Profili penali dell’aumento di capitale all’insaputa ed in danno di altro socio

La norma di cui all’art. 2625 c.c. sanziona l’amministratore che, mediante l’occultamento di documento od altri artifici, impedisce od ostacola lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione. Trattasi di condotta necessariamente attiva con la irrilevanza, quindi, di mere omissioni l’artificio infatti presuppone l’impiego di particolari espedienti volti a trarre in inganno. L’oggetto della tutela non è la partecipazione del socio alla vita societaria, ma la possibilità di svolgere adeguatamente la funzione di controllo. In conseguenza, la mancata convocazione del socio all’assemblea indetta per aumentare il capitale, non fa scattare la violazione della norma sull’impedito controllo.

Questo il principio di diritto espresso, nella pronuncia n. 15641/15, dalla Sezione Quinta, la quale ha ulteriormente chiarito che non ogni attività societaria, cui venga impedito al socio di partecipare, può configurare violazione della norma di cui all’art. 2625 c.c., essendo necessario che l’impedimento attenga in modo specifico alle funzioni di controllo di regolarità della gestione . Piccolo capitalismo familiare d’assalto. La struttura tipica dell’imprenditoria italiana era, ed è, sempre stata caratterizzata dal piccolo capitalismo familiare, nell’ambito del quale sono assai frequenti manovre, più o meno lecite, volte ad assumere il controllo della società in danno dell’altro socio. Esempio paradigmatico è l’aumento di capitale sociale, con esercizio del diritto di opzione sull’aumento del capitale da parte di un solo socio, all’insaputa sostanziale ed in danno di altro socio, capace di spostare la maggioranza e dunque il controllo della società da una parte all’altra. Una manovra siffatta aveva indotto il Gip del Tribunale di Frosinone a disporre il sequestro preventivo delle quote di due società ritenendo configurabile in quanto accaduto la truffa, il falso, ed i delitti di impedito controllo e di influenza illecita sulla assemblea. Il Tribunale del riesame, in accoglimento della proposta impugnazione, aveva annullato il provvedimento di sequestro ritenendo che i fatti occorsi rappresentassero esclusivamente illeciti di natura civile, privi dunque di alcuna valenza penale. Le ragioni della parte offesa e della Procura. Contro il provvedimento di revoca del sequestro emesso dal Tribunale del riesame proponevano ricorso per cassazione sia il socio pretermesso che il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Frosinone. Deduceva la parte offesa che anche una condotta omissiva, quale la mancata informazione della convocazione della assemblea specie se di aumento del capitale sociale e/o la mancata comunicazione della facoltà di sottoscrizione del capitale sociale e cioè l’occultamento deliberato di tali fondamentali eventi, integra comportamento rilevante ai fini della truffa. Anche la semplice omissione, da parte del soggetto passivo, di un atto che gli avrebbe evitato un danno patrimoniale – quale l’esercizio della facoltà di opzione sull’aumento di capitale – integra condotta rilevante della vittima della truffa. Egualmente, deduce il ricorrente con un secondo motivo, nella sostanza condiviso anche dal Pubblico Ministero, che l’omessa convocazione dell’assemblea e l’omessa comunicazione della facoltà di esercitare la facoltà di opzione sull’aumento del capitale sociale costituiscono artifici atti ad impedire il controllo sulle decisioni societarie e, dunque, artifici rilevanti al fine del delitto di impedito controllo di cui all’art. 2625 c.c Con un terzo ed ultimo motivo, il ricorrente deduceva la violazione da parte del Tribunale del riesame del dettato dell’art. 2636 c.c., in quanto la mancata convocazione di un socio all’assemblea determinerebbe una influenza illecita sulla formazione della stessa maggioranza assembleare. Primi paletti procedurali. È sotto il profilo procedurale che la Cassazione pone i primi paletti alle pretese della parte offesa. Ricordano infatti i giudici di legittimità che per pacifica giurisprudenza la parte offesa, in tema