Omesso versamento delle ritenute d’acconto: la Cassazione esercita il “power to overulling”

Nel reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all’art. 10 – bis, d.lgs. n. 74/2000 la condotta si realizza in parte attraverso un comportamento omissivo, costituito dal mancato versamento entro il termine previsto delle ritenute, ed in parte attraverso un comportamento commissivo, evidenziato nella consegna delle certificazioni ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti . Essendo entrambe le condotte elementi costitutivi del reato deve affermarsi che, ai fini della sussistenza del reato, è necessario che il soggetto attivo non soltanto abbia omesso di versare all’erario l’importo delle ritenute operate quale sostituto di imposta sui compensi effettivamente versati ai sostituti, superando la soglia minima di punibilità attualmente fissata in 50.000,00 euro, ma abbia anche materialmente rilasciato ai sostituiti la relativa certificazione e che ciò sia avvenuto anteriormente alla scadenza del termine entro il quale il sostituto di imposta deve presentare la relativa dichiarazione. Spetta all’accusa fornire la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate e tale prova non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10475/15 depositata il 12 marzo. La pronuncia in commento assume straordinaria rilevanza. Essa si basa su di un precedente giurisprudenziale della stessa III sezione sentenza n. 40526/14 , che, di fatto, si proponeva, neppur troppo timidamente, di riscrivere le regole in tema di ricostruzione ed interpretazione della fattispecie incriminatrice. La Corte, proseguendo nel solco tracciato da quella pronuncia, entra prepotentemente nel tema descrivendo una vera e propria nuova fattispecie incriminatrice attraverso l’interpretazione della norma e ponendo le basi per un contrasto giurisprudenziale che, sono pronto a scommetterci, si risolverà con una pronuncia a sezioni unite. Non v’è dubbio che l’approccio della Corte, almeno di questa sezione della Corte, al tema sia di carattere garantista e, sotto l’aspetto ermeneutico, di stretta osservanza del tenore della norma e quindi, per ciò che concerne il principio di legalità, assolutamente da preferirsi rispetto a quello fin ora seguito caratterizzato da approssimazioni e scorciatoie piuttosto evidenti ed inaccettabili. Anche sotto l’aspetto strettamente connesso alle regole probatorie da seguirsi ai fini di correttamente giungere alla pronuncia sulla penale responsabilità Corte non fa sconti essa elimina qualsiasi riferimento a regole esperienziali e qualsivoglia ricorso ai scorciatoie processuali richiamando gli interpreti ad una ferma attenzione e lettura delle regole dettate in tema di processi indiziari dall’art. 192, comma 2, c.p.p Norma che, nel procedimento relativo ai reati fiscali e tributari, spesso è negletta. Rimandando ad altre sedi i necessari approfondimenti, appare necessario richiamare, pur per sommi capi, i principali contenuti e portati della pronuncia. L’art. 10 - bis del d.lgs. n. 74/2000. La norma recita chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 50.000,0 euro per ciascun anno di imposta è punito . La disposizione normativa è stata interpretata, costantemente, quale composta da due distinte ed autonome condotte di cui l’una a carattere omissivo mancato versamento e l’altra di carattere commissivo rilascio delle ritenute . Dunque, almeno fin qui, nulla di nuovo. Detta condotta, duplice, si riteneva provata attraverso prove documentali, testimoniali o indiziarie che, di fatto, finivano con l’identificarsi nella materiale allegazione del modello 770 ovvero con la dichiarazione con la quale il sostituto di imposta attestava l’ammontare di tutte le retribuzioni pagate nell’anno di imposta precedente a quello di presentazione e le ritenute su di esse operate, o, al più, attraverso la prova testimoniale in ordine al contenuto del modello citato. La pronuncia n. 40526/14 della III sez. Penale della Cassazione . Con la pronuncia richiamata la Cassazione ha cominciato ad interrogarsi, ponendola in luce, circa la differente funzione attribuita dall’ordinamento alle dichiarazioni contenute nel modello 770 e a quelle rilasciate ai sostituiti. La prima delle dichiarazioni è stata ritenuta finalizzata a far conoscere alla Agenzia delle Entrate l’entità delle somme corrisposte ai sostituiti, mentre la seconda è destinata ad attestare l’importo delle somme corrisposte dal sostituto