Per la messa in prova, o tutto o niente

Nel caso in cui l’imputato sia chiamato a rispondere nello stesso procedimento di reati per cui non sia possibile l’accesso all’istituto della sospensione della messa in prova insieme ad altri per cui invece lo sia, appare stridente con la struttura del sistema e con gli stessi presupposti dell’istituto che possa avvenire una parziale” risocializzazione del soggetto interessato .

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 14112, depositata l’8 aprile 2015. Il caso. Il gup di Palermo respingeva la domanda di due imputati di sospensione del procedimento per messa alla prova in relazione ad alcuni dei reati a loro contestati. Il difensore ricorre in Cassazione, contestando la decisione nella parte in cui, in presenza di una richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova per alcuni dei reati contestati agli imputati c.d. messa alla prova parziale , il gup ha ritenuto non potersi accogliere ex art. 18, comma 1, c.p.p. separazione dei processi nei casi come quelli in cui si procede in cui il giudice ritenga la riunione dei reati assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti . Secondo il gup, la prova del reato associativo si fondava su una serie di condotte autonomamente integranti il reato che, oltre alla mera connessione per continuazione, si intrecciavano tra loro e non consentivano una valutazione separata. Il difensore deduce quindi la violazione dell’art. 81 cpv. c.p., contestato dal pm in tutti i capi di imputazione che precluderebbe all’imputato di poter beneficiare della disciplina della messa alla prova laddove la disciplina della continuazione non deve essere applicata in tutti i casi in cui possa arrecare un danno o un pregiudizio all’imputato la violazione dell’art. 18 c.p.p., il quale prevede, da una parte, la separazione dei processi nei casi di sospensione del procedimento, e dall’altra, che se per una o più imputazioni si può addivenire prontamente alla decisione di deve procedere alla separazione dei processi. Infine, considerando che le modalità dell’esercizio dell’azione penale dipende dalla scelta del pm, si creerebbe una disparità di trattamento tra coloro per i quali il pm decida di procedere separatamente per i vari reati con la possibilità di messa alla prova rispetto a coloro che sono stati rinviati a giudizio per una serie di reati, di cui solo alcuni permetterebbero l’applicabilità dell’istituto. Messa in prova solo per alcuni reati. La Corte di Cassazione affronta la problematica che si pone in presenza di procedimenti oggettivamente cumulativi in cui risultano contestati all’imputato sia reati per cui sarebbe possibile l’ammissione al beneficio della messa in prova, sia altri per cui tale possibilità è esclusa. L’unica soluzione potenzialmente percorribile sarebbe quella della separazione dei processi ai sensi dell’art. 18 c.p.p La norma prevede che la separazione sia disposta salvo che il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti. Quest’ultima eventualità era stata proprio la statuizione del gup nel caso di specie, con un’ordinanza adeguatamente motivata. Secondo gli Ermellini, è necessaria anche una valutazione sulla possibilità di procedere ad una messa alla prova parziale, con conseguente separazione in un processo relativo ad una pluralità di reati in contestazione al medesimo imputato dei soli reati per cui l’istituto sarebbe applicabile. I giudici di legittimità ricordano che il sistema normativo non prevede un diritto assoluto per l’imputato di accedere alla procedura di rieducazione della messa in prova, essendo necessario l’esercizio di un potere valutativo del giudice, che deve inserirsi in un quadro più ampio della situazione personale dell’imputato e della situazione processuale in cui opererebbe l’istituto della sospensione parziale del processo. Valutazione sulla rieducazione. Serve, cioè, per la sospensione del processo con messa alla prova, un giudizio prognostico positivo sulla rieducazione del soggetto interessato, per la cui formulazione è necessario considerare il tipo di reato commesso, le modalità di attuazione ed i motivi, per valutare poi se il fatto contestato sia considerabile come un episodio occasionale oppure rilevatore di un sistema di vita. Per quanto riguarda la contestazione relativa alla discrezionalità del pm, la Cassazione ricorda che il pm è il dominus dell’azione penale e lui stesso non potrà sapere, all’atto dell’esercizio dell’azione penale, se l’imputato in un momento successivo formulerà una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. Inoltre, la possibilità di accedere a tale procedura per l’imputato non dipende dalle modalità di esercizio dell’azione penale, ma da altri fattori legati alla natura dei fatti-reato oltre che dalle conseguenti esigenze di intersecazione probatoria. Nel caso in cui l’imputato sia chiamato a rispondere nello stesso procedimento di reati per cui non sia possibile l’accesso all’istituto insieme ad altri per cui invece lo sia, appare stridente con la struttura del sistema e, diremmo, con gli stessi presupposti dell’istituto che possa avvenire una parziale” risocializzazione del soggetto interessato . Infatti, il Legislatore non ha fatto