di sequestro preventivo, è legittimata a partecipare al procedimento di riesame ed al successivo ricorso per cassazione solo laddove sia titolare del diritto all’eventuale restituzione delle cose sequestrate. Orbene, nel caso in esame, osserva la Cassazione, oggetto di sequestro preventivo sono state le sole quote del capitale sociale frutto dell’aumento di capitale sociale sottoscritto dall’indagato nell’assemblea della cui legittimità si discute, ovvero le quote di cui era prima titolare il prevenuto. In conclusione, affermano gli Ermellini, anche laddove le doglianze della parte offesa trovassero accoglimento, le quote oggetto di sequestro non potrebbero essere mai restituite alla stessa, in quanto, in tale caso, l’aumento di capitale – come sostiene il medesimo ricorrente – sarebbe illegittimo e dunque andrebbe revocato, con la conseguenza che le quote sociali che ne costituiscono il frutto andrebbero annullate e non restituite al ricorrente, mentre quelle ab initio dell’indagato, di tale soggetto rimarrebbero. Ancor più evidente che nulla andrebbe restituito al ricorrente nel caso di mancato accoglimento del ricorso dal medesimo proposto. In conclusione, quindi nulla potrà essere in ogni caso restituito alla parte offesa, e pertanto la stessa non ha alcuna legittimazione alla proposizione del ricorso per cassazione. Il ricorso per cassazione proposto dal ricorrente/parte offesa in conseguenza deve – secondo la Suprema Corte – essere dichiarato inammissibile, senza alcun vaglio nel merito. Ed il no definitivo nella sostanza. L’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dalla persona offesa caduca automaticamente tutti i motivi di doglianza della medesima, per cui gli Ermellini si limitano ad esaminare il solo secondo motivo, poiché, nella sostanza, condiviso anche dal Pubblico Ministero, la cui legittimazione ad impugnare non viene posta in discussione. La Corte quindi appunta la sua attenzione sul problema della configurabilità o meno, nel caso di specie, del delitto di impedito controllo di cui all’art. 2625 c.c. Secondo il Pubblico Ministero, infatti, ha errato il Tribunale del riesame ad accogliere una concezione statica della attività di controllo, non potendosi escludere quale condotta rilevante di impedito controllo la partecipazione del socio alla vita sociale derivante dalla dolosa omissione della convocazione del medesimo. Le argomentazioni della Corte sono tuttavia tranchant. Infatti, precisa la Cassazione, vero è che il delitto di cui all’art. 2625 c.c. sanziona l’amministratore che mediante l’occultamento di documento od altri artifici impedisce od ostacola lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione tuttavia la condotta è necessariamente attiva con la irrilevanza, quindi, di mere omissioni l’artificio, infatti, presuppone l’impiego di particolari espedienti volti a trarre in inganno. L’oggetto della tutela non è la partecipazione del socio alla vita societaria, ma la sola possibilità di svolgere adeguatamente la funzione di controllo. In conseguenza, non ogni attività societaria, cui venga impedito al socio di partecipare, può configurare violazione della norma di cui all’art. 2625 c.c Infatti, il delitto si configura, in ossequio al principio di tassatività della norma penale, solo laddove l’impedimento attenga in modo specifico alle funzioni di controllo di regolarità della gestione che sono riconosciute al socio. L’omessa convocazione e la conseguente mancata partecipazione alla assemblea dei soci non può, in conseguenza, configurare violazione della fattispecie di cui all’art. 2625 c.c Assolutamente condivisibile il principio affermato dalla Suprema Corte, non potendosi accettare alcuna interpretazione analogica in malam parte di una norma incriminatrice qual è quella dell’art. 2625 c.c Una risposta a metà. Spiace, invece, che la Corte non sia potuta entrare nel merito degli altri due motivi di ricorso, stante la inammissibilità dell’impugnazione della parte offesa. Come noto, infatti, di recente la Cassazione Cass., sez. V pen., n. 17939/2014 ha avuto occasione di affermare che, in tema di