e delle ritenute da lui operate. La Corte ha altresì posto in luce come per la prima delle dichiarazioni, in via generale, non sia prevista una data fissa di presentazione, mentre per la seconda detto termine è fissato nel 28 febbraio e ancora coma la dichiarazione ex modello 770 debba essere comunque presentata mentre le certificazioni, data la loro stessa natura, debbano essere rilasciate solo in quanto si sia provveduto a versare le ritenute. L’impossibile equiparazione tra modello 770 e rilascio delle certificazioni. Sulla scorta delle innegabili differenze tra le due certificazioni di cui si discut, la Corte ha riflettuto giungendo alla conclusione che sia impossibile inferire dal contenuto dei dati riportati nel modello 770 il concreto rilascio della certificazione ai singoli sostituiti di imposta . Se davvero fosse possibile effettuare sempre ed in ogni caso l’equiparazione fra presentazione del modello 770 e rilascio delle certificazioni, quindi ricavando dall’inoltro del modello 770 la univoca dimostrazione dell’intervenuto rilascio delle certificazioni, diverrebbe irrazionale e privo di senso lo stesso sistema normativo delineato dal legislatore con l’introduzione dell’impianto del d. l. n. 74/2000 e della novella costituita dall’articolo 10 - bis . Il che, ovviamente, è inammissibile posto che tutto l’impianto normativo si basa sul presupposto che ben possono esistere omessi versamenti di ritenute per le quali non è stata rilasciata certificazione ed omessi versamenti di ritenute per le quali è stata rilasciata certificazione. Non considerare queste peculiarità della norma, e delle condotte ad essa connesse, ovvero far discendere dalla mera presentazione del modello 770 la certezza circa la certificazione rilasciata al sostituito della ritenuta operata, genererebbe fra gli altri notevoli problemi di incompatibilità con la normativa comunitaria così come posto in evidenza dalla pronuncia della CEDU del 4 marzo 2014 sul caso Grande Stevens, posto che l’illecito amministrativo e l’illecito penale avrebbero ad oggetto il medesimo fatto e, dunque, vi sarebbe una ingiustificata duplicità di sanzioni in caso di ritenute che superino la soglia. Le regole probatorie. Dunque, se dalla mera presentazione del modello 770 non è possibile inferire il rilascio delle certificazioni ai sostituiti, è necessario descrivere, o meglio sarebbe dire dettare, quali possano essere considerate le regole probatorie da applicarsi ai fini di effettuare il giudizio in ordine dalla penale responsabilità. La Corte esclude si possa dar luogo all’applicazione dell’ id quod plerumque accidit in relazione alla presunzione che le ritenute risultanti dal modello 770 siano per ciò stesso certificate , posto che se la regola d’esperienza fosse vera il legislatore, con notevole semplificazione probatoria, avrebbe punito il mancato versamento delle ritenute riportate nella dichiarazione del modello 770 e non già la condotta descritta nell’articolo 10 - bis . Sgombrato il campo dall’applicazione della regole di esperienza, che si è mostrata inesistente, la Corte ritorna, finalmente, a considerare il disposto dell’art. 192, comma 2 del codice di rito che, come è noto, consente di dedurre ed inferire l’esistenza di un fatto da più indizi aventi le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza . La presentazione del modello 770, a ben vedere, costituisce un solo indizio che non risulta caratterizzato da gravità e precisione. Quindi ? Quindi la prova, tutt’altro che diabolica, potrà e dovrà essere fornita attraverso la documentazione disponibile presso l’Agenzia delle Entrate, che dispone delle dichiarazioni dei sostituiti, ovvero attraverso l’audizione testimoniale dei sostituiti stessi o, come dice la Corte, quanto meno di taluno di essi . Dunque spetta all’accusa fornire la prova dell’elemento costitutivo del reato che è rappresentato, anche, dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate e tale prova non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 ottobre 2014 – 12 marzo 2015, n. 10475 Presidente Squassoni – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Messina, con sentenza del 22 gennaio 2014, ha confermato la sentenza con la quale il locale Tribunale, dichiarata la penale responsabilità di C.C. in ordine al reato di cui all'art. 10-bis del dlgs n. 74 del 2000 per avere, in qualità di legale rappresentante della Croce amica servizi sanitari Srl , omesso di versare nei termini di legge e nella misura di complessivi Euro 62.421,00 le ritenute di legge operate, quale sostituto di imposta, sugli emolumenti da lei erogati nella predetta qualità nell'anno di imposta 2005 e risultanti dalle relative certificazioni rilasciate ai sostituiti, la aveva condannata alla pena di giustizia. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, la C. , deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla prova dell'elemento oggettivo del reato in particolare in ordine alla prova del materiale rilascio da parte della prevenuta delle certificazioni attestanti l'avvenuta trattenuta in qualità di sostituto di imposta, presupposto indefettibile per la sussistenza del reato contestato. In via logicamente subordinata la C. ha altresì lamentato il vizio di violazione di legge in ordine alla avvenuta dichiarazione di sua penale responsabilità pur in assenza del necessario elemento soggettivo del reato dovuta alla impossibilità economica da parte della medesima di versare quanto dovuto, nonché il vizio di motivazione in ordine alla prova della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Infine deduceva la violazione di legge od il vizio di motivazione in relazione alla mancata pronunzia della intervenuta estinzione del reato per prescrizione. Considerato in diritto Il ricorso, essendo risultato fondato il primo motivo di impugnazione, deve essere accolto col conseguente annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata. Deve rilevarsi, ai fini di una necessaria breve ricostruzione, anche diacronica, della normativa interessata, che la disposizione che si assume essere stata violata dalla ricorrente, cioè l'art. 10-bis del dlgs n. 74 del 2000, introdotta a seguito della entrata in vigore dell'art. 1, comma 441 della legge n. 311 del 2004, prevede che costituisca illecito penale la condotta di chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 50.000,00 Euro per ciascun anno di imposta . Si tratta, come è agevole rilevare analizzando il riferito precetto, di una fattispecie che dal punto di vista della condotta presenta una certa complessità ciò in quanto essa - così sostanzialmente discostandosi dal suo diretto precedente normativo, costituito dall'abrogato art. 2, comma 2, del di n. 429 del 1982, convertito con modificazioni, con legge n. 516 del 1982 al quale, come infra si vedrà, si era sostituito nel tempo l'art. 3 del di n. 83 del 1991, convertito, con modificazioni, con legge n. 154 del 1991, il quale, a sua volta, prevedeva due distinte ipotesi di reato, l'una conformata sulla precedente disciplina, l'altra anticipatrice del modello attualmente vigente - si realizza in parte attraverso un comportamento omissivo non versa entro il termine previsto ed in parte attraverso un comportamento commissivo le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti . Essendo le predette condotte elementi costitutivi del reato, deve pertanto affermarsi che, ai fini della sussistenza del reato, è necessario che il soggetto attivo di esso, non soltanto abbia omesso di versare all'Erario l'importo delle ritenute operate quale sostituto di imposta sui compensi effettivamente versati ai sostituiti, peraltro nella misura superiore alla soglia minima di punibilità ammontante ad Euro 50.000,00, ma abbia anche materialmente rilasciato ai sostituiti la relativa certificazione e che ciò sia avvenuto anteriormente alla scadenza del termine entro il quale il sostituto di imposta deve presentare la relativa dichiarazione. Secondo un l'orientamento giurisprudenziale ancora di recente seguito anche in questa stessa Sezione, e fatto proprio anche dalla Corte territoriale messinese, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova del rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto d'imposta sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti può essere fornita dal pubblico ministero anche mediante prove documentali, testimoniali o indiziarie, ivi compresa sia la materiale allegazione del modello 770 - cioè la dichiarazione con la quale il sostituto di imposta attesta l'ammontare di tutte le retribuzioni pagate nell'anno di imposta precedente a quello di presentazione e le ritenute su di esse operate - od anche la prova testimoniale in ordine al contenuto di quest'ultimo in questo senso ancora Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 maggio 2014, n. 20778 idem Sezione III penale, 12 maggio 2014, n. 19454 . Tale prevalente indirizzo è stato, però, da