Prima del sequestro dei conti correnti del rappresentante legale, c’è quello del profitto del reato presso la società

In tema di reati tributari commessi dagli organi di una persona giuridica, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti delle persone fisiche che ricoprono il ruolo di organi societari, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca diretta di danaro o di altri beni fungibili, o di beni comunque riconducibili al profitto del reato tributario, riferibili direttamente alla persona giuridica.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15736/15 depositata il 15 aprile. Il fatto. Il rappresentante legale di una srl veniva indagato per omesso versamento di ritenute d’imposta. Il pm, in considerazione dell’applicabilità della confisca per equivalente ai beni che costituiscono il profitto delle condotte illecite – come previsto dall’art. 1, comma 3, l. finanziaria 2008 – disponeva il sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca dei saldi attivi dei rapporti finanziari riferibili all’indagato. Dopo la conferma della misura da parte del Tribunale del riesame, l’indagato ricorreva in Cassazione ottenendo l’annullamento dell’ordinanza di sequestro, in linea con quanto affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite della medesima Cassazione n. 10561/14 . La pronuncia citata infatti afferma che, in tema di sequestro e confisca del profitto di reati tributari, il Tribunale deve verificare la possibilità di sequestrare beni nella disponibilità della persona giuridica, prima di disporre il sequestro per equivalente nei confronti degli organi sociali. Il Tribunale, in sede di rinvio confermava la misura del sequestro per equivalente. L’indagato ricorre nuovamente in Cassazione, lamentando la completa inosservanza, da parte del giudice del rinvio, della pronuncia di legittimità, ritenendo erroneamente che l’oggetto della verifica fosse limitato all’accertamento dell’esistenza di danaro od altri beni che siano riconducibili direttamente al reato tributario . Confisca per equivalente e confisca diretta secondo le Sezioni Unite. I principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite richiamata affermano che la confisca del profitto del reato, quando si tratta di danaro o beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta, la quale non richiede l’accertamento concreto dell’esistenza del nesso di pertinenzialità con il reato tributario. Si aggiunga inoltre che è pacifica, nella giurisprudenza di legittimità, la possibilità di disporre il sequestro di diretto di denaro o beni fungibili della persona giuridica, mentre solo ove la misura abbia ad oggetto beni non fungibili sorge la necessità di dimostrare che essi siano direttamente riconducibili al profitto del reato tributario. Riassumendo, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per i reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di danaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario compiuto degli organi della persona giuridica stessa . Il profitto del reato. La Suprema Corte ritiene opportuno fornire una precisazione sul concetto di profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica, profitto individuabile nel risparmio d’imposta di cui quest’ultima si sia avvantaggiata e che, dunque, non può avere altra natura che quella di denaro o beni fungibili. La pronuncia rescissoria invitava il giudice del rinvio a verificare se fosse reperibile, presso la società, il profitto del reato, inteso nel senso appena precisato. Il Tribunale sul punto non ha svolto un’indagine soddisfacente, limitandosi ad affermare che le somme presenti sui conti correnti della società non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza, su quei conti, di somme di denaro riconducibili al reato tributario, omettendo qualsiasi tipo di verifica concreta in tal senso. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 gennaio – 15 aprile 2015, numero 15736 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto e considerato in diritto S. S. è indagato in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. penumero e 10 bis D.lvo 74/2000, per avere omesso, nella qualità di legale rappresentante della Edizioni del Roma Società Cooperativa a responsabilità limitata il versamento all'erario delle ritenute alla fonte operate sugli emolumenti erogati negli anni 20062011, 2007, 2008 e 2009. Il GIP, su richiesta del P.M., in considerazione dell'estensione dell'applicabilità dell'istituto della confisca per equivalente, operata dall'art. 1 comma 143 della legge finanziaria 2008, in relazione ai beni che costituiscono il profitto delle condotte illecite, di cui all'art. 10 bis D.lvo 74/2000, ed avuto riguardo alla sussistenza dei fumus del reato, disponeva il sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca dei saldi attivi, eventualmente rinvenibili sui rapporti finanziari, riferibili al S., fino alla concorrenza del valore di € 1.709.330.88. Proposta la istanza di riesame da parte dell'interessato, il Tribunale con provvedimento del 3.07.2013 la rigettava confermando il sequestro. La Cassazione, adita dal S., con la sentenza della terza sezione penale del 9.04.2014, annullava l'impugnata ordinanza disponendo che, in linea con quanto statuito dalle SS.UU. con sentenza 10561/2014, in tema di sequestro e confisca del profitto dei reati tributari, che il Tribunale dovesse verificare la possibilità di sequestrare direttamente beni nella disponibilità della persona giuridica Edizioni dei Roma Scarl, beneficiaria del risparmio di imposta e, dunque, del profitta dei reato contestato al S Il Tribunale di Roma, in sede di rinvio, ha confermato il decreto di sequestro preventivo. Propone nuovamente ricorso per Cassazione il S. Denuncia la violazione della disposizione di cui all'art 627, comma 3 c.p.p. e degli artt. 322 ter cp. 321 c.p.p. e 1 comma 143 L. numero 244/2007. Il Tribunale di Roma, dopo aver riassunto i principi espressi dalla richiamata sentenza delle SS.UU. e, quindi, della sentenza di rinvio, se ne è discostato del tutto, affermando emerge soltanto che la società è intestataria di quattro conti correnti bancari e di un conto corrente postale, il che non è certamente sufficiente a dimostrare l'esistenza su quei conti di denaro direttamente riconducibile al profitto del reato tributario commesso dall'organo . Si argomenta che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che l'oggetto della verifica fosse limitato all'accertamento dell'esistenza di danaro od altri beni che siano riconducibili direttamente al reato tributario, ciò in netto contrasto con i principi espressi dalla Corte di legittimità. Le Sezioni Unite hanno statuito che la confisca diretta del profitto dei reato è istituto ben distinto dalla confisca per equivalente. la confisca dei profitto, quando si tratta di danaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta . Pertanto, ove si proceda al sequestri ed alla successiva confisca di somme di denaro o di altre cose fungibili, ricorre sempre l'ipotesi - anche se si tratti di persona giuridica - di confisca diretta, che non richiede l'accertamento in concreto dell'esistenza del nesso di pertinenzialità con il reato tributario. Le Sezioni Unite hanno sancito che è sempre possibile, in quanto sequestro diretto, l'apprensione di denaro o di beni fungibili della persona giuridica. E che, al contrario, solo ove si tratti di beni non fungibili, occorre dimostrare che essi siano direttamente riconducibili al profitto del reato tributario. Dunque, il Tribunale avendo constato che erano esattamente individuati i rapporti bancari della persona giuridica, doveva annullare il sequestro preventivo emesso in pregiudizio del S., risultando possibile procedere alla diretta apprensione di denaro appartenete all'Ente beneficiario dei risparmio d'imposta. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto. La sentenza di rinvio di questa Corte, con annullamento della precedente ordinanza confermativa del sequestro per equivalente dei saldi attivi eventualmente rinvenibili sui rapporti finanziari risalenti al S., si basa sul principio, espresso dalle Sezioni Unite 30.1/5.3 2014 numero 19561 secondo cui ' non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per i reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di danaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona non estranea al reato . E' opportuno fare ulteriori precisazioni sul concetto di profitto e sulla possibilità del sequestro diretto. Su questi aspetti è realmente intervenuto l'arresto delle Sezioni Unite, che, di fronte a una questione sorta dagli effetti della alterità soggettiva dell'ente al cui vantaggio viene commessa dal suo