reati societari e nel dettaglio di configurabilità della violazione di cui all’art. 2636 c.c., sono da considerarsi illecite le operazioni che abbiano avuto l'effetto di creare una situazione artificiosa o fraudolenta funzionalmente strumentale al conseguimento di risultati che, costituendo violazione di previsioni legali o statutarie, siano connotati dal crisma della illiceità e, di riflesso, si presentino come il frutto di indebite interferenze sulla regolare formazione delle deliberazioni assembleari. Altrettanto consolidato in tema di truffa è, da un lato, il principio che la condotta possa essere realizzata attraverso un contegno omissivo dell’autore qualora gravi sul soggetto agente un obbligo giuridico di tenere un determinato comportamento attivo Cass., sez. VI Pen., n. 5579/1998 , ma è anche vero, dall’altro, che la truffa presuppone pur sempre la cooperazione artificiosa della vittima e dunque un atto di disposizione patrimoniale della stessa. Purtroppo, anche su tale aspetto, il quesito rimane irrisolto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 febbraio – 15 aprile 2015, n. 15641 Presidente Bevere – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. Il gip del tribunale di Frosinone, su richiesta del pubblico ministero, emetteva decreto di sequestro preventivo delle quote del capitale sociale della SOFRIM srl e della ILI srl intestate a D.M. , ascrivendogli in concorso con la madre M.O. i delitti di cui agli articoli 81 capoverso, 110, 117, 640 comma 1, 61 numero 7, 483, 61 numero 2 del codice penale, 2625, comma 1 e 2, 2636 cod. civ. in sostanza, abusando la M. dei poteri di procuratrice generale del figlio Carlo in forza di procura Generale del 27 giugno 1994 , la predetta M. e l'altro figlio D.M. organizzavano e convocavano per il 15 ottobre 2013 le assemblee straordinarie delle società SOFRIM srl e ILI srl, omettendo volontariamente ogni convocazione ed informazione del socio D.C. e deliberavano l'aumento del capitale sociale di entrambe le società, rinunciando la M. per sé e per il proprio figlio C. ai diritti di opzione sull'aumento del capitale, così portando D.M. al controllo di entrambe le società e cagionando un ingiusto danno al D.C. , corrispondente alla differenza di valore tra la somma sborsata dal fratello M. per l'aumento di capitale ed il reale valore della partecipazione societaria acquisita, con il controllo di entrambe le società antecedentemente le quote dei due fratelli erano uguali e pari al 37,5% nella SOFRIM srl ed al 45% nella ILI srl . 2. Il tribunale del riesame di Frosinone revocava il sequestro preventivo disposto dal gip di Frosinone, ritenendo che le condotte realizzate da D.M. e M.O. , sebbene stigmatizzabili, rappresentassero illeciti di carattere civile e non integrassero invece alcun reato. 3. Contro la predetta ordinanza propongono ricorso per Cassazione sia il pubblico ministero presso il tribunale di Frosinone, sia la persona offesa D.C. , con due ricorsi autonomi. 4. D.C. propone i seguenti motivi di ricorso a. violazione dell'articolo 640 del codice penale laddove il tribunale ha escluso la sussistenza della truffa secondo il ricorrente gli aumenti di capitale erano del tutto ingiustificati sotto il profilo patrimoniale e costituivano unicamente semplici artifici per annacquare le partecipazioni societarie di D.C. a sua insaputa. Il tribunale avrebbe escluso la truffa ritenendo insussistente l'induzione in errore e la mancanza di un comportamento collaborativo della vittima. Sotto il primo profilo, osserva il difensore come l'artificio possa anche consistere in una condotta omissiva, quale l'omesso adempimento dell'obbligo di comunicazione, che abbia efficienza causale sull'errore della vittima, incidendo sul suo processo di formazione della volontà. Quanto alla mancanza di comportamento collaborativo della vittima, osserva come per l'integrazione della truffa sia sufficiente un comportamento del soggetto ingannato che sia frutto dell'errore in cui è caduto per fatto dell'agente e dal quale derivi causalmente una modificazione patrimoniale, un ingiusto profitto del reo e un