ultimo motivatamente contraddetto da questa stessa Sezione sulla base di una ampia serie di argomentazioni che appaiono pienamente condivisibili. Con tale decisione Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 ottobre 2014, n. 40526 in primo luogo è stato rilevato la differenza sostanziale fra le due diverse documentazioni, aventi una fonte normativa ed una finalità non comune, essendo l'una, la dichiarazione modello 770 - disciplinata dall'art. 4, comma 1 e ss, del dPR n. 322 del 1998 - volta ad informare la Agenzia delle Entrate delle somme corrisposte ai sostituiti, delle ritenute operate su di esse e del loro versamento all'Erario, mentre l'altra, la certificazione delle ritenute - prevista a sua volta dall'art. 4, comma 6-ter, del dPR n. 322 del 1998 - è destinata ad attestare l'importo delle somme corrisposte dal sostituto di imposta e delle ritenute da lui operate. Mentre per la prima non è prevista in via generale una data fissa di presentazione, le certificazioni debbono, ogni anno, essere consegnate ai sostituiti di imposta entro il 28 febbraio ancora la dichiarazione modello 770 deve essere comunque presentata dal datore di lavoro determinando la relativa omissione in ogni caso, quindi anche se si trattasse di dichiarazione negativa, un illecito amministrativo , le certificazioni, data la loro stessa natura, debbono essere rilasciate solo in quanto si sia provveduto a versare le ritenute. Siffatte differenze rendono ingiustificato inferire dal contenuto dei dati riportati nel modello 770 il concreto rilascio della certificazione ai singoli sostituiti di imposta. Ma, ove quanto già riportato non bastasse, è stato altresì ricordato, in maniera del tutto convincente, che se davvero fosse possibile effettuare sempre ed in ogni caso come nelle sentenze dianzi citate l'equiparazione fra presentazione del modello 770 e rilascio delle certificazioni - nel senso che l'inoltro del modello 770 implica e dimostra di per sé l'avvenuto rilascio delle certificazioni - allora diverrebbe irrazionale e privo di senso lo stesso sistema normativo delineato dal legislatore con l'introduzione nell'impianto del dlgs n. 74 del 2000 della novella costituita dall'art. 10-bis. Come dianzi ricordato, infatti, la normativa previgente puniva penalmente, sia pure con sanzioni diverse una volta entrato in vigore l'art. 3 del di n. 83 del 1991, convertito con modificazioni, con legge n. 154 del 1991, sia l'omesso versamento di ritenute certificate che quello di ritenute non certificate. Il legislatore del 2000 eliminò, nell'originario impianto del citato dlgs, la descritta distinzione e parificò le due ipotesi, punendole entrambe con la sola sanzione amministrativa. Con l'introduzione dell'art. 10-bis, il legislatore ha ripristinato la distinzione lasciando ferma la punizione con una sanzione amministrativa per il mancato versamento di qualsiasi tipo di ritenuta, e punendo oltre che con la sanzione amministrativa anche con la sanzione penale il mancato versamento di ritenute certificate che superino una certa soglia. Tutto l'impianto normativo si basa proprio sul presupposto che ben possono esistere e di solito esistono omessi versamenti di ritenute per le quali non è stata rilasciata certificazione ed omessi versamenti di ritenute per le quali è stata rilasciata certificazione. L'orientamento giurisprudenziale dianzi ricordato portando inevitabilmente a considerare che ogni ritenuta effettuata, sol perché documentata con la dichiarazione modello 770, debba necessariamente essere stata certificata, determina, in maniera fra l'altro tale da presentare non irrilevanti dubbi di compatibilità con la normativa comunitaria si veda a tale proposito quanto stabilito con la nota sentenza delle CEDU del 4 marzo 2014 sul caso Grande Stevens contro Italia , che l'illecito amministrativo e quello penale possano avere ad oggetto sostanzialmente il medesimo fatto, rendendo ingiustificata la duplicità di sanzioni in caso di ritenute che superino la soglia. Deve pertanto ritenersi che la sostanziale diversità ed indipendenza reciproca tra i due atti sia stata riconosciuta dalla stessa previsione normativa, punendo l'art. 10-bis, solo l'omesso versamento sopra soglia delle ritenute oggetto di certificazione e non invece l'omesso versamento delle ritenute che siano state esclusivamente indicate nella dichiarazione modello 770, per le quali varrà il regime dell'illecito amministrativo. Come è stato altresì