amministratore l'evasione fiscale tramite i reati tributari, ha assunto una posizione sostanzialmente di mediazione, da un lato confermando la - nettamente prevalente - giurisprudenza che detta alterità preservava e presidiava consentendo il sequestro preventivo per equivalente sui beni della società solo nel caso in cui questa fosse una società fittizia, ovvero uno schermo per la persona fisica dell'amministratore, e dall'altro valorizzando la disponibilità già riconosciuta da ulteriori precedenti cfr. in particolare Cass. sez. III, 14 maggio 2013 numero 33182 del sequestro diretto del profitto a carico della società non fittizia in quanto qualificabile ente non estraneo al reato. Il sequestro diretto, in queste fattispecie criminose consistendo il profitto nell'omesso esborso del denaro necessario per pagare l'imposta, non può che avere, in siffatta impostazione, ad oggetto il denaro o altri beni fungibili non si condivide pertanto l'assunto del Tribunale secondo cui il risparmio monetario ottenuto dalla commissione del reato tributario di regola non è immediatamente identificabile, atteso che trattandosi di danaro o di cose fungibili, per la loro stessa natura non sono identificabili, nel senso che materialmente non è possibile ricollegarli all'attività illecita che ha comportato un mancato esborso finanziario da parte dell'ente, con evidente indebito arricchimento. Sottolineano , infatti, le Sezioni Unite che la confisca diretta dei profitto di reato è istituto ben distinto dalla confisca per equivalente , e altresì che la confisca dei profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta . Nel caso, dunque, in cui non sia possibile effettuare una confisca del profitto diretta, la confisca per equivalente del profitto da reato viene a completare il sistema, secondo una prospettiva non di tipo sanzionatorio, essendo fuori discussione la irresponsabilità dell'ente, ma di ripristino dell'ordine economico perturbato dal reato, che comunque ha determinato una illegittima locupletazione per l'ente, ad obiettivo vantaggio del quale il reato è stato commesso dal suo rappresentante così ancora l'arresto delle Sezioni Unite in esame . E, dunque, nel caso di specie, l'invito che è stato rivolto al giudice del rinvio era quello di verificare se fosse reperibile presso la persona giuridica il profitto del reato, inteso nel senso poc'anzi rappresentato. Vale a dire che, prima di disporre il sequestro per equivalente sulle disponibilità finanziarie dell'organo, nella persona del S., era necessario disporre quello diretto sulle disponibilità finanziarie della Edizioni del Roma s.c.a.r.l. . Il Tribunale, sul punto, evidenzia che gli elementi probatori, da cui ricavare che il danaro non versato sia stato depositato in banca, ovvero investito in titoli o in beni immobili facilmente individuabili, difettano e che neppure la Difesa li ha indicati. Ritiene il Collegio che tale analisi non convinca, atteso che il Tribunale, pur prendendo atto dalla nota della G.d.F. del 28.01.2013, da cui emerge che la Edizioni del Roma s.c.a.r.l. è titolare di quattro conti bancari e di un conto postale, specificamente elencati nella predetta nota, afferma 'Il che non è certo sufficiente a dimostrare l'esistenza su quei conti di danaro direttamente riconducibile al profitto dei reato tributario commesso all'organo . Questa affermazione, quindi, prescinde da ogni verifica concreta circa la disponibilità di danaro, sol perché non sarebbe dimostrabile che quelle eventuali somme di danaro non siano riconducibili al profitto del reato. L'affermazione, per quanto esposto, non è condivisibile apparendo essa basata su di un assunto erroneo del concetto di profitto. Ed ancora, non è assorbente il rilievo secondo il quale il fatto che il S. abbia dichiarato di avere omesso il versamento a causa della crisi finanziaria e del mancato incasso di contributi per l'editoria pari ad €2.5000.000,00 e di aver fatto domanda di ammissione al concordato preventivo, induce a ritenere che non vi fossero preso la società, il profitto e/o disponibilità finanziarie adeguate. E' questa, invero, una mera deduzione non comprovata dall'accertamento in concreto circa l'esistenza sui conti correnti bancari di disponibilità finanziarie. L'ordinanza va annullata con rinvio al Tribunale per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.