riferimento ai reati, ma ai procedimenti per reati, così lasciando all’evidenza intendere una visione unitaria e complessiva della prospettiva di risocializzazione del soggetto che potrà realizzarsi attraverso la messa alla prova previa sospensione dell’intero procedimento” ma solo quando ciò sia possibile in relazione a tutti i reati in contestazione . In conclusione, aggiungono i giudici, non è pensabile che si possa essere risocializzati solo per alcuni dei fatti in contestazione e nel contempo si continui a rispondere di ben più gravi connessi fatti-reato, per i quali l’accesso all’istituto de qua non è consentito. L’esigenza di rieducazione rappresenta un beneficio non solo per l’imputato ma anche per la collettività e l’essenza dell’istituto non può ricollegarsi al solo fatto materiale di consentire all’imputato di vedere estinto il reato di cui è chiamato a rispondere, ma ha radici ben più profonde e nobili che tendono all’eradicazione completa delle tendenze di condotta antigiuridica del soggetto e che contrastano con l’idea di un individuo semirisocializzato . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 marzo – 8 aprile 2015, n. 14112 Presidente Gentile – Relatore Alma Ritenuto in fatto Con ordinanza emessa nel corso dell'udienza preliminare del 7/11/2014 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo nell'ambito del proc.pen. n. 24589/12 R.G.n.r. e n. 777/13 R.G.G.I.P. che vede imputati tra gli altri A.L. e A.G. , il Giudice respinta ogni altra domanda, eccezione o difesa ammetteva i predetti oltre altri imputati al rito abbreviato allo stato degli atti. Tra le richieste che il Giudice con l'ordinanza de qua respingeva vi era anche quella formulata dagli imputati A.L. e A.G. di sospensione del procedimento per messa alla prova degli imputati stessi in relazione ad alcuni dei reati a loro contestati. Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore degli imputati, deducendo ex art. 606, lett. b , cod. proc. pen. in riferimento al comma 7 dell'art. 464-quater cod. proc. pen. la violazione degli artt. 464-bis e seguenti cod. proc. pen., 168-bis e seguenti cod. pen., 81 cod. pen., e 18 cod. proc. pen. Osserva la difesa dei ricorrenti che il Giudice per le indagini preliminari avrebbe errato nel momento in cui, in presenza di una richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova per alcuni dei reati contestati agli imputati c.d. messa alla prova parziale , l'ha respinta affermando che non si poneva un problema di ammissibilità di tale richiesta, ma di possibilità che la stessa potesse trovare accoglimento atteso che essa non può accogliersi ex art. 18, comma 1, prima parte, cod. proc. pen. nei casi come quelli in cui si procede in cui il giudice ritenga la riunione dei reati assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti atteso che - ha proseguito il Giudice - la prova del reato associativo si fonda proprio su una serie di condotte autonomamente integranti il reato che, al di là della mera connessione per continuazione, si intrecciano fra loro e non consentono una valutazione separata. Ciò secondo il difensore dei ricorrenti determinerebbe a la violazione dell'art. 81 cpv. cod. pen., contestato dal Pubblico Ministero in tutti i capi di imputazione che precluderebbe di fatto all'imputato di poter beneficiare della disciplina della messa alla prova laddove la disciplina della continuazione non deve essere applicata in tutti i casi in cui possa arrecare una danno od un pregiudizio all'imputato b la violazione dello spirito della disciplina della messa alla prova finalizzata alla risocializzazione dell'imputato c la violazione dell'art. 18, lett. b cod. proc. pen. laddove la norma prevede la separazione dei processi nei casi di sospensione del procedimento d la violazione dell'art. 18, lett. a cod. proc. pen. laddove la norma prevede che se per una o più imputazioni si può addivenire prontamente alla decisione si deve procedere alla separazione dei processi atteso che in nessun caso la necessità dell'accertamento dei fatti può prevalere sul principio di rieducazione del reo ex art. 27 della Costituzione. La decisione assunta dal Giudice per le indagini preliminari violerebbe quindi il principio del favor rei e, in ogni caso, dipendendo dalla scelta del Pubblico Ministero le modalità di esercizio dell'azione penale ciò determinerebbe una disparità di trattamento tra coloro per i quali il Pubblico Ministero decida di procedere separatamente per i vari reati così consentendo, laddove sia possibile, agli stessi di coltivare la richiesta di messa alla prova rispetto a coloro che come del caso di specie sono stati rinviati a giudizio per una serie di reati solo per alcuni dei quali sarebbe applicabile l'istituto de qua. Considerato in diritto In via del tutto preliminare deve essere evidenziato che l'ordinanza del Giudice per l'udienza preliminare emessa in data 7/11/2014 è provvedimento espressamente ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 464-quater, comma 7, cod. proc. pen Passando, quindi, all'esame del ricorso, deve essere ricordato che il primo comma dell'art. 464-bis cod. proc. pen. dispone testualmente che nei casi previsti dall'articolo 168-bis del codice penale l'imputato può formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova . A sua volta l'art. 168-bis cod. pen. al comma 1 indica i casi in cui è possibile accedere a tale procedura stabilendo testualmente Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova . Alla luce del quadro normativo di cui si è detto deve essere evidenziato che la problematica si pone laddove ci si trovi in presenza di procedimenti oggettivamente cumulativi nei quali risultano contestati all'imputato sia reati per i quali sarebbe possibile l'ammissione al beneficio sia altri per i quali ciò non sarebbe possibile. È infatti, di tutta evidenza, che in un caso come quello in esame, non potendosi procedere alla sospensione dell'intero procedimento l'unica soluzione processuale potenzialmente percorribile non potrebbe che essere quella della separazione dei processi ex art. 18 cod. proc. pen In tal caso bisogna però necessariamente tenere in conto la regola generale di cui al disposto del comma 1 del citato art. 18 che stabilisce che la separazione dei processi è disposta salvo che il Giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti . Ciò è quanto avvenuto nel caso in esame avendo il Giudice per l'udienza preliminare evidenziato che la prova del reato associativo si fonda proprio su di una serie di condotte autonomamente integranti il reato capi g , h ed I , tra quelli per i quali sarebbe ammissibile la messa alla prova che, al di là della mera connessione per continuazione, si intrecciano fra loro e non consentono una valutazione separata . Sotto quest'ultimo profilo l'ordinanza del G.U.P. è da ritenersi congruamente motivata in relazione all'espressione di un potere valutativo di carattere discrezionale nell'applicazione dell'art. 18 cod. proc. pen. che certamente gli competeva. La questione richiede però una valutazione più approfondita sotto il profilo della possibilità di procedere ad una messa alla prova parziale con conseguente separazione in un processo relativo ad una pluralità di reati in contestazione al medesimo imputato dei soli reati per i quali l'istituto sarebbe applicabile, con successiva sospensione del procedimento così stralciato . Va detto subito che non sono condivisibili le argomentazioni difensive secondo le quali l'ordinanza sarebbe viziata per il fatto che il Giudice ha sostanzialmente privilegiato l'esigenza del compiuto accertamento dei fatti asseritamente non possibile qualora si fosse proceduto alla separazione dei reati per i quali era potenzialmente possibile la messa alla prova ed alla sospensione del procedimento con riguardo agli stessi , esigenza che trova a sua volta un fondamento costituzionale nella necessità di speditezza degli accertamenti giudiziari e nella parallela necessità di una corretta e compiuta formazione della prova che a loro volta si inseriscono nel più generale principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Non va dimenticato che seppure sia indubbio che lo spirito della disciplina della messa alla prova riconosce agli imputati la possibilità di procedere ad una risocializzazione e comunque di accedere ad procedimento di rieducazione in conformità al disposto dell'art. 27, comma 3, della Costituzione, il sistema normativo non prevede un diritto assoluto per l'imputato di accedere a tale procedura condizionato alla sola richiesta dell'imputato stesso ma prevede pur sempre l'esercizio di un potere valutativo del Giudice che deve inserirsi nel più ampio quadro della situazione personale dell'imputato nonché della situazione processuale nella quale verrebbe ad operare l'istituto della sospensione parziale del processo. Infatti la concessione del beneficio della sospensione del processo con messa alla prova presuppone un giudizio prognostico positivo sulla rieducazione del soggetto interessato, per la cui formulazione non può prescindersi dal tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi a delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi un episodio del tutto occasionale e non, invece, rivelatore di un sistema di vita, che faccia escludere un giudizio positivo sull'evoluzione della personalità dell'imputato verso modelli socialmente adeguati. E, valga il vero, neppure si potrà sostenere, come fa la difesa dei ricorrenti che il giudice sarebbe incorso nella violazione dell'art. 18 cod. proc. pen. per non avere provveduto alla separazione dei processi nonostante che si fosse in presenza di situazioni per le quali era possibile pervenire prontamente alla decisione per una o più imputazioni lett. a o nel caso in cui per una o più imputazioni è stata ordinata la sospensione del procedimento lett. b . In realtà non solo nel caso in esame non era ancora stata ordinata la sospensione del procedimento, ma entrambi i casi di cui alle lett. a e b dell'art. 18 per determinare la separazione dei processi erano comunque sottoposti alla condizione principale che il Giudice non abbia ritenuto - come avvenuto - la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti. Infine, assolutamente inconferente ai fini dell'odierna decisione si presenta l'osservazione secondo la quale si verrebbe a creare una discriminazione della posizione degli imputati a seconda delle modalità con le quali il Pubblico Ministero decide di esercitare l'azione penale nel senso che l'esercizio separato dell'azione penale per reati per i quali sarebbe possibile l'accesso alla procedura di cui al Titolo Quinto - bis del cod. proc. pen. rispetto ai reati per i quali ciò non sarebbe possibile aprirebbe la strada alla possibilità di sospensione del procedimento per i primi mentre ciò non sarebbe possibile in caso di esercizio cumulativo dell'azione penale per entrambe le specie di reati. Fermo restando, infatti, che secondo la Carta Costituzionale il Pubblico Ministero è - e rimane - il dominus dell'azione penale, e che lo stesso Pubblico Ministero non può certo sapere all'atto dell'esercizio dell'azione penale se l'imputato in un momento successivo formulerà richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, va detto che la possibilità per l'imputato di accedere a detta procedura non dipende certo dalle modalità di esercizio dell'azione penale ma - come avviene in caso di esercizio dell'azione penale per reati di entrambe le fattispecie - da ben altri fattori legati alla natura dei fatti - reato oltre che dalle conseguenti esigenze di intersecazione probatoria. Nel caso poi, in cui chi è imputato sia chiamato a rispondere allo stesso tempo e nello stesso procedimento di reati per i quali non sia possibile l'accesso all'istituto unitamente ad altri per i quali ciò sia invece possibile, appare stridente con la struttura del sistema e, diremmo, con gli stessi presupposti dell'istituto che possa avvenire una parziale risocializzazione del soggetto interessato. Del resto e non certo a caso il Legislatore nella formulazione dell'art. 168-bis cod. pen. introdotto dall'art. 3, comma 11, della L. 28 aprile 2014, n. 67 , richiamato dall'art. 464-bis cod. proc. pen. non ha fatto direttamente riferimento ai reati quanto piuttosto ai procedimenti per reati . così lasciando all'evidenza intendere una visione unitaria e complessiva della prospettiva di risocializzazione del soggetto che potrà realizzarsi attraverso la messa alla prova previa sospensione dell'intero procedimento ma solo quando ciò sia possibile in relazione a tutti i reati in contestazione. Non è qui in gioco un problema di effetto deflattivo del procedimento che si verrebbe a realizzare attraverso la separazione di alcuni reati in caso di procedimento oggettivamente cumulativo, opzione peraltro esclusa dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte Suprema in caso di richiesta di c.d. patteggiamento parziale da ultimo, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 41138 del 23/05/2013, Rv. 256929 v. però contra Cass. Sez. 3, Sentenza n. 34915 del 13/07/2011, Rv. 250860 quanto piuttosto il fatto che - pur in presenza di un istituto per cui è previsto un diritto di richiesta all'accesso che è cosa ben diversa dall'automatico diritto di accesso da parte dell'imputato - non appare pensabile che taluno possa essere possa essere risocializzato solo per alcuno dei fatti in contestazione e nel contempo continui a rispondere di ben più gravi connessi fatti-reato per i quali l'accesso all'istituto de qua non è consentito. Se, come detto sopra, per l'ammissione discrezionale all'istituto de qua non può prescindersi dalla valutazione del tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi a delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi un episodio del tutto occasionale e non, invece, rivelatore di un sistema di vita, che faccia escludere un giudizio positivo sull'evoluzione della personalità dell'imputato verso modelli socialmente adeguati ecco che ben non si potrebbero ritenere sussistenti tali condizioni nel momento in cui il soggetto è contemporaneamente chiamato a rispondere anche di ben più gravi e connessi fatti-reato che ex se contrastano con quella prognosi positiva di risocializzazione che rappresenta il vero ed unico motivo fondante dell'istituto. Ciò perché l'esigenza di rieducazione del condannato così come indicata nel comma 3 dell'art. 27 della Carta Costituzionale rappresenta un beneficio non solo per l'imputato ma per la collettività e l'essenza dell'istituto in esame non può certo ricollegarsi al solo fatto materiale di consentire all'imputato di vedere estinto il reato del quale è chiamato a rispondere, ma ha radici ben più profonde e nobili , che tendono all'eradicazione completa delle tendenze di condotta antigiuridica del soggetto e che contrastano con l'idea di un individuo semi-risocializzato. Naturalmente l'istituto de qua si colloca in una fase anteriore alla definizione del processo e nulla toglie che all'esito dello stesso, qualora ne ricorrano le condizioni di legge l'imputato potrà nell'eventuale fase esecutiva della sentenza definitoria della vicenda accedere al corrispondente istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 L. 354/75 il cui esito positivo estinguerà comunque la pena ed ogni effetto penale della stessa. Alla luce di quanto detto ed in combinato disposto con le ragioni logiche e congruamente motivate addotte dal Giudice per l'udienza preliminare nell'ordinanza impugnata, non ritiene l'odierno Collegio che ricorrano le condizione per l'annullamento dell'ordinanza stessa. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.