riportato nella citata sentenza n. 40526 del 2014 di questa Corte, neppure è fondatamente possibile ritenere che sia astraibile, sulla base del id quod plerumque accidit , una regola di esperienza nel senso che le ritenute risultanti dal modello 770 siano per ciò stesso certificate, essendo senza senso dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò stesso, certificato . Ove esistesse una siffatta regola di esperienza, infatti, il legislatore ne avrebbe certamente dovuto tenere conto punendo, con notevole semplificazione probatoria, il mancato versamento delle ritenute riportate nella dichiarazione modello 770. Ma, non avendo ciò fatto, pur intervenendo anzi sulla precedente normativa che, come dianzi ricordato nella primigenia formulazione, richiedeva ai fini della rilevanza penale soltanto l'omesso versamento delle ritenute , è proprio perché era ben consapevole delle differenze strutturali e della radicale autonomia dei due distinti documenti, sicché non era possibile desumere automaticamente dall'esistenza dell'uno la sussistenza dell'altro. Né può ritenersi che la presentazione del modello 770 valga come indizio sufficiente a dimostrare l'avvenuto rilascio delle ricordate certificazioni. Invero, perché un fatto possa ritenersi provato, su base indiziaria è necessario, per la costante giurisprudenza formatasi sull'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., che la sua esistenza possa essere desunta da più indizi, aventi le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza. Nel caso in esame, la prova dell'avvenuto rilascio delle certificazioni sarebbe invece, illegittimamente, dedotta da un solo indizio, rappresentato appunto dalla presentazione del modello 770, neppure caratterizzato dalla gravità e precisione. Nella specie, la sintetica motivazione della sentenza impugnata si risolve nel mero richiamo della contestata giurisprudenza, della quale già è stata motivatamente dimostrata la inadeguatezza, secondo la quale, potendo la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro quale sostituto di imposta sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti essere fornita dal Pm con ogni mezzo, essa può derivare anche dalla sola acquisizione del modello 770 presentato dal sostituto di imposta. Questa motivazione potrebbe ritenersi adeguata ove essa dovesse concernere la sola prova della erogazione degli emolumenti e del mancato versamento delle ritenute, e quindi della fondatezza della pretesa creditoria della Agenzia delle Entrate, la cui violazione è presidiata dalla sanzione amministrativa, ma nulla dimostra in ordine all'avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni e quindi l'integrazione del delitto contestato alla ricorrente. Né, è il caso di precisare, l'attuale convinta adesione all'orientamento fatto proprio da questa Corte con la ricordata sentenza n. 40526 del 2014, ha l'effetto di far gravare sugli uffici della pubblica accusa l'onere di una probatio diabolica dal momento che la prova che dovrà essere acquisita è di assai facile reperimento o attraverso l'Agenzia delle Entrate, che dispone della documentazione dei sostituiti, ovvero mediante la diretta audizione dei sostituiti o, quanto meno, di taluno di essi. In conclusione, va ribadito il principio che, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all'art. 10-bis del dlgs n. 74 del 2000, spetta all'accusa fornire la prova dell'elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate e tale prova non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro. Nella specie, come detto, la sussistenza del reato contestato è stata desunta sulla base della sola acquisizione della dichiarazione modello 770, la quale è, mentre idonea a fornire la prova del mancato versamento delle ritenute, illecito questo sanzionato solo a livello amministrativo, non è invece idonea a provare anche l'avvenuto rilascio delle certificazioni, circostanza di fondamentale importanza in questa sede penale in quanto ne è necessaria la dimostrazione ai fini della integrazione del reato de quo agitur . La sentenza impugnata deve dunque essere annullata, essendo stato accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento dei restanti, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Reggio Calabria, stante la unicità della sezione penale della Corte di appello di Messina, la quale si atterrà al principio di diritto dianzi enunciato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria.