Azienda vende falsi prodotti biologici: anche l’IVA e i costi sostenuti rientrano nel profitto confiscabile

Il profitto ex art 240 c.p. non si identifica con l’utile d’impresa o il reddito di esercizio, per cui non si può strutturalmente scorporare il costo sostenuto per ottenerlo, specialmente se l’investimento, in quanto cosa destinata a commettere il reato, e quindi a produrre il profitto, potrebbe essere di per sé oggetto di confisca. Allo stesso modo, per la definizione del profitto confiscabile a norma dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2001 non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico, come quelli di profitto lordo e profitto netto, tanto più se l’impresa è totalmente votata all’illecito .

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 15249, depositata il 14 aprile 2015. Il caso. Il tribunale di Pesaro riformava in parte il decreto del gip, che aveva disposto, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni di una società, riducendo l’importo confiscabile. La rubrica provvisoria ipotizzava l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al compimento di una serie indeterminati di delitti di frode in commercio nel settore delle importazioni comunitarie da Paesi terzi o intracomunitarie di prodotti agroalimentari e conseguente commercializzazione degli stessi in ambito comunitario, sia immettendo sul mercato dei prodotti biologici sforniti dei relativi requisiti, sia violando la normativa sui prodotti convenzionali, con la creazione di imprese produttrici in Paesi terzi e l’affiancamento di organismi di controllo fittizi o compiacenti. Il tribunale rideterminava l’entità del profitto confiscabile, quantificandolo al netto dei costi sostenuti, scorporando l’IVA ed i costi documentati connessi alle operazioni di importazione, oltre a quelli relativi a prestazioni richieste a terzi in vista del trasporto e di altre operazioni necessarie per ottenere la disponibilità della merce. Inoltre, aveva rideterminato i ricavi effettivamente conseguiti dalla vendita dei prodotti, risultanti dal loro peso effettivo e dal loro declassamento da prodotto biologico a prodotto convenzionale. Il Procuratore della Repubblica ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata indicazione e la determinazione del vantaggio o profitto conseguito dall’ente. Nozione di profitto. La Corte di Cassazione ricorda che, in tema di profitto da reato, deve prescindersi, nella sua definizione, da una nozione di tipo prettamente aziendalistico. Il profitto ex art 240 c.p. non si identifica con l’utile d’impresa o il reddito di esercizio, per cui non si può strutturalmente scorporare il costo sostenuto per ottenerlo, specialmente se l’investimento, in quanto cosa destinata a commettere il reato, e quindi a produrre il profitto, potrebbe essere di per sé oggetto di confisca. Per la definizione del profitto confiscabile a norma dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2001, non ci si discosta da questi principi, per cui non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico, come quelli di profitto lordo e profitto netto, tanto più se l’impresa è totalmente votata all’illecito . Attività parzialmente illecita. Se l’impresa non è totalmente votata al delitto, qualora il corrispettivo costituisca il compenso di un’attività che, anche se acquisita illecitamente, non infici tuttavia la regolarità della prestazione sinallagmatica resa al terzo, non potrà tenersi conto di esso nella quantificazione del profitto. Tuttavia, ciò non significa che il profitto confiscabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 231/2001 debba essere calcolato al netto dei costi sostenuti per ottenerlo. Nel caso di specie, il reato era insito nella stessa cessione del prodotto come biologico invece che come convenzionale ed il profitto, cioè l’unità di misura dei beni da confiscare, non è dato dall’intero corrispettivo ottenuto, bensì dalla sola differenza fraudolentemente ottenuta tra quest’ultimo e quello che sarebbe stato ottenuto se gli stessi prodotti fossero stati ceduti come convenzionali il profitto doveva quindi essere identificato con il concreto ed unico vantaggio conseguito con la perpetrazione del reato. Non ci sarebbe, quindi, nemmeno una prestazione lecita posta in essere a favore i terzi. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla senza rinvio l’ordinanza del tribunale, con conseguente ripristino del decreto di sequestro del gip.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 novembre 2014 – 14 aprile 2015, n. 15249 Presidente Fiale – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 19/02/2014, il Tribunale di Pesaro ha parzialmente riformato il decreto del 14/01/2014 con il quale il Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale aveva disposto, ai sensi degli artt. 24-rer, 25-bis 1, 19, e 53, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni, tra gli altri, anche della F.A.ZOO MANGIMI Srl” fino all'ammontare di Euro 1.307.397,42, rideterminando l'importo confiscabile in Euro 666.207,24. La rubrica provvisoria ipotizza l'esistenza di un'associazione per delinquere finalizzata al compimento di una serie indeterminata di delitti di frode in commercio di ingenti proporzioni nel settore delle importazioni comunitarie da Paesi terzi od intracomunitarie di prodotti agroalimentari e conseguente commercializzazione degli stessi in ambito comunitario, sia immettendo sul mercato prodotto biologico” sfornito dei relativi requisiti, sia violando la normativa relativa ai prodotti c.d. convenzionali”, tramite la creazione di imprese produttrici in Paesi terzi, affiancando organismi di controllo fittizi o compiacenti, con l'aggravante della dimensione transnazionale delle condotte e dell'aver concorso in più di dieci persone. Tali condotte sarebbero state poste in essere a favore e a profitto anche della F.A.ZOO MANGIMI Srl” da parte di F.G. , presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della società, organizzatore del sodalizio e autore, attraverso la società da lui rappresentata, insieme con il figlio M. socio amministratore della FAZOO e altri sodali, di numerose importazioni dall'estero di alimenti falsamente qualificati come biologici. Ferma restando la sussistenza indiziaria dei reati provvisoriamente ipotizzati, il Tribunale ha rideterminato l'entità del profitto confiscabile quantificandolo al netto dei costi sostenuti, scorporando, a tal fine, l'IVA, nonché i costi documentati connessi alle operazioni di importazione, nonché i costi relativi a prestazioni richieste a terzi in vista del trasporto e altre operazioni necessarie per ottenere la disponibilità della merce. Ha inoltre rideterminato i ricavi effettivamente conseguiti dalla vendita dei prodotti, risultanti dal loro peso effettivo e dal loro declassamento da prodotto biologico a prodotto convenzionale. 2. Per l'annullamento dell'ordinanza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro eccependo, ai sensi dell'art. 606, lett. b , cod. proc. pen., inosservanza degli artt. 5, 6, 7, 8, 19 e 53, d.lgs. 231/2001, sotto il duplice profilo 2.1. dell'errata indicazione e determinazione del vantaggio o profitto conseguito dall'ente 2.2. del vizio della motivazione così radicale da poter essere equiparato alla totale mancanza di motivazione. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. 4. È fondato il primo motivo di ricorso. In tema di profitto da reato, questa Suprema Corte ha costantemente affermato il principio secondo il quale, in generale, deve prescindersi, nella sua definizione, da una nozione di tipo prettamente aziendalistico Sez. U, n. 9149 del 3 luglio 1996, Chabini, Rv. 205707 Sez. U, n. 29951 del 24 maggio 2004, Focarelli, in motivazione Sez. U, n. 29952 del 24 maggio 2004, Romagnoli, in motivazione Sez. U, n. 10208 del 25 ottobre 2007 - dep. 6 marzo 2008 - Miragliotta, Rv. 238700 . Il profitto” di cui all'art. 240, cod. pen., non si identifica con né si sovrappone a l'utile d'impresa o il reddito di esercizio, sicché non si può strutturalmente scorporare il costo sostenuto per ottenerlo, sopratutto se l'investimento, in quanto cosa destinata a commettere il reato e dunque a produrre il profitto , potrebbe essere di per sé oggetto di confisca. La definizione di profitto” confiscabile a norma dell'art. 19, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non si discosta da quella da sempre elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte, nel senso che non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico - quali ad esempio quelli del profitto lordo e del profitto netto Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti Spa, Rv. 239924 , tanto più se l'impresa è totalmente votata all'illecito. Se l'impresa non è totalmente votata al delitto, allorquando il corrispettivo costituisca il compenso di un'attività che, ancorché acquisita illecitamente, non infici tuttavia la regolarità della prestazione sinallagmatica resa al terzo, di esso non potrà tenersi conto nella quantificazione del profitto Sez. U, 26654/2008, cit. . Il che, non equivale a sostenere che, come erroneamente affermato dal Tribunale del riesame, il profitto confiscabile ai sensi dell'art. 19, d.lgs. 231/2001 debba essere calcolato al netto dei costi sostenuti per ottenerlo. Nel caso di specie, invece, il reato è insito nella stessa cessione del prodotto come biologico invece che come convenzionale ed il profitto, che costituisce l'unità di misura del valore dei beni da confiscare e dunque sequestrati , non è dato dall'intero corrispettivo ottenuto, bensì dalla sola differenza fraudolentemente ottenuta tra quest'ultimo come documentato dalle fatture di vendita e quello che sarebbe stato ottenuto se gli stessi prodotti fossero stati ceduti come convenzionali il profitto, dunque, si identifica con il concreto ed unico vantaggio conseguito con la perpetrazione del reato. Sicché, in disparte la non occasionalità di un'attività posta in essere da un'impresa che la rubrica e la stessa ordinanza affermano essere organica ad un disegno criminoso di ben più vasto respiro, non vi sarebbe nemmeno una prestazione lecita posta in essere a favore di terzi. Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con conseguente ripristino del decreto di sequestro del GIP. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata ed integralmente ripristina il provvedimento di sequestro del GIP del Tribunale di Pesaro in data 14/01/2014.