Macchina contro una processione: la fiducia nel genere umano non salva dalla pena

Il reato di omissione di soccorso in caso di investimento non sussiste soltanto qualora l’investito non riporti alcuna lesione, se la necessaria assistenza sia stata prestata da altri oppure nel caso in cui l’investitore deleghi ad altri il compito. Questi fatti devono essere accertati prima che l’investitore si allontani dal luogo dell’incidente.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 3453, depositata il 26 gennaio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Torino condannava un’imputata per aver investito sei persone, causando la morte di due vittime e lesioni per le altre quattro, guidando in stato d’ebbrezza e non fermandosi per prestare assistenza alle persone ferite. La donna ricorreva in Cassazione, deducendo di aver investito delle persone che, insieme a molte altre, stavano partecipando ad una processione sacra. Perciò, i feriti erano stati immediatamente soccorsi, con la conseguenza che la ricorrente si era allontanata con la certezza che l’assistenza necessaria sarebbe stata prestata dalle persone presenti. Prima di scappare, verificare la situazione. La Corte di Cassazione, però, ricorda alla ricorrente che il reato di omissione di soccorso in caso di investimento non sussiste soltanto qualora l’investito non riporti alcuna lesione, se la necessaria assistenza sia stata prestata da altri oppure nel caso in cui l’investitore deleghi ad altri il compito. Dato che questi fatti devono essere accertati prima che l’investitore si allontani dal luogo dell’incidente, il reato è configurabile se non ci si fermi e ci si dia alla fuga, senza che rilevi il fatto che l’assistenza sia stata prestata da altri, se l’investitore ignora questa circostanza, essendo già fuggito. Nel caso di specie, la fuga immediata senza accertarsi circa l’effettiva attivazione dei soccorsi da parte dei terzi non permetteva di ritenere insussistente il reato. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 dicembre 2014 – 26 gennaio 2015, numero 3453 Presidente Romis – Relatore Marinelli Ritenuto in fatto Con sentenza in data 26 ottobre 2012 il G.U.P. del Tribunale di Cuneo, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava Rinaldo Patrizia colpevole in ordine ai reati di cui agli articoli 589 I e III comma numero l e ultimo comma c.p. capo a ,81 c.p., 189 numeri 6 e 7 del Codice della Strada capo b , 186 commi 2 lett. c e 2 bis del Codice della Strada capo c , 186 numero 7 del Codice della Strada capo d e la condannava per il delitto sub a alla pena di anni 3 e mesi 3 di reclusione,per il delitto sub c alla pena di anni uno di arresto ed euro 6.000 di ammenda, per i delitti sub b e d , ritenuta tra essi la continuazione, alla pena di anni uno di reclusione. Alla Rinaldo era stato contestato di avere cagionato la morte di B.G. e Viale Margherita, nonché lesioni a S.A.M., A.C., C.C., V.M.e D.F., investendoli con la propria autovettura, per colpa consistita nell'avere guidato in stato di ebbrezza alcolica, non regolando la velocità del mezzo in modo da evitare pericolo per la sicurezza delle persone, e non conservandone il controllo in modo da essere in grado di arrestarsi, tenuto conto della presenza di pedoni che stavano attraversando la carreggiata partecipando ad una processione sacra, così investendoli. All'imputata era stato altresì contestato di non avere ottemperato all'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite capo b della rubrica . Avverso la sentenza di cui sopra proponeva appello la difesa dell'imputata. La Corte di Appello Torino in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, riconosciute le attenuanti generiche, rideterminava la pena per il reato di cui all'articolo 590 c.p. in anni due, mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo a , rideterminava la pena per il reato di cui al capo c in mesi sei di arresto ed euro 3.000 di ammenda, per i reati di cui ai capi b e d , già riuniti in continuazione, in mesi otto di reclusione, confermava nel resto. Avverso la predetta sentenza Rinaldo Patrizia, a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione e concludeva chiedendone l'annullamento per il seguente motivo violazione degli articoli 606 lett. b ed e , 530 c.p.p., 189 comma VII del Codice della Strada. Secondo la difesa non era condivisibile la motivazione della sentenza impugnata in relazione al reato di omissione di concorso in quanto carente e in contraddizione con le risultanze in atti laddove aveva affermato la sussistenza del reato in considerazione della fuga immediata senza alcun accertamento circa la effettiva attivazione dei soccorsi da parte dei terzi . Osservava la difesa che nella fattispecie che ci occupa la ricorrente aveva investito persone che, unitamente a molte altre, stavano partecipando in gruppo ad una processione. Pertanto era evidente che i feriti in una tale situazione erano stati immediatamente soccorsi, come risultava dalle dichiarazioni dei testi C.C.,P.D. e A.F La ricorrente pertanto si sarebbe allontanata dal luogo del sinistro con la piena e fondata certezza, raggiunta prima ancora di proseguire la marcia, che la necessaria assistenza veniva prestata dalle numerosissime persone presenti. Considerato in diritto OSSERVA LA CORTE DI CASSAZIONE che i proposti motivi di ricorso non sono fondati. Per quanto attiene al difetto di motivazione, si osserva cfr. Cass., Sez.4, Sent. numero 4842 del 2.12.2003, Rv. 229369 che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ciò in quanto l'articolo 606, comma 1, lett.e c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della Corte di appello di Torino hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la sussistenza della responsabilità della Rinaldo in ordine al reato di omissione di soccorso ascrittole. In particolare hanno evidenziato che era pacifico che la Rinaldo era fuggita sulla sua autovettura subito dopo l'incidente, senza prestare soccorso ai feriti e senza neppure effettuare una breve sosta, non ottemperando quindi all'obbligo di fermarsi, non consentendo la sua immediata identificazione e non prestandosi alla ricostruzione dei fatti. Veniva a tal proposito fatto riferimento alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte cfr, tra le altre, Cass., sez.4, sent. numero 4380 del 2.12.1994, R.201501 secondo cui il reato di omissione di soccorso in caso di investimento non sussiste allorchè l'investito non riporti alcuna lesione o quando la necessaria assistenza sia stata prestata da altri ovvero l'investitore ne deleghi ad altri il compito. Poiché, però, tali fatti devono essere accertati prima che l'investitore si allontani dal luogo dell'incidente, il reato è configurabile tutte le volte che questi non si fermi e si dia alla fuga a nulla rilevando che in concreto l'assistenza sia stata prestata da altri, se l'investitore ignori la circostanza perché è fuggito. Pertanto i giudici della Corte territoriale hanno ritenuto che, nella fattispecie che ci occupa, la fuga immediata senza alcun accertamento circa la effettiva attivazione dei soccorsi da parte di terzi lascia sussistere il reato, non potendo rilevare lo stato di shock in cui si sarebbe trovata la ricorrente al momento della fuga, potendo tale stato al massimo essere preso in considerazione ai fini