Moglie maltrattata, la costanza porta alla punibilità

I maltrattamenti in famiglia integrano un’ipotesi di reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di comportamenti che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12065, depositata il 23 marzo 2015. Il caso. La Corte d’appello di Napoli condannava, ai sensi dell’art. 572 c.p., un imputato per il reato di maltrattamenti nei confronti della moglie. L’uomo ricorreva in Cassazione, lamentando la mancanza del requisito dell’abitualità della condotta che gli era stata attribuita. La minaccia rivolta alla moglie era unica, le offese non erano state percepite come tali dalla donna e, infine, la decisione della moglie di abbandonare la casa coniugale era stata determinata dal bisogno di prendere un periodo di pausa, in modo tale da chiarire le incomprensioni con il coniuge. Requisito dell’abitualità. La Corte di Cassazione ricorda che i maltrattamenti in famiglia integrano un’ipotesi di reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di comportamenti che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Questi comportamenti possono consistere in percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, o in atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali. Comunque, devono essere idonei ad imporre alla persona offesa un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile. Nel caso di specie, invece, non era stata evidenziata una convivenza caratterizzata da un sistema abituale di vessazioni e di umiliazioni instaurato dal ricorrente nei confronti della moglie. Ad essere valorizzati erano la frequenza dei litigi ed il clima di tensione, con l’individuazione di un unico episodio di violenza, che aveva spinto la vittima a presentare denuncia. La convivenza era quindi difficile e mancavano i doveri di solidarietà tra i coniugi, ma non c’erano fatti in grado di realizzare una pregnante offesa dell’integrità psicofisica della vittima. Lesione morale. Anche fatti lesivi dell’integrità solo morale del soggetto passivo possono rientrare nella nozione di maltrattamenti, ma devono essere caratterizzata dalla sopraffazione sistematica e programmata, tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa, con conseguente intollerabile degenerazione del rapporto familiare. Le singole condotte possono costituire un comportamento abituale solo se rendono evidente l’esistenza di un programma criminoso animato da una volontà unitaria di vessare la vittima. Invece, nel caso di specie, a mancare era proprio l’accertamento sull’abitualità delle condotte. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione ai giudici di merito di Napoli.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 gennaio – 23 marzo 2015, n. 12065 Presidente Agrò – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa in data 15 marzo 2013 dal Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Casoria, che ha ritenuto la responsabilità di T.A. per il reato di cui all'art. 572 c.p. commesso nei confronti del coniuge, Addolorata Leone, ma ha ridotto la pena, rideterminandola in mesi otto di reclusione. 2. L'imputato ha proposto personalmente ricorso per cassazione. Con il primo motivo deduce l'errata applicazione dell'art. 572 c.p., in quanto nella specie difetterebbe il requisito dell'abitualità della condotta attribuitagli. Con il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione, rilevando che la sentenza non avrebbe tenuto conto che si è trattato di un'unica minaccia rivolta alla moglie, che le offese non avevano alcuna carica offensiva, non essendo state percepite come tali dal coniuge e che, infine, l'episodio dell'abbandono della casa coniugale da parte della Leone era stato determinato dall'esigenza di prendere un periodo di pausa per chiarire le ragioni delle incomprensioni con il marito. Considerato in diritto 3. II ricorso è fondato. I maltrattamenti in famiglia integrano un'ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di comportamenti che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Tali comportamenti possono consistere in percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche in atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali. In ogni caso, si deve trattare di comportamenti idonei ad imporre alla persona offesa un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile. Nel caso in esame dalla motivazione della sentenza impugnata non emerge una convivenza contraddistinta da un sistema abituale di vessazioni e di umiliazioni instaurato dall'imputato nei confronti della moglie i giudici hanno fatto riferimento alla frequenza dei litigi tra i coniugi e ad un clima di tensione che sarebbe stato determinato dalle offese rivolte dall'imputato alla moglie, mentre hanno individuato un unico episodio di violenza, che ha determinato la persona offesa a presentare denuncia. In altri termini, si evidenzia una convivenza difficile, conflittuale, in cui vengono a mancare i doveri di solidarietà tra coniugi, ma non risultano sottolineati fatti in grado di realizzare una pregnante offesa della integrità psicofisica della vittima, tali da farla precipitare in una condizione duratura di sofferenza e prostrazione. Nella nozione di maltrattamenti rientrano fatti lesivi dell'integrità anche solo morale del soggetto passivo, che possono consistere in parole che offendono la dignità della persona, purché tale condotta abbia i caratteri della sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa, con conseguente intollerabile degenerazione del rapporto familiare. Le singole condotte possono quindi costituire un comportamento abituale nella misura in cui rendono evidente l'esistenza di un programma criminoso animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo. In sostanza, ciò che difetta nella sentenza impugnata è proprio l'accertamento in ordine all'abitualità delle condotte in direzione di una precisa volontà di determinare una situazione di vita intollerabile per effetto della sistematica sopraffazione cui la vittima è sottoposta. 4. Le carenze rilevate nella motivazione giustificano l'annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli per un nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.