L’accordo tra il contribuente e l’Erario per la rateizzazione del debito influisce sulla determinazione del sequestro per equivalente?

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione.

E’ quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6203/15, depositata l’11 febbraio. Il caso. Il Gip di Salerno emetteva decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dei beni di A.L. e F.R., indagati dei reati di omesso versamento dell’Iva e omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti. In particolare, la misura cautelare reale seguiva al fallimento di una società di cui A.L. era stato amministratore di fatto ed effettivo proprietario dalla costituzione alla dichiarazione di fallimento mentre F.R. era stato amministratore di diritto della stessa sino a pochi mesi prima il fallimento. Il Tribunale del riesame di Salerno confermava la misura ablativa, fatta salva una parziale riforma del decreto con riferimento ad una riduzione dell’ammontare del sequestro. Avverso tale decisione F.R. ricorre per Cassazione, deducendo plurimi motivi di ricorso afferenti presunte violazioni di legge e vizi motivazionali. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati alcuni di questi motivi di gravame ed ha disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza cautelare impugnata e, nel contempo, ha avuto modo di precisare alcuni importanti principi in materia di reati tributari. Il sequestro preventivo in caso di accordo con l’Erario. Secondo i Supremi Giudici, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa. Pertanto, l’avvenuto pagamento di alcuni ratei determina una riduzione del debito tributario per la corrispondente somma già versata, donde la necessità di una corrispondente riduzione del sequestro per equivalente per l’importo versato a seguito della rateizzazione. Il dolo nel reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000. La Corte Regolatrice ha precisato come non risponde del reato di omesso versamento di IVA chi, pur avendo presentato la dichiarazione annuale, non è poi tenuto, anche per fatti sopravvenuti, al pagamento dell’imposta nel termine previsto dall’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000,salvo che il pubblico ministero non dimostri che il soggetto abbia inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all’omissione del versamento, ovvero abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi ai sensi dell’art. 110 c.p., all’omissione della persona obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell’imposta dichiarata. In altri termini, il dolo generico richiesto per la punibilità del delitto, richiede che il soggetto attivo, con coscienza e volontà, presenti una dichiarazione IVA e ometta il versamento entro il termine stabilito, ovverosia entro il 27 dicembre del successivo periodo di imposta, delle somme in essa indicate in favore dell’Erario. Il contrasto giurisprudenziale sull’art. 10 bis d.lgs. n. 74/2000. Con riferimento al reato de quo, il Tribunale ha ravvisato il fumus sulla scorta del deposito dei modelli 770 da parte della società, azione valutata alla stregua di una prova dell’avvenuto pagamento dei dipendenti. Ora, in relazione a tale fattispecie, sussiste in giurisprudenza un contrasto relativamente ai presupposti per la sua configurabilità. Secondo un primo orientamento, il delitto è integrato da una condotta omissiva che si realizza con il mancato versamento – entro il termine di legge – delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta, trattandosi pertanto di un reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta, che si perfeziona con il mancato compimento di un’azione dovuta. Secondo altro indirizzo, cui il Collegio aderisce, la presentazione del modello 770 può costituire indizio sufficiente o prova dell’avvenuto versamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore dichiara di averle effettuata non può, invece, costituire altresì indizio sufficiente o prova di avere anche rilasciato le certificazioni ai sostituti, prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazioni di avere tempestivamente emesso le certificazioni.