Aggravanti, recidiva e prescrizione: un rapporto intricato

In tema di reato per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, il momento della consumazione deve essere individuato nel giorno 16 del mese successivo a quello a cui si riferiscono i tributi. In caso di recidiva, ed in assenza di specifici riferimenti nel capo d’imputazione, si ritiene applicabile il comma 4 dell’art. 99, c.p. e, di conseguenza, il periodo di tempo per l’intervento della prescrizione deve essere computato in riferimento alla pena edittale massima, su cui sia operato l’aumento per recidiva, in quanto aggravante speciale.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza 3391/15, depositata il 26 gennaio. Il fatto. La Corte d’appello di Varese dichiarava di non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, nei confronti dell’imputato per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, relative al periodo intercorso tra febbraio e giugno 2005, con recidiva ai sensi dell’art. 99, comma 4. Il p.m. presso il locale Tribunale ricorre in Cassazione, osservando che il giudice di merito ha erroneamente considerato, quale data di consumazione del reato, il periodo a cui si riferiscono i contributi non corrisposti, mentre invece il reato in discussione si consuma al termine di tre mesi dalla contestazione del mancato versamento. A ciò si aggiunga la doglianza relativa all’omessa considerazione dell’aumento della pena edittale per recidiva, rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione. La decorrenza della prescrizione. Per quanto riguarda il vizio lamentato in riferimento all’individuazione della data di consumazione del reato, la Cassazione dichiara infondato il motivo di ricorso e, richiamando varie precedenti pronunce, riconferma la necessità di individuare il momento in cui il reato in oggetto si consuma nel giorno 16 del mese successivo a quello a cui si riferiscono i contributi non versati. Trattandosi infatti di reato omissivo istantaneo, la consumazione si ha nel momento in cui scade per il datore di lavoro il termine ultimo concesso per il versamento. Non rileva dunque la data della notificazione dell’intimazione di pagamento entro i tre mesi successivi. Incorre in errore dunque il p.m. ricorrente nell’individuare la consumazione del reato al termine dei tre mesi dalla contestazione del mancato versamento. Nel caso concreto il giudice ha dunque correttamente individuato il momento di consumazione del reato nel 16 luglio 2005. La rilevanza della recidiva ai fini della prescrizione. In riferimento invece al secondo motivo di ricorso, cioè alla mancata computazione della recidiva ai fini della determinazione del periodo necessario per la prescrizione del reato, la Cassazione sottolinea come, anche volendo considerare l’aumento di pena importato dalla contestazione della recidiva, il termine di prescrizione rimarrebbe invariato. Il p.m. ricorrente sostiene invece che, considerando che il reato è punito con la reclusione inferiore ai 6 anni, il termine minimo di prescrizione è appunto di 6 anni. Su tale termine dovrebbe poi applicarsi l’aumento per la recidiva della metà o di due terzi, a seconda del tipo di recidiva contestata. L’assunto è chiaramente infondato, essendo palese dal testo dell’art. 157, c.p. che la prescrizione estingue il reato a causa del decorso del tempo corrispondente al massimo della pena edittale prevista, periodo che non può comunque essere inferiore ai 6 anni. Considerando inoltre che per determinare il tempo necessario alla prescrizione si deve considerare la pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, rimanendo irrilevanti le circostanze attenuanti ed aggravanti, escluse le aggravanti speciali, tra cui la recidiva, risulta in conclusione che si deve tener conto dell’aumento massimo per la recidiva medesima per determinare la pena edittale massima, in base alla quale va poi determinato il tempo necessario per la prescrizione. I giudici di merito, rileva la Suprema Corte, hanno correttamente applicato le regole così esposte e dunque il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 novembre 2014 – 26 gennaio 2015, n. 3391 Presidente Fiale – Relatore Franco Svolgimento del processo A P.V.D. venne contestato il reato di cui all'art. 2, comma 1 bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, per avere omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti per il periodo tra il febbraio 2005 ed il giugno 2005 per la somma complessiva di Euro 468,00, con la recidiva di cui all'art. 99, comma 4, cod. pen Il giudice del tribunale di Varese, con la sentenza in epigrafe, dichiarò non doversi procedere perché il reato era estinto per prescrizione. Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Varese propone ricorso per cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Osserva che erroneamente il giudice è partito dal presupposto che la data di consumazione del reato coincida con il periodo al quale si riferiscono le mensilità contributive non corrisposte. Al contrario, così come contestato, il reato si consuma alla scadenza del termine di tre mesi dalla contestazione, entro i quali si può provvedere alla scadenza del debito contributivo, ossia nel caso di specie dal 10.1.2010. In secondo luogo deduce che era stata contestata la recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen. ed il giudice avrebbe dovuto tenerne conto ai fini del termine di prescrizione oppure motivare sulla esclusione della recidiva. Andava poi calcolato il termine di sospensione di cui all'art. 2, comma 1 quater, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638. Motivi della decisione Il ricorso del PM è infondato. Per quanto riguarda il primo motivo, infatti, può ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali art. 2, comma primo bis, D.Lgs. 12 settembre 1983 n. 463, conv. in L. 11 novembre 1983, n. 638 si consuma il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi e, per le condotte commesse fino all'8 dicembre 2005, data di entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, é applicabile la previgente e più favorevole disciplina della prescrizione ” Sez. III, 21.2.2012, n. 10974, Norelli, Rv. 252367 Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali art. 2, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in L. 11 novembre 1983, n. 638 , in quanto reato omis-sivo istantaneo, si consuma nel momento in cui scade il termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento, termine attualmente fissato, dall'art. 2, comma primo, lett. b del D.Lgs. n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi. In motivazione la Corte, nell'enunciare tale principio, ha ulteriormente affermato che, ai fini dell'individuazione del momento consumativo non rileva la data della notifica dell'intimazione di pagamento nei tre mesi successivi alla contestazione, termine la cui rilevanza è limitata all'eventuale sussistenza della causa di non punibilità di cui all'art. 2, comma primo bis, del citato D.L. ” Sez. III, 16.4.2009, n. 20251, Casciaro, Rv. 243628 conf. Sez. III, 14.12.2010, n. 615 del 2011, Ciampi, Rv. 249164 . Del tutto erroneamente, quindi, nel capo di imputazione è stata indicata come data di consumazione il termine di tre mesi dalla notificazione dell'avviso di accertamento, notificazione della quale peraltro nel ricorso non è nemmeno indicato se, come e quando sia eventualmente avvenuta. Esattamente, invece, il giudice ha ritenuto che la consumazione dell'ultimo dei reati era da fissarsi al 16 luglio 2005. Stante la mancanza di qualsiasi indicazione, anche nel ricorso, dell'avvenuta notificazione dell'avviso di accertamento, non è possibile nemmeno calcolare i tre mesi di sospensione del corso della prescrizione. Del resto, anche qualora si potessero calcolare questi tre mesi, la prescrizione sarebbe comunque già decorsa alla data di emissione della sentenza impugnata. Quanto al secondo motivo, può osservarsi che quand'anche fosse stata ritenuta la recidiva contestata, in ogni caso il termine di prescrizione sarebbe stato di sette anni e mezzo, come correttamente ritenuto dal giudice. Difatti, in mancanza di ulteriori specificazioni nel capo di imputazione, dovrebbe ritenersi che si tratti della recidiva di cui al comma quarto in relazione al comma primo dell'art. 99 cod. pen., sicché l'aumento di pena avrebbe dovuto essere della metà. Il reato in questione prevede la pena della reclusione fino a tre anni oltre alla multa. Con l'aumento per la recidiva, pertanto, la pena detentiva edittale massima sarebbe stata di quattro anni e mezzo. Conseguentemente, applicando sia la vecchia sia la nuova normativa sulla prescrizione, il termine prescrizionale sarebbe stato in ogni caso di sette anni e mezzo. Qualora invece si dovesse ritenere che - pur in mancanza di specifica contestazione - si trattasse della recidiva di cui all'art. 99, comma quarto in relazione al comma secondo, cod. pen., allora, con l'aumento di due terzi per la recidiva, il massimo della pena detentiva edittale sarebbe stato di anni cinque di reclusione. In tal caso, però, si sarebbe dovuto applicare - perché più favorevole - il nuovo testo dell'art. 157 cod. pen., e non quello vigente al momento della commissione del reato, con la conseguenza che il termine prescrizionale sarebbe stato ugualmente di sette anni e mezzo. Il pubblico ministero ricorrente sostiene invece che, trattandosi di una circostanza aggravante ad effetto speciale, il giudice avrebbe dunque dovuto, non già calcolare la recidiva sul termine di anni sei elevato di un quarto, bensì calcolare il termine di prescrizione tenendo conto dell'aumento massimo di pena derivante dall'applicazione della recidiva” . Secondo il pubblico ministero ricorrente, pertanto, il massimo della pena edittale ai fini del calcolo della prescrizione è non già di anni sei ma di anni 10 nel caso di recidiva reiterata infraquinquennale o specifica e di anni nove nel caso di recidiva reiterata ex art. 99 commi primo e quarto cp. ”. Se ben si comprende, quindi, la tesi del ricorrente sarebbe la seguente poiché si tratta di reato con pena edittale inferiore a sei anni, il termine minimo di prescrizione del reato è di sei anni. Su questo termine prescrizionale si dovrebbe quindi applicare l'aumento per la recidiva della metà o di due terzi a seconda del tipo di recidiva. Quindi, il termine minimo di prescrizione per il reato aggravato dalla recidiva sarebbe appunto di nove o di dieci anni. Nel caso di interruzione, su questi termini dovrebbe poi applicarsi l'aumento di un quarto. La tesi è chiaramente infondata, perché in tal modo l'aumento per la recidiva ai fini del calcolo della prescrizione viene applicato non sulla pena edittale massima del reato base bensì sul termine di prescrizione del medesimo reato. Il testo del primo comma dell'art. 157 cod. pen. non sembra lasciare dubbi sulla sua interpretazione nello stabilire che la prescrizione estingue il reato decorso U tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge” . La regola fondamentale è dunque che il reato si estingue con il tempo corrispondente al massimo della pena edittale. Per calcolare il termine prescrizionale occorre perciò individuare qual è il massimo della pena edittale e non qual è il termine minimo di prescrizione . Per il reato in esame, il massimo della pena edittale è appunto di tre anni per il reato base e, nel caso di reato aggravato dalla recidiva, di cinque ovvero di sei anni. È questo pertanto il tempo necessario per prescrivere. Poiché nella prima di queste due ultime ipotesi il massimo della pena edittale per il reato aggravato dalla recidiva è di cinque anni, deve poi trovare applicazione l'altra regola posta, in via subordinata, dalla seconda parte del primo comma dell'art. 157, secondo cui la prescrizione estingue il reato decorso comunque un tempo non inferiore a sei anni ”. Del resto appare anche significativo il fatto che la norma di cui alla prima parte del primo comma dell'art. 157 usa l'articolo determinativo, appunto ad indicare che il tempo corrispondente al massimo della pena edittale da prendere in considerazione per il reato base o aggravato è univoco mentre la norma della seconda parte del comma si applica ad un numero indeterminato di casi in cui la pena massima è inferiore a sei anni per i delitti ed a quattro anni per le contravvenzioni. Questa interpretazione appare confermata anche dal secondo comma dell'art. 157, il quale pone la regola che per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto di attenuanti ed aggravanti, mentre per stabilire la pena massima nel caso di aggravante ad effetto speciale - qual è nella specie la recidiva – si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante ”. Questa norma stabilisce in maniera inequivocabile che si deve tenere conto dell'aumento massimo per la recidiva appunto per determinare la pena massima editale stabilita dalla legge per il reato aggravato, pena massima in base alla quale va poi determinato il tempo necessario a prescrivere ai sensi del primo comma dell'art. 157. Il ricorso del pubblico ministero deve pertanto essere rigettato. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso del pubblico ministero.