danno della vittima il cosiddetto atto di disposizione ben potrebbe consistere, pertanto, anche in un fatto omissivo. Il difensore del ricorrente chiede dunque a questa Corte che si voglia affermare il seguente principio di diritto integrano condotte artificiose abili all'induzione in errore, rilevante ai fini della truffa, anche mere omissioni di atti dovuti, quale la mancata informazione della convocazione di assemblea specie se di aumento del capitale sociale e/o la mancata comunicazione della facoltà di sottoscrizione dell'aumento di capitale e cioè l'occultamento deliberato di tali fondamentali eventi, con i relativi rischi ed opportunità - integra comportamento del soggetto passivo, rilevante ai fini della truffa, anche la sua semplice omissione di un atto che, se effettuato, gli avrebbe evitato un danno patrimoniale, quale l'esercizio della facoltà di opzione di aumento di capitale. b. Con un secondo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge in relazione all'articolo 2625 del codice civile, laddove il tribunale ha negato la sussistenza del reato per mancanza di un comportamento attivo e per difetto di lesione del bene giuridico protetto dalla norma, limitato al regolare controllo della gestione sociale, intesa sotto il profilo amministrativo, negoziale o fiscale. Sotto il primo profilo osserva che la condotta è consistita nella omessa convocazione delle assemblee, nell'omessa comunicazione della facoltà di opzione e nell'uso strumentale della procura generale rilasciata da D.C. alla madre vent'anni prima e tali condotte costituiscono artifici atti ad impedire il controllo delle decisioni assunte in ordine alla partecipazione societaria. Gli artifici rilevanti ai sensi dell'articolo 2625, dunque, possono essere integrati da qualsiasi comportamento finalizzato a distogliere con frode l'attenzione dei soggetti preposti al controllo delle società. Quanto al bene giuridico protetto dall'articolo 2625, esso è prima di tutto rappresentato dal patrimonio dei soci, che non deve subire danni a causa di un ostacolo al controllo nel caso di specie il patrimonio di D.C. , secondo la difesa di parte offesa, sarebbe stato decurtato di circa 10.000.000 di Euro. In conclusione, la difesa auspica l'affermazione del seguente principio di diritto integrano idonei artifici atti ad ostacolare il controllo sociale anche mere omissioni di atti dovuti, quali la mancata informazione della convocazione di assemblea specie se avente all'ordine del giorno la modifica dello statuto e l'aumento del capitale sociale , onde impedirne la partecipazione consapevole, e/o la mancata comunicazione della facoltà di sottoscrizione dell'aumento di capitale - e cioè l'occultamento deliberato di tali fondamentali eventi, con i relativi rischi ed opportunità. c. Con un terzo motivo di ricorso deduce violazione dell'articolo 2636 del codice civile, laddove il tribunale ha affermato che, in forza della procura, la partecipazione di D.C. alle assemblee è stata formalmente valida, non riscontrandosi alcuna influenza sulle maggioranze. Il tribunale avrebbe omesso di considerare sia la mancata convocazione dell'assemblea, sia il fatto che l'uso della procura, pur formalmente corretto, si inseriva in un complessivo disegno fraudolento. La difesa ricorda che è stata ritenuta integrare il reato di cui all'articolo 2636 la convocazione di un'assemblea in tempi e luoghi tali da precludere un'effettiva partecipazione dei soci, per cui a maggior ragione dovrebbe essere punita la mancanza di convocazione, che impedisce del tutto tale partecipazione. In conclusione, la difesa chiede che venga affermato il seguente principio di diritto integrano atti fraudolenti idonei a determinare la maggioranza assembleare la mancata informazione della convocazione di assemblea specie se avente all'ordine del giorno la modifica dello statuto e l'aumento del capitale sociale , con l'occultamento deliberato dell'evento e dei relativi rischi ed opportunità, e/o l'uso artificioso della procura generale, se strumentale a poter lucrare un ingiusto profitto attraverso la determinazione di maggioranze