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 ottobre 2014 – 11 febbraio 2015, n. 6203 Presidente Fiale – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 5-6/2/2014, il Tribunale del riesame di Salerno, in parziale riforma del decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città il 20/11/2013, riduceva il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, eseguito sui beni di L.A. e R.F. , della somma di 431.241,20 Euro da sequestrare in forma specifica nelle casse della Salernitana calcio 1919 , per un totale confermato - quale vincolo per equivalente sui beni degli indagati stessi - di 1.464.769,80 Euro. La misura - che originava da una complessa indagine seguita al fallimento della detta società - ineriva alle contestazioni di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in ordine agli anni di imposta 2009 omesso versamento dell'Iva per 283.135 Euro e 2010 omesso versamento dell'Iva per 869.507 Euro ed omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per 743.369 Euro il vincolo era così disposto su danari, titoli ed immobili riferibili al L. per 1.163.046,00 Euro , quale amministratore di fatto ed effettivo proprietario della società dalla costituzione alla dichiarazione di fallimento 7/11/2011 , nonché sui beni nella disponibilità di R.F. per 18.060,00 Euro , amministratore di diritto fino al 14/2/2011. Con successivo decreto del 20/12/2013, il Gip salernitano estendeva il sequestro ai beni mobili nella disponibilità degli indagati, nonché - quanto al L. - a quelli che lo stesso aveva conferito al trust denominato Pi.Gi.Ma., che vedeva come trustee la moglie D.C. , beneficiari i figli P. , G. e M. , e come guardiano il difensore di fiducia del L. , Avv. Gianluca D'Aiuto l'assunto del Tribunale era che questo istituto rappresentasse un mero espediente giuridico per sottrarre i beni all'azione dei creditori - compreso l'Erario - e che avesse una evidente finalità elusiva, atteso che il patrimonio conferito sarebbe rimasto comunque nella diretta ed esclusiva disponibilità di L.A. . 2. Propone ricorso per cassazione il R. , a mezzo del proprio difensore, indicando cinque motivi, che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - violazione e falsa applicazione degli artt. 321, comma 2-bis, 322-ter, cod. pen Il Tribunale salernitano, pur riconoscendo che il sequestro per equivalente era stato disposto sui beni dell'indagato senza prima sottoporre a cautela quelli della società, non avrebbe poi applicato lo stesso principio in particolare, si sarebbe limitato a rimodellare la misura, anziché annullarla, in quanto disposta in violazione di legge - violazione e falsa applicazione dell'art. 10-ter, d.lgs. n. 74/2000, in relazione all'anno di imposta 2009. Il Tribunale, infatti, avrebbe ritenuto il fumus del reato - che invero si sarebbe consumato solo in caso di omesso versamento alla scadenza, fissata per il 27/12/2010 - senza considerare che, in precedenza, l'Agenzia delle Entrate aveva autorizzato la Salernitana 1919 al pagamento rateale del dovuto, garantito da polizza fideiussoria per circa 720.000 Euro. Ancora, alla data indicata la società aveva versato regolarmente tutte le prime rate concordate 11/5/2010 30/8/2010 30/11/2010 28/2/2011 31/5/2011 , sì che non poteva esser addebitato al ricorrente alcun inadempimento del debito Iva in oggetto. Da ultimo, lo stesso evidenzia di aver rivestito la carica di amministratore della società soltanto fino al 14/2/2011 e che, a quella data, i pagamenti rateali erano regolari, sì che nessuna violazione del contestato art. 10-bis potrebbe essere ravvisata, neppure in ordine al profilo psicologico - violazione di legge per motivazione omessa o apparente in ordine alle contestazioni relative all'anno 2010. Il Tribunale non avrebbe motivato - se non in modo apparente - sulla circostanza per la quale la Salernitana 1919 era stata dichiarata fallita il 7/11/2011, ovvero prima della scadenza del termine per il versamento dell'Iva 2010 fissato al 27/12/2011 - violazione e falsa applicazione dell'art. 10-ter citato in riferimento all'anno di imposta 2010. Il Tribunale non avrebbe tenuto in considerazione il fatto che l'intervenuto fallimento avrebbe impedito il versamento del dovuto, la cui scadenza non era peraltro maturata alla data della declaratoria del fallimento medesimo. Ancora, non avrebbe considerato - se non in maniera inadeguata e inconferente - che il R. era cessato dalla suddetta carica il 14/2/2011, quindi ben prima non solo della scadenza per il versamento dell'Iva, ma anche della presentazione della relativa dichiarazione né, inoltre, avrebbe considerato che, fino a quando l'indagato era rimasto in carica, la società aveva sempre adempiuto il suo debito Iva, versando tutte le rate previste. Nessuna responsabilità, quindi, gli potrebbe essere ascritta quanto al ritenuto dissesto sociale - violazione e falsa applicazione dell'art. 10-bis citato in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen Il Tribunale avrebbe ritenuto il fumus del delitto sulla base della sola presentazione dei mod. 770, obliterando la necessaria prova dei certificati rilasciati ai