Il giudice deve motivare puntualmente la decisione rispetto all'applicazione della c.d. continuazione tra delitti diversi

L'onere di indagine gravante sul giudice dell'esecuzione è ampio in quanto, non potendosi limitare ad una semplicistica verifica degli elementi principali delle imputazioni, egli ha il dovere di approfondire in concreto gli aspetti più profondi della biografia giudiziaria del condannato, passando in rassegna le circostanze in cui sono stati consumati i vari delitti per inferirne l'eventuale unitaria ideazione da parte del singolo.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 8591/15, depositata il 26 febbraio, investiga la vicenda esecutiva – l'esclusione del concorso materiale puro” tra delitti accertati da differenti pronunce, divenute irrevocabili – più spesso frequentata dal penalista, fonte di sicuro interesse per l'assistito, in ragione del vantaggio che ne può ricavare sotto il profilo sanzionatorio, e di questioni esegetiche non secondarie per l'interprete. Il caso. Il giudizio a quo riguardava un soggetto destinatario di numerose condanne, per reati dichiaratamente affini nella tipologia e coevi nel tempo giudicati in Toscana con nove diverse decisioni, rese tra il 1984 ed il 2002 . Nel 2013, costui adiva la Corte d’appello di Campobasso, valendo per la competenza le note norme processuali, affinché riconducesse i fatti contestati nell'alveo del medesimo disegno criminoso, con ogni conseguenza rispetto al cumulo delle pene irrogato in concreto. La Corte molisana, tuttavia, accoglieva solo in parte la richiesta, escludendo dall'applicazione del vincolo una pronuncia del 1984 ed altre due decisioni del 1996 e, per l'effetto, rideterminando la pena inflitta in anni tre e mesi quattro di reclusione, computati ritenendo più grave la violazione accertata dal Pretore di Pisa nel 1992 – punita con anni due e mesi otto di reclusione, congiunti alla multa – ed operando l'aumento in ragione degli ulteriori numerosi reati oggetto di contestazione. L'esecutato ricorreva per Cassazione, per il tramite del suo difensore, deducendo un unico motivo, con cui si lamentavano violazione di legge penale e carenze motivazionali. Invero, malgrado si trattasse di delitti analoghi per tipologia e vicini per epoca a quelli posti in continuazione, i Giudici avrebbero omesso un compiuto apprezzamento dei presupposti stabiliti dall'art. 671 c.p., non fornendo, peraltro, alcuna giustificazione dell'accoglimento solo parziale dell'istanza proposta. La sentenza. Il ricorso, risolto in sede camerale, viene reputato fondato, annullando con rinvio alla Corte d'Appello di Campobasso, su conforme parere del Procuratore generale, l'ordinanza impugnata. L'Estensore, in parte motiva, non impiega troppe righe per censurare le carenze del provvedimento sottoposto al vaglio di legittimità, avallando integralmente le doglianze difensive e lasciando emergere tutti i limiti della valutazione operata in fase d'esecuzione. La descrizione dei vizi riscontrati sotto un duplice profilo – coerentemente denunciata con l'impugnazione – consente anche, incidentalmente, di ribadire i requisiti perché diversi delitti possano esser ritenuti parte del medesimo programma criminale. Il reato continuato e la tendenza a delinquere. Ed infatti gli Ermellini, prima di entrare nel vivo del giudizio, rammentano la posizione già espressa in passato rispetto all'inammissibilità, in subiecta materia , di meccanismi presuntivi, congetture e petizioni di principio, dovendo il giudicante appurare, caso per caso, la ricorrenza degli elementi necessari. Più in dettaglio affermano, circa la commissione di numerosi reati nel corso del tempo, che non necessariamente ciò costituisce indice significativo al contrario, quando si delinei un vero e proprio stile di vita” informato al crimine – dal quale si traggano i mezzi di sussistenza – la reiterazione della condotta criminosa è [] penalizzata da istituti quali la recidiva, l'abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere si richiama utilmente, a tal proposito, quanto statuito da Cass., n. 10917/2012 . In buona sostanza, perciò, la fase incidentale instaurata dall'interessato potrebbe divenire luogo in cui, anziché attenuare la sanzione da scontare, si pervenga ad un'inaspettata dichiarazione di pericolosità criminale. La violazione dell'obbligo di motivazione. Svolta questa doverosa premessa, il Collegio s'addentra nel caso di specie. Affiorano così tutti i limiti di una motivazione che, in violazione dell'obbligo già descritto, non ha proceduto ad una disamina analitica del modus operandi