utili a deliberare. Il Pubblico ministero, nel proprio ricorso, censura l'ordinanza impugnata laddove ha escluso la rilevanza della condotta omissiva ai fini dell'integrazione della violazione dell'articolo 2625, affermando che il tribunale accoglie una concezione statica dell'attività di controllo del socio sulla gestione della società, limitandola a tipologie di intervento a posteriori e comunque che prescindono dalla preventiva informazione del socio medesimo per la partecipazione dinamica al controllo della gestione. Tale operazione ermeneutica non sarebbe, a detta del pubblico ministero, legittima. Inoltre, osserva come lo statuto della ILI srl ammetteva la delega ad altro socio per la partecipazione alle assemblee sociali nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 2372 del codice civile, il quale, nel testo allora vigente, vietava sia il conferimento di una rappresentanza generale, sia la rappresentanza del socio da parte degli amministratori della società quale era la M.O. . Considerato in diritto 1. Preliminarmente occorre valutare la legittimazione di D.C. alla presentazione del ricorso per Cassazione in proposito, è giurisprudenza pacifica di legittimità quella secondo cui, in tema di sequestro preventivo, la persona offesa che non sia titolare del diritto all'eventuale restituzione delle cose sequestrate non è legittimata a partecipare o a presentare memorie nel procedimento di riesame del sequestro né, conseguentemente, nel giudizio di cassazione sull'ordinanza di riesame Sez. 2, n. 23696 del 22/03/2012, Bergamin, Rv. 253188 In tema di sequestro preventivo, non è legittimata a partecipare al procedimento di riesame e a proporre ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale, la parte civile in quanto tale, a prescindere dalla esistenza di un concreto interesse a ottenere la restituzione a suo favore del bene Sez. 5, n. 45726 del 22/09/2005, Hauner, Rv. 233212. In tema di sequestro preventivo, la persona offesa che non sia titolare del diritto all'eventuale restituzione delle cose sequestrate, non è legittimata a partecipare o a presentare memorie nel procedimento di riesame del sequestro instaurato ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., né, conseguentemente, nel giudizio di cassazione sull'ordinanza di riesam Sez. U, n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227728. Massime precedenti Conformi N. 1722 del 1994 Rv. 197341, N. 3123 del 2000 Rv. 216199, N. 32399 del 2003 Rv. 226293 . 2. Ciò premesso, occorre rilevare che oggetto del sequestro sono le quote del capitale sociale della SOFRIM srl e della ILI srl intestate a D.M. dunque, si deve valutare se il ricorrente abbia o meno il diritto all'eventuale restituzione delle predette quote, al fine della verifica della sua legittimazione al giudizio. 3. Ritiene questo Collegio che tale legittimazione faccia difetto, proprio per la mancanza del presupposto fondamentale del diritto alla restituzione di quanto in sequestro. 4. Orbene, oggetto del provvedimento cautelare sono le quote societarie intestate al D.M. , di cui lo stesso era divenuto titolare per effetto delle delibere di aumento di capitale. Per quanto riguarda le quote originariamente nella titolarità dell'indagato che, pare, non sono state oggetto di sequestro , è ovvio che sulle stesse l'odierno ricorrente non può vantare alcun diritto, in quanto legittimamente possedute dal fratello. Ma anche per quanto riguarda le quote sottoscritte in occasione dell'aumento di capitale, ove pure le doglianze di D.C. trovassero pieno accoglimento, egli non avrebbe alcun diritto alla restituzione ciò perché l'aumento di capitale, secondo quanto asserito dallo stesso ricorrente, è stato illegittimo e frutto di un complessivo disegno frodatorio. Ove, pertanto, la tesi del ricorrente venisse ritenuta fondata, conseguenza ne sarebbe non la restituzione a lui di tutte o di parte delle quote sequestrate al fratello, bensì la declaratoria di nullità dell'aumento di capitale e dunque l'azzeramento, di fatto, di tali quote sostiene, infatti, il ricorrente che gli aumenti di capitale fossero totalmente ingiustificati e finalizzati unicamente a far assumere al fratello il controllo delle società . 5. D'altronde, il ricorrente non ha mai dichiarato espressamente di voler esercitare i propri diritti sulle quote oggetto di aumento di capitale, per cui, anche ove l'invalidità dovesse riferirsi solo all'atto di sottoscrizione delle nuove quote, ferma restando la delibera di aumento del capitale sociale, dovrebbe tenersi comunque una nuova assemblea per permettere al D.C. di eventualmente esercitare l'opzione di sottoscrizione nei limiti da lui ritenuti . 6. Ricapitolando in caso di infondatezza del ricorso è evidente che al ricorrente non spetta la restituzione di alcunché ma anche nel caso di fondatezza degli assunti difensivi di parte civile, non vi sarebbe alcuna restituzione in favore del ricorrente, perché la conseguenza dell'illiceità della condotta degli indagati sarebbe l'annullamento degli atti frodatori e dunque anche dell'aumento di capitale, o, quantomeno, della sottoscrizione delle nuove quote. 7. Non avendo alcuna possibilità di ottenere la restituzione di quanto in sequestro e dovendo coltivare le proprie pretese in sede civile, proprio al fine di valutare le modalità di caducazione della delibera che si ritiene viziata, il D.C. non può ritenersi legittimato al ricorso per cassazione, che va pertanto dichiarato inammissibile. 8. Dichiarata l'inammissibilità del ricorso di parte civile, resta da esaminare quello del Pubblico ministero l'organo di accusa censura l'ordinanza impugnata laddove ha escluso la rilevanza della condotta omissiva ai fini dell'integrazione della violazione dell'articolo 2625, affermando che il tribunale accoglie una concezione statica dell'attività di controllo del socio sulla gestione della società, limitandola a tipologie di intervento a posteriori e comunque che prescindono dalla preventiva informazione del socio medesimo per la partecipazione dinamica al controllo della gestione. Tale operazione ermeneutica non sarebbe, a detta del pubblico ministero, legittima. Inoltre, osserva come lo statuto della ILI srl ammetteva la delega ad altro socio per la partecipazione alle assemblee sociali nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 2372 del codice civile, il quale, nel testo allora vigente, vietava sia il conferimento di una rappresentanza generale, sia la rappresentanza del socio da parte degli amministratori della società quale era la M.O. . Quanto a quest'ultimo aspetto, è incontestabile la natura civile della violazione e dunque non è questa la sede corretta per affrontare il problema. 9. Quanto alle lamentele sulla configurabilità del reato di cui all'art. 2625, esse sono infondate. La norma penale, infatti, sanziona l'amministratore che mediante l'occultamento di documento od altri artifici, impedisce od ostacola lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione. Trattasi, prima di tutto, di condotta necessariamente attiva con la irrilevanza, quindi, di mere omissioni l'artificio, infatti, presuppone l'impiego di particolari espedienti volti a trarre in inganno. L'oggetto della tutela, poi, non è la partecipazione del socio alla vita societaria e, quindi, a tutte le deliberazioni della società, quanto, piuttosto, la possibilità per costui di svolgere adeguatamente le funzioni di controllo. Non ogni attività societaria, cui venga impedito al socio di partecipare, può configurare violazione della norma di cui all'art. 2625 cod. civ., essendo necessario che l'impedimento attenga in modo specifico alle funzioni di controllo di regolarità della gestione. 10. Consegue a quanto esposto che il ricorso della parte civile deve essere dichiarato inammissibile alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge art. 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso cfr. Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007, Ferraloro, Rv. 237957 al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00. 11. Il ricorso del P.M., invece, va rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero. Quanto al D.C. , dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.