sostituiti, come richiesti dalla norma contestata. Prova che non sussisterebbe, atteso che detti documenti non sarebbero mai stati rilasciati dalla società. E considerando, ulteriormente, che il R. non avrebbe potuto rispettare il termine del 28/2/2011, previsto per legge per il pagamento in esame, essendo cessato dalla carica due settimane prima - violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., con riferimento a motivazione apparente od omessa sotto altro profilo. Il Tribunale avrebbe omesso adeguata motivazione sulla circostanza - dedotta in appello - per cui la società non aveva corrisposto le retribuzioni per l'anno 2010, con la conseguenza che non poteva operare alcuna ritenuta, né tantomeno certificarla. Considerato in diritto 3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di violazione di legge rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell'art. 606 stesso codice v., per tutte Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710 Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611 . Ciò premesso, ritiene il Collegio che l'ordinanza impugnata debba essere annullata. 4. Con riguardo al primo motivo, lo stesso non appare fondato. Il Tribunale del riesame, infatti, si è limitato ad estendere il sequestro finalizzato alla confisca anche al danaro rinvenuto presso la società, quale profitto diretto dei reati contestati sub specie di risparmio di imposta e relativi interessi, come costantemente ammesso da questa Corte per tutte, Sez. U., n. 18374 del 31/1/2013, Adami, Rv. 255036 Sez. 3, n. 11836 del 4/7/2012, Bardazzi, Rv. 254737 nel contempo, l'ordinanza ha ridotto nei medesimi termini l'ammontare complessivo del vincolo disposto - ancora per equivalente - sui beni riferibili al L. ed al R. in proprio, così portato a 1.464.769,80 Euro quale differenza tra 1.896.011,00 Euro, pari all'imposta evasa, e 431.241,20 Euro, pari alla somma rinvenuta nelle casse della società . Orbene, l'operazione compiuta dal Tribunale non può essere censurata da questa Corte come illegittima, poiché motivata nel corpo del provvedimento con argomento logico ed immune da vizi. In particolare, il Tribunale ha rilevato che la compiuta rimodulazione del sequestro - ormai in parte in forma specifica, a carico della società, in parte per equivalente, a carico degli indagati - non configurerebbe alcuna nullità dell'originario decreto non essendo ravvisabile alcun supporto normativo ai sensi dell'art. 177 cod. proc. pen. , né alcun effettivo pregiudizio per i ricorrenti ed invero, attesa l'entità non decisiva della somma rinvenuta presso la fallita rispetto all'imposta asseritamente evasa, il vincolo avrebbe dovuto comunque coinvolgere anche i beni personali degli indagati, e nei medesimi ridotti termini di cui alla stessa ordinanza del Tribunale campano. Argomento logico e ben motivato, a fronte del quale, pero, il R. si limita a ribadire la già dedotta eccezione di nullità, peraltro senza alcun riferimento alla norma che si assumerebbe violata con la più radicale delle sanzioni. 5. Il secondo motivo, invece, è parzialmente fondato. Occorre premettere, come peraltro premette anche il ricorrente, che - per pacifico indirizzo di questa Corte - il delitto di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, è di natura istantanea e si consuma con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale se superiore ai limiti di legge, come si assume nel caso in esame , entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo per tutte, Sez. U., n. 37424 del 28/3/2013, Romano, Rv. 255575 con riguardo all'anno di imposta 2009 capo c della rubrica , detto termine scadeva il 27/12/2010, data entro la quale - come l'ordinanza impugnata afferma - il debito Iva non era stato corrisposto dalla società nella sua interezza, sì da configurare - quantomeno in termini di fumus - il delitto contestato. Ciò premesso, però, osserva la Corte che l'impugnata ordinanza - chiamata a valutare la rateizzazione concessa dall'Amministrazione finanziaria con riguardo proprio al reato de quo ed adempiuta dalla Salernitana 1919, quantomeno fino al maggio 2011 - si diffonde sull'effettiva validità delle polizze fideiussorie poste a garanzia del pagamento rateale, ma tralascia di considerare la rateizzazione stessa e, soprattutto, i pagamenti effettivamente compiuti quel che avrebbe dovuto comportare, a parere del Collegio, una diversa quantificazione della somma da sottoporre a vincolo. Ed invero, per condiviso indirizzo di questa Corte, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull'intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell'imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l'ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa Sez. 3, n. 6635 dell'8/1/2014, Cavatorta, Rv. 258903 Sez. 3, n. 3260 del 4/4/2012, dep. 22/1/2013, Curro, Rv. 254679 . Orbene, l'avvenuto pagamento di ratei per un ammontare indicato in 129.453,25 Euro 25.890,65 Euro x5 rate , sul complessivo profitto derivante dal mancato pagamento dell'imposta pari a 283.135,00 Euro, determina una riduzione del debito tributario per una somma di 153.681,75, donde la necessità di una corrispondente riduzione del sequestro per equivalente per l'importo sinora versato a seguito della rateizzazione. L'ordinanza impugnata dev'essere, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Salerno che, nel rideterminare l'entità della somma sequestrabile per equivalente, si atterrà a quanto affermato da questa Corte. 6. Anche il terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati. Il Tribunale del riesame ravvisa il fumus dell'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, anche con riguardo all'anno di imposta 2010 capo d della rubrica , pur dando atto della circostanza per cui il R. aveva ricoperto la carica di amministratore della Salernitana 1919 soltanto fino al 14/2/2011, e che la società era stata dichiarata fallita il 7/11/2011 ciò in quanto, come si legge nell'ordinanza, se è vero che il momento consumativo deve fissarsi al 27/12/2011 . , è anche vero che, anche durante la sua gestione, fino al 14/2/2011, si sono realizzate le condizioni perché la società non avesse più disponibilità per i compiere i relativi versamenti di imposta”. Con l'effetto che i legali rappresentanti della Salernitana calcio 1919, ciascuno per il proprio tempo e per gli effetti della propria condotta sulle casse sociali non dichiarati falliti, avrebbero dovuto procedere comunque al pagamento di detta imposta”. Orbene, queste considerazioni non fanno buon governo del principio - pienamente condiviso dal Collegio - in forza del quale non risponde del reato di omesso versamento di Iva chi, pur avendo presentato la dichiarazione annuale, non è poi tenuto, anche per fatti sopravvenuti, al pagamento dell'imposta nel termine previsto dall'art. 10 ter D.Lgs. n. 74 del 2000, salvo che il pubblico ministero non dimostri che il soggetto abbia inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all'omissione del versamento ad esempio, dismettendo artatamente la carica di amministratore della persona giuridica soggetto Iva ovvero abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi a norma dell'art. 110 cod. pen., all'omissione della persona obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell'imposta dichiarata Sez. 3, n. 12248 del 22/1/2014, Faotto, Rv. 259808 . In particolare, questa pronuncia - peraltro relativa ad una caso in cui il soggetto aveva comunque presentato la dichiarazione Iva, a differenza del R. , cessato dalla carica prima anche di questa scadenza - muove dal presupposto per cui quello in esame non è un reato a condotta esclusivamente omissiva, ma a condotta mista , in cui la componente attiva è riconducibile alla presentazione della dichiarazione annuale Iva, da cui emerga un debito di imposta superiore alla soglia di legge, mentre quella omissiva - su cui è incentrato l'intero disvalore della fattispecie - è rappresentata dall'omesso versamento dell'imposta, liquidata dal contribuente nella relativa dichiarazione ne consegue che il dolo generico, richiesto per la punibilità del delitto, richiede che il soggetto attivo, con coscienza e volontà , presenti una dichiarazione Iva e ometta il versamento entro il termine stabilito, ovverosia entro il 27 dicembre del successivo periodo d'imposta, delle somme in essa indicate a favore dell'Erario. In forza di ciò, il delitto può ritenersi perfezionato solo se, alla data citata, il soggetto tenutovi non effettui dolosamente il versamento dell'imposta dichiarata con l'effetto che, qualora questi non coincida con colui che ha già presentato la dichiarazione Iva e, a maggior ragione, come nel caso del L. , non coincida neppure con quest'ultimo , la responsabilità per il delitto in esame può esser ravvisata soltanto se si provi l'esistenza di un'inequivoca preordinazione soggettiva della condotta rispetto all'omissione penalmente rilevante quale, ad esempio, un fatto volontario finalizzato artatamente alla dismissione della carica di amministratore , oppure l'esistenza, da parte di ha presentato la dichiarazione, di un contributo causale, materiale o morale - da valutarsi a norma dell'art. 110 cod. pen. -, all'omissione di chi, al momento della scadenza, sia obbligato al versamento dell'imposta dichiarata. Orbene, questa prova non risulta fornita dal Tribunale territoriale, il quale - come già esposto - fonda il fumus del delitto di cui all'art. 10-ter in oggetto, nei confronti del R. , soltanto sulla carica dallo stesso ricoperta fino al febbraio 2011 e sulla decozione societaria che egli avrebbe contribuito a provocare fino ad allora, senza affatto esaminare la configurabilità di quella preordinazione soggettiva al momento , ovvero di quel contributo causale con l'autore dell'omissione alla scadenza dell'obbligo , che invece appaiono necessari per fondare anche solo un'ipotesi di responsabilità penale. 7. Quanto, infine, al quinto motivo del ricorso, lo stesso concerne il delitto di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, contestato ancora per l'anno di imposta 2010 capo e della rubrica , ed il relativo fumus è ravvisato dal Tribunale alla luce del deposito dei modelli 770 da parte della stessa Salernitana 1919 quel che costituirebbe una confessione dell'avvenuto pagamento dei dipendenti. Orbene, osserva la Corte in primo luogo che, con riferimento all'anno di imposta citato, il termine per la consegna delle certificazioni ai sostituiti era fissato - giusta art. 4, comma 6-quater, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 - al 28 febbraio 2010 il che avrebbe imposto al Tribunale del riesame, con riguardo al R. , un'attenta verifica di quella stessa preordinazione o di quello stesso concorso già richiamati nel capoverso precedente con riguardo al delitto di cui all'art. 10-ter citato. In ogni caso, osserva il Collegio che, data la lettera dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, occorre valutare se indizio sufficiente grave, preciso e concordante per la configurabilità del reato possa esser ritenuta la sola presentazione, da parte del datore di lavoro, del modello 770 orbene, rileva la Corte che - nella stessa sede di legittimità - si riscontrano al riguardo due indirizzi contrapposti. 5. Secondo il primo, più volte ribadito, il delitto è integrato da una condotta omissiva che si realizza con il mancato versamento - entro il termine di legge - delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d'imposta si tratta, quindi, di un reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta, che si perfeziona con il mancato compimento di un'azione dovuta non facere quod debetur . Tale natura, peraltro, non risulta offuscata dal necessario accertamento di due presupposti in fatto - ancora richiesti dall'art. 10-bis in esame - di natura palesemente commissiva in primo luogo, l'effettivo versamento delle retribuzioni oggetto di ritenuta in secondo luogo, il rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Con riguardo a queste ultime, in particolare, la Corte di legittimità ha rilevato che il relativo adempimento non rappresenta un elemento costitutivo del reato come invece afferma il ricorrente , ma soltanto un mero presupposto della condotta illecita, della quale non elide la natura propriamente omissiva in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 33187 del 12/6/2013, Buzi, Rv. 256429 ad opinare in senso contrario, infatti, si dovrebbe concludere che il rilascio della certificazione costituisce parte del fatto tipico in termini oggettivi e psicologici , la cui materialità richiederebbe, pertanto, la sommatoria di una condotta necessariamente mista omissiva quanto al mancato versamento ed attiva quanto al rilascio della certificazione . Cionondimeno, a parere di questo indirizzo, proprio perché comunque presupposto del reato ex art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, il rilascio delle certificazioni deve esser sempre provato. Orbene, questa Corte ha più volte sostenuto - con riferimento a fattispecie nelle quali è stata ritenuta sufficiente la allegazione dei mod. 770, così come la testimonianza del funzionario dell'Agenzia delle Entrate sul punto - che, nel reato in esame, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro può essere fornita dal pubblico ministero anche mediante risultanze documentali, testimoniali od indiziarie Sez. 3, n. 20778 del 6/3/2014, Leucci, Rv. 259182 Sez. 3, n. 33187 del 12/06/2013, Buzi, Rv. 256429 Sez. 3, n. 1443 del 15/11/2012, dep. 11/1/2013, Salmistrano, Rv. 254152 . Con la conseguenza che - con riferimento ad attestazioni, contenute nella dichiarazione annuale mod. 770 , provenienti dallo stesso sostituto d'imposta, nelle quali sono puntualmente indicate le certificazioni rilasciate ai sostituiti e riportati i dati circa le ritenute operate - non si pone tanto una questione di mancato rilascio delle certificazioni, quanto di ripartizione degli oneri probatori, incombendo al pubblico ministero di provare i fatti costitutivi dell'addebito contestato, tra cui, per quanto qui interessa, il rilascio delle certificazioni. Per contro, incombe all'imputato l'onere di provare, qualora il pubblico ministero abbia assolto le proprie incombenze, i fatti estintivi o modificativi che paralizzino la pretesa punitiva , con la conseguenza che la pura e semplice affermazione del ricorrente di non avere rilasciato le certificazioni ai sostituiti o di non aver retribuito i dipendenti, e di conseguenza neppure operato le ritenute, non è idonea all'assolvimento dell'onere probatorio a suo carico e dunque non lo esonera dalle responsabilità, al cospetto di prove documentali provenienti dallo stesso imputato o testimoniali, che a queste si riferiscano, che comprovino il contrario. 6. Secondo un diverso indirizzo, invece, al quale aderisce questo Collegio, la prova dell'elemento costitutivo rappresentato dal rilascio delle certificazioni ai sostituiti, il cui onere incombe sull'accusa, non può essere rappresentata dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro Sez. 3, n. 40526 dell'8/4/2014, Gagliardi, Rv. 260090 . Al riguardo, questa Corte ha affermato che il delitto in esame presenta una componente omissiva il mancato versamento nel termine delle ritenute effettuate ed una precedente componente commissiva, consistente a sua volta in due distinte condotte a il versamento della retribuzione con l'effettuazione delle ritenute b il rilascio ai sostituiti delle certificazioni, prima dello spirare del termine previsto per la presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta. Trattandosi di elementi costitutivi del reato, è dunque onere dell'accusa fornire la prova della loro sussistenza. Ne deriva che la presentazione del modello 770 può costituire indizio sufficiente o prova dell'avvenuto versamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore di lavoro dichiara di averle appunto effettuate. Non può, invece, costituire altresì indizio sufficiente o prova di avere anche rilasciato le certificazioni ai sostituiti, prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni”. Ancora, la citata sentenza Gagliardi evidenzia che da nessuna casella o dichiarazione contenuta nei modelli 770 emerge che il sostituto attesta sia pure indirettamente o implicitamente di avere rilasciato ai sostituiti le relative certificazioni. Non solo. La stessa pronuncia evidenzia che i due atti dichiarazione modello 770 e certificazione rilasciata ai sostituiti presentano differenze sostanziali tali da non consentire di ritenere, automaticamente, che l'uno non possa risultare indipendente dall'altro. Si tratta, infatti, di documenti disciplinati da fonti distinte, rispondenti a finalità non coincidenti e che non devono essere consegnati o presentati contestualmente la certificazione delle ritenute è regolata, per quanto interessa, dall'art. 4, comma 6-ter, del d.P.R. n. 322/1998 ed ha la funzione di attestare l'importo delle somme corrisposte dal sostituto di imposta e delle ritenute da lui operate e deve esser consegnata entro il 28 febbraio di ogni anno diversamente, la dichiarazione mod. 770 è disciplinata dall'art. 4, comma 1 e segg., d.P.R. n. 322/1998, ed è destinata ad informare l'Agenzia delle Entrate delle somme corrisposte ai sostituiti, delle ritenute operate sulle stesse e del loro versamento all'erario e deve essere inoltrata nella data fissata volta per volta dal legislatore . I due documenti, pertanto, sono formalmente e sostanzialmente diversi. E con l'ulteriore precisazione per cui, mentre le certificazioni debbono essere emesse soltanto quando il datore ha provveduto a versare le ritenute, la dichiarazione va invece obbligatoriamente presentata entro il termine stabilito per legge salvo, in caso contrario, l'applicazione di sanzioni amministrative . Con la conseguenza - fissata dalla sentenza n. 40526/2014 di questa Sezione - che è perciò impossibile, proprio a causa del differente contenuto e funzione dei due atti, desumere, dai dati riportati nel modello 770, il concreto rilascio, ad uno o più sostituiti di imposta, del relativo certificato” ed ancora, che la sola presentazione del modello 770 non è di per sé in grado di escludere il ragionevole dubbio che le certificazioni, invece, non siano mai state date ai dipendenti”. Dal che la necessità di un ulteriore accertamento sul punto da parte del Tribunale di Salerno, in ossequio al principio di diritto appena menzionato. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata nei confronti di R.F. con rinvio al Tribunale di Salerno.