricorrente, vanificando la sua giusta pretesa ricondotta entro l'ambito dell'art. 129 cod. proc. pen In via subordinata, la difesa prospetta la questione di costituzionalità dell'art. 631 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 24, 117 Cost., anche con riferimento all'art. 4 comma 2 del Protocollo n. 7 alla CEDU, per la disparità di trattamento - rispetto alla sopravvenienza di prove nuove - tra colui al quale è stata applicata la pena concordata ed il condannato a seguito di giudizio ordinario. 3.2. Violazione dell'art. 634 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in punto di & lt manifesta infondatezza& gt nullità ex art. 125 cod. proc. pen. e contraddittorietà, illogicità della motivazione. In particolare, la Corte di merito sarebbe andata al di là dei compiti di delibazione sommaria demandatigli dall' art. 634 cod. proc. pen. che comporta solo il vaglio di astratta capacità delle prove addotte a rimuovere il giudicato. Inoltre, alcuna motivazione la Corte avrebbe addotto in ordine alla manifesta infondatezza della domanda o , comunque, non avrebbe giustificato la affermata inidoneità delle nuove prove addotte a vanificare l'accordo sulla pena. 4. Con requisitoria scritta il P.G. ha chiesto l'annullamento della ordinanza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Campobasso per il giudizio di revisione. Ha, invero , rilevato che la Corte di merito non si sarebbe limitata ad una sommaria delibazione dei nuovi elementi di prova e della loro astratta idoneità a comportare la rimozione del giudicato in relazione alla potenziale efficacia ad incidere in modo favorevole sulle prove già raccolte e sul connesso giudizio di colpevolezza, ma proceduto ad una valutazione che comporta un'anticipazione del giudizio di merito, avulsa dal contraddittorio delle parti. Che, in ogni caso ed anche tenendo conto del più ristretto orizzonte valutativo previsto rispetto al giudizio di revisione delle sentenze di patteggiamento, la argomentazione circa la idoneità delle nuove prove allegate ad far dubitare della prova di accusa, in quanto discutibile, era degna di approfondimento. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Costituisce costante orientamento di legittimità quello secondo il quale la revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, implica il riferimento alla regola di giudizio dell'assenza delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., sicché deve trovare fondamento in elementi tali da dimostrare che l'interessato deve essere prosciolto per la ricorrenza di una delle cause che danno luogo all'immediata declaratoria di non punibilità. Sez. 6, n. 8957 del 04/12/2006, Tambaro, Rv. 235490 . Da ultimo, nel ribadire tale orientamento, è stato chiarito che in ragione delle particolari caratteristiche dei rito disciplinato dall'art. 444 e segg., l'area della revisione della sentenza di patteggiamento, con riguardo all'ipotesi di cui all'art. 630, lett. c quella, cioè, ora chiamata in causa , è più circoscritta rispetto a quella della revisione della sentenza emessa all'esito di un giudizio ordinario. Sulla revisione della pronuncia di applicazione della pena su richiesta delle parti si' riflettono infatti i limiti strutturali dei rito speciale su cui si chiede di innestare il giudizio di revisione. Se così non fosse la revisione cesserebbe di essere mezzo di impugnazione straordinario apprestato dal legislatore per porre rimedio all'errore giudiziario e diverrebbe, in relazione al patteggiamento, strumento a disposizione del patteggiante per revocare in dubbio una decisione da lui stesso richiesta e riaprire integralmente la fase dell'accertamento dei fatti e delle responsabilità. Ma anche le regole di giudizio che legittimano la revisione della sentenza di applicazione della pena su richiesta risultano diversificate. Se in sede di patteggiamento il giudice è chiamato oltre che ad un contR. sui termini dell'accordo esclusivamente a valutare se sussistano cause di non punibilità che potrebbero condurre ad un proscioglimento a norma dell'art. 129, pure la revisione della sentenza di patteggiamento dovrà essere effettuata seguendo lo stesso binario e facendo riferimento alla stessa regola di giudizio ed agli stessi parametri applicabili nel procedimento investito dalla procedura di revisione. Con la conseguenza che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione dovranno essere tali da dimostrare che il soggetto cui è stata applicata la pena concordata deve essere prosciolto per la presenza di una delle cause elencate nell'art. 129 c.p.p. In tal modo, oltre a realizzarsi - anche di fronte una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti - le finalità preminenti della giurisdizione penale che non può concepire l'applicazione di una pena laddove sussistano cause di non punibilità, si evita al tempo stesso, che - attraverso lo strumento della richiesta di revisione - possano essere radicalmente alterate successivamente all'intervenuto accordo e con effetto per così dire retroattivo la struttura e la fisionomia del patteggiamento e vanificati gli obiettivi di accelerazione e di deflazione propri di tale rito. Per concludere, la soluzione prospettata non deriva da un' astratta esigenza di simmetria tra la natura e l'ambito del patteggiamento e quelle del relativo procedimento di revisione ma da un'elementare esigenza di interna coerenza del sistema processuale che deve garantire il soddisfacimento delle istanze di giustizia e la riparazione dell'errore in altri termini la tutela dell'innocente senza consentire però che la revisione diventi lo strumento per ottenere tutto ciò cui si è consapevolmente e liberamente rinunciato con la scelta del patteggiamento e ciò che sarebbe stato comunque impossibile ottenere nell'originario giudizio conclusosi con una sentenza di applicazione della pena su richiesta. Sez. 6, n. 31374 del 24/05/2011, C., Rv. 250684 . 2. Infondato, pertanto, è l'assunto difensivo secondo il quale non si applicherebbe alla istanza di revisione di una sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. il criterio di giudizio ex art. 129 cod. proc. pen. in relazione al vaglio di ammissibilità della istanza. 3. Criterio di giudizio che la Corte d'appello ha correttamente applicato allorquando ha ritenuto che le nuove prove offerte - volte ad avvalorare la tesi dell'inconsapevole trasporto dello stupefacente da parte del M. - erano del tutto inidonee a prospettare la evidenza della innocenza del M. e, quindi, possibilità del suo proscioglimento sulla base del solo contrasto con gli elementi acquisiti in sede di indagini preliminari e posti alla base del vaglio del G.I.P., ai sensi dell'art. 444 comma 2 cod. proc. pen., in sede di applicazione della pena. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.