dell'interessato, delle sue abitudini di vita e, per di più, non ha tenuto conto delle decisioni precedenti dello stesso giudice dell'esecuzione. Un passaggio simile, oltre che indispensabile per poter correttamente valutare la richiesta promossa, si sarebbe imposto per constatare l'eventuale applicabilità delle diverse declinazioni di professionalità nel reato. L' iter motivazionale, dunque, per un verso è totalmente assente e, per l'altro, risulta illogico, determinando l'annullamento parziale ed il rinvio alla Corte di provenienza per la prosecuzione del giudizio. Conclusioni. Con la decisione in commento la Suprema Corte fa buon uso di indirizzi consolidati, per sanzionare le lacune dell'impianto motivo – e dell'interpretazione della disciplina sostanziale – che affliggevano l'ordinanza esecutiva. La spiegazione fornita, a dir poco succinta – un unico punto riassume, in meno di una pagina, il principio di diritto espresso – ma lineare, va esente da critiche, censurando condivisibilmente l'approssimazione nella redazione della parte motiva, che spesso – al di là di parametri strettamente bibliometrici – affligge questo tipo di provvedimenti forse in ragione del carico giudiziale, obiettivamente cospicuo . Si tratta, come bene sottolinea la I Sezione, di difetto ingiustificabile, che ne determina inequivocabilmente la cassazione. A tal proposito, il Collegio non si spinge all'annullamento senza rinvio, reputando necessario un passaggio di merito che ne esorbita i poteri, benché la rideterminazione della pena su base prevalentemente ponderale avrebbe forse consentito di giungere all'esito più radicale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 – 26 febbraio 2015, n. 8591 Presidente Giordano - Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 10/04/2014 la Corte di appello di Campobasso, quale giudice dell'esecuzione, in accoglimento parziale dell'istanza formulata da B.P. il 13/11/2013, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen., riconosceva la sussistenza del vincolo della continuazione tra le seguenti sentenze irrevocabili 1 sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 13/04/1984 2 sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 18/02/1985 3 sentenza emessa dal Pretore di Pisa, Sezione distaccata di Cecina, l'08/05/1992 4 sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 15/01/2002 5 sentenza emessa dal Tribunale di Livorno il 29/04/2002 6 sentenza emessa dal Tribunale di Pisa il 22/01/2002. Nello stesso provvedimento, inoltre, veniva rigettata, senza che il giudice dell'esecuzione si soffermasse analiticamente sulle ragioni giustificative di tale rigetto, la richiesta di applicazione del vincolo della continuazione per le seguenti sentenze irrevocabili 1 sentenza emessa dal Pretore di Lucca, Sezione distaccata di Viareggio, il 04/11/1984 2 sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 17/01/1996 3 sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 09/07/1996. Per effetto di tali statuizioni processuali si rideterminava la pena irrogata all'esecutato in anni tre e mesi quattro di reclusione, così quantificata partendo dalla pena base per il reato più grave di cui alla sentenza emessa dal Pretore di Pisa, Sezione distaccata di Cecina, l'08/05/1992, quantificata in anni due e mesi otto di reclusione e 1.291,14 Euro, ulteriormente aumentata per i reati satellite oggetto di contestazione, per un ammontare complessivo di anni uno e mesi quattro di reclusione. 2. Avvero tale sentenza il B. ricorreva per cassazione, a mezzo dell'avv. Marina Vaciago, proponendo un unico motivo, riguardante la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b , e , cod. proc. pen., in relazione all'art. 671 cod. proc. pen., conseguente alla mancanza assoluta della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della continuazione tra le sentenze emesse il 03/03/2005 dalla Corte di appello di Campobasso e il 17/01/1996 dalla Corte di appello di Firenze, alla quale si collegava l'illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. Si deduceva, in particolare, che nell'ordinanza impugnata, non veniva motivato il diniego della continuazione tra le predette sentenze, nonostante si trattasse di fatti delittuosi analoghi, per tipologia ed epoca di commissione, a quelli per i quali era stato riconosciuto il vincolo della continuazione, senza rendere alcuna motivazione sull'esclusione della continuazione e senza effettuare alcun giudizio sui tempi di commissione dei reati e sulla vicende processuali in esame. Queste ragioni processuali imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Deve, innanzitutto, rilevarsi che l'ordinanza impugnata ha omesso di considerare che, con una precedente pronuncia del 03/04/2007, richiamata dal ricorrente, il medesimo giudice dell'esecuzione aveva riconosciuto la continuazione in fase esecutiva tra i reati giudicati con la sentenza emessa il 03/03/2005 dalla Corte di appello di Campobasso e altri sedici reati, analoghi per tipologia delittuosa e commessi nello stesso arco temporale, imponendo, già sotto questo profilo, di ritenere certamente ricorrente la patologia processuale eccepita. Ne discende che le deduzioni difensive con cui si censuravano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato per l'assoluta mancanza di motivazione in ordine alla richiesta difensiva di riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nell'ordinanza e quelli giudicati con la sentenza emessa il 03/03/2005 dalla Corte di appello di Campobasso - riguardante i reati di ricettazione di titoli di credito commessi in un arco temporale analogo a quello considerato - devono ritenersi fondate. Analoghe considerazioni valgono per la sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 17/01/1996, per i quali reati era stata chiesta l'applicazione del vincolo della continuazione - e che sembrerebbero astrattamente rientrare negli stessi parametri della precedente pronuncia ex art. 671 cod. proc. pen. - sul quale nell'ordinanza impugnata non si rendeva alcuna motivazione, che pure si imponeva per le ragioni che si sono esplicitate. In questo contesto processuale, deve ulteriormente rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, ha individuato gli elementi dai quali desumere l'anticipata e unitaria ideazione da parte del singolo soggetto di una pluralità di condotte illecite, già prefigurati nel suo progetto nella loro specificità, ricordando che, in tali ipotesi, la prova deve essere desunta, dall'esistenza di indici esteriori significativi, alla luce dei dati provenienti dall'esperienza concreta, che non è possibile trascurare. In questa cornice, le singole violazioni, dedotte ai fini dell'applicazione del vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen., devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l'originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali cfr. Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, dep. 12/13/2013, Daniele, Rv. 255156 . La verifica di tali condotte delittuose, inoltre, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di mere congetture processuali, essendo necessario acquisire, caso per caso, la prova che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell'ambito di un programma unitario. Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine, perché in tal caso la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l'abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all'istituto della continuazione, preordinato al favor rei” cfr. Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, dep. 20/03/2012, Abbassi, Rv. 252950 . Nel caso di specie, tenuto conto dei parametri ermeneutici che si sono richiamati, il giudice dell'esecuzione si è limitato a considerare solo i fatti giudicati da alcune delle sentenze irrevocabili indicate nell'istanza proposta nell'interesse del B. ai sensi dell'art. 617 cod. proc. pen., senza procedere a una valutazione analitica del modus operandi del condannato e delle sue abitudini di vita - che pure si imponeva allo scopo di verificare la sussistenza dell'abitualità nel reato dell'esecutato - e senza tenere conto delle precedenti pronunce del medesimo giudice dell'esecuzione, compiendo un percorso argomentativo sorretto da una motivazione incongrua, che impone l'accoglimento del ricorso proposto nell'interesse di B.P. . Tale rivalutazione si impone tanto con riferimento alla sentenza emessa il 03/03/2005 dalla Corte di appello di Campobasso quanto con riferimento alla sentenza emessa il 17/01/1996 dalla Corte di appello di Firenze. 2. Ne discende conclusivamente che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con riferimento ai reati giudicati con le sentenze emesse il 03/03/3005 dalla Corte di appello di Campobasso e il 17/01/1996 dalla Corte di appello di Firenze, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Campobasso. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al diniego della continuazione quanto ai reati giudicati con le sentenze del 03/03/3005 dalla Corte di appello di Campobasso e del 17/01/1996 dalla Corte di appello di Firenze e rinvia per nuovo esame al riguardo alla Corte di appello di Campobasso.