‘Banco del pesce’, la moglie del proprietario beffa un compratore, dandogli meno merce di quella pagata. Condannato il commerciante

Non discutibile la responsabilità dell’uomo, il quale è sanzionato con una pena, condizionalmente sospesa, di 15 giorni di reclusione. A prescindere dal ruolo della moglie come collaboratrice, è evidente che ella non può avere agito in maniera del tutto autonoma.

Bilancia ‘taroccata’ per il negozio del pescivendolo. E così il compratore si ritrova, nella busta della spesa, prodotti ittici in quantità nettamente inferiore a quella dichiarata dal venditore. Protagonista della vicenda, così come ricostruita, è, però, non solo il proprietario dell’esercizio commerciale, bensì la moglie, la quale ha consegnato materialmente la merce. Ciò nonostante, è proprio il titolare della pescheria a essere ritenuto responsabile. Consequenziale, per lui, la condanna per frode commerciale Cassazione, sentenza n. 14257/15, terza sezione penale, depositata il 9 aprile . Collaboratrice. Punto di svolta, nella battaglia giudiziaria, è la decisione in appello, laddove il commerciante viene condannato alla pena di 15 giorni di reclusione però condizionalmente sospesa . Ribaltata completamente l’ottica adottata in primo grado, laddove l’uomo, titolare di una pescheria, era stato liberato dall’accusa di aver truffato un compratore, vendendogli prodotti ittici in quantità inferiore a quella dichiarata . Per il commerciante, però, è stato trascurato un particolare non secondario a consegnare la merce all’acquirente era stata la moglie, la quale, spiega l’uomo, all’interno dell’esercizio commerciale svolgeva soltanto le pulizie . Di conseguenza, la presenza della donna al ‘bancone’ doveva ritenersi , sempre secondo l’uomo, del tutto occasionale e frutto di autonoma iniziativa . Vendita. Chiara la linea difensiva proposta in Cassazione dal commerciante, il quale sostiene la responsabilità esclusiva della moglie, colpevole di avere agito in maniera azzardata e assolutamente autonoma. Ma tale visione, ribattono i giudici, non è assolutamente accettabile. Per una ragione semplicissima la donna – la cui condotta è acclarata – ha comunque agito nell’ambito di un rapporto di collaborazione col marito, a prescindere dal titolo giuridico ravvisabile o delle mansioni svolte abitualmente pulizie o vendita . Impensabile sostenere che la donna si sarebbe discostata dalle disposizioni ricevute dal marito, agendo in modo del tutto autonomo . Consequenziale, quindi, la responsabilità penale dell’uomo. Anche tenendo presente, concludono i giudici, che in un piccolo esercizio commerciale, gestito , come in questo caso, direttamente dal titolare e da un familiare, la responsabilità del proprietario per la vendita di ‘ aliud pro alio ’ deve essere ritenuta anche se l’acquirente non ha identificato compiutamente l’autore materiale della vendita , soprattutto perché sul proprietario grava l’obbligo di impartire ai propri dipendenti precise disposizioni di leale e scrupoloso comportamento commerciale e di vigilare sull’osservanza di quelle regole.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 marzo – 9 aprile 2015, n. 14257 Presidente Squassoni – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Massa del 7/5/2010, Giuseppe Mazzanti era assolto dall'imputazione di cui all'art. 515 cod. pen., per non aver commesso il fatto allo stesso era ascritto di aver venduto prodotti ittici in quantità inferiore a quella dichiarata. 2. Con successiva pronuncia del 22/10/2013, la Corte di appello di Genova, in totale riforma, dichiarava il Mazzanti colpevole del reato contestato e lo condannava alla pena di 15 giorni di reclusione, condizionalmente sospesa. 3. Propone ricorso per cassazione lo stesso, a mezzo dei proprio difensore, deducendo - con unico motivo - la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe riformato la pronuncia di primo grado sul presupposto erroneo che Anna Maria Meucci - moglie dell'imputato, nonché colei che aveva consegnato all'acquirente il pesce in oggetto - avesse un rapporto di dipendenza o collaborazione con il Mazzanti quel che invece non sarebbe stato, attese le deposizioni testimoniali - che il ricorso ribadisce - dalle quali emergerebbe che la donna, all'interno dell'esercizio, svolgeva soltanto le pulizie, e che la presenza al bancone doveva ritenersi dei tutto occasionale e frutto di autonoma iniziativa. Da ciò derivando l'estraneità al fatto in capo al ricorrente. Considerato in diritto 4. II ricorso è infondato. Occorre innanzitutto ribadire che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247 . Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza dei quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett e , cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074 . In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile a l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badaglìacca e altri, Rv. 255542 Sez. 2, n. 56 dei 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760 . Se questa, dunque, è l'ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate ed invero il Mazzanti, dietro l'apparenza di un difetto motivazionale e di una violazione di legge, di fatto invoca al Collegio una nuova ed alternativa lettura delle medesime risultanze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito deposizione di Tiziana Lombardi - riportata per stralci - circa la presenza della Meucci nel locale e sue mansioni abituali , chiedendone un'interpretazione diversa e più favorevole. Quel che, come appena indicato, non è consentito in sede di legittimità. A ciò si aggiunga, peraltro, che il ricorso oblitera dei tutto la chiara, rafforzata e logica motivazione stesa dalla Corte di appello, con la quale è stata riformata la pronuncia di primo grado. In particolare, il Collegio di merito - data per pacifica la condotta, non contestata neppure con il presente ricorso - ha evidenziato che la Meucci aveva comunque agito nell'ambito di un rapporto di collaborazione con il Mazzanti, a prescindere dal titolo giuridico ravvisabile o delle mansioni svolte abitualmente pulizie o vendita , sì da fondare in ogni caso la responsabilità penale del marito dal che, l'illogicità della tesi - peraltro sfornita di qualsivoglia prova - per cui la donna si sarebbe invece discostata dalle disposizioni ricevute dal ricorrente, agendo in modo dei tutto autonomo. Con tale argomento, quindi, la sentenza ha aderito al costante indirizzo di questa Corte per il quale in un piccolo esercizio commerciale, gestito direttamente dal titolare e da un familiare, la responsabilità per la vendita di aliud pro alio del primo deve essere ritenuta anche se l'acquirente non ha identificato compiutamente l'autore materiale della vendita Sez. 3, n. 18298 dei 15/1/2003, Platania, Rv. 224566 . Sul titolare medesimo, infatti, grava l'obbligo di impartire ai propri dipendenti precise disposizioni di leale e scrupoloso comportamento commerciale e di vigilare sull'osservanza delle stesse in difetto, si configura il reato di cui all'art. 515 cod. pen., sia allorquando alla condotta omissiva si accompagni la consapevolezza che da essa possano scaturire gli eventi tipici del reato, sia quando si sia agito accettando il rischio che tali eventi si verifichino Sez. 3, n. 27279 dei 26/3/2004, Rosi, Rv. 229348 . Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.