La donna fa notare che il pagamento di quanto dovutole dal marito non è andato a buon fine: non è calunnia

Non è colpevole del reato di calunnia la moglie che si limita a segnalare la scelta di una modalità di adempimento degli obblighi di assistenza da parte del marito, non in linea con le precedenti condotte modalità che ha reso estremamente difficile la riscossione di quanto dovutole.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 13846, depositata il 1° aprile 2015. Il caso. Il gip di Rimini dichiarava di non doversi procedere nei confronti di una donna, accusata di calunnia. Il marito, parte offesa del reato e costituitosi parte civile, contestando la ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo, in quanto la donna, pur consapevole della formazione ed invio di vaglia postali da parte del marito per adempiere agli obblighi di assistenza, non aveva provveduto al ritiro dei titoli, riferendo invece falsamente di un inadempimento, riconducibile solo al suo comportamento omissivo. Contestate le modalità. La Corte di Cassazione rileva però che la donna non aveva denunciato falsamente un inadempimento insussistente da parte del marito agli obblighi di assistenza familiare, ma la scelta di una modalità di adempimento, non in linea con le precedenti condotte, che rendeva estremamente difficile la riscossione di quanto dovutole e aveva portato all’impossibilità di entrare in possesso delle somme a lei dovute per due mesi. In altre parole, la moglie non aveva disconosciuto che l’obbligato aveva adempiuto al pagamento, anche se in forme diverse, ma si era limitata a segnalare la mancata percezione delle somme, conseguente alla nuova modalità di versamento, di cui non era smentita la verificazione. Perciò, correttamente il giudice aveva ritenuto insussistente la prova della consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato da parte della denunciante. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 marzo – 1 aprile 2015, n. 13846 Presidente Conti – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. II Gip del Tribunale di Rimini, con sentenza del 09/10/2013, ha disposto non doversi procedere nei confronti di T.S. in ordine al delitto di calunnia ascrittole, perché il fatto non costituisce reato. 2. II difensore di P., parte offesa dei reato, costituita parte civile, ha proposto ricorso con il quale si deduce vizio di motivazione con riferimento alla valutazione di insussistenza dell'elemento soggettivo, individuabile nella contezza dell'innocenza dell'incolpato nutrita dalla denunciante, che si ritiene invece di poter desumere dalla condotta tenuta dalla donna che, pur consapevole della formazione ed invio di vaglia postali da parte dei marito per adempiere agli obblighi di assistenza sullo stesso gravanti, non aveva provveduto al ritiro dei titoli, ed aveva falsamente riferito di un inadempimento nei fatti riconducibile solo al suo comportamento omissivo. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. 2. L'esame del provvedimento impugnato evidenzia che il giudicante ha fatto buon governo dei poteri rimessigli nella fase, valutando, sulla base del testo della denuncia proposta, che la donna non avesse denunciato falsamente un inadempimento insussistente da parte del marito agli obblighi di assistenza familiare, ma la scelta di una modalità di adempimento, non in linea con le precedenti condotte in tal senso, che rendeva estremamente difficile la riscossione di quanto dovutole, e nei fatti aveva prodotto l'impossibilità di entrare in possesso delle somme a lei dovute per due mensilità. L'oggettività della condizione di fatto richiamata, neppure negata dall'odierno ricorrente, ha condotto il giudicante, con motivazione coerente, ad escludere in capo alla denunciante la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato, non avendo ella disconosciuto che l'obbligato aveva adempiuto al pagamento, ancorché in forme diverse, ma si era limitata a segnalare la mancata materiale percezione delle somme, conseguente alla nuova modalità di versamento, di cui non è smentita la verificazione. Su tali elementi di fatto il giudicante ha valutato insussistente la prova della consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato da parte della denunciante, in maniera coerente rispetto alle indiscusse premesse di fatto, ed ha escluso che questa potesse raggiungersi a seguito dell'approfondimento dibattimentale, con motivazione completa e coerente, insuscettibile di censura in questa sede. 3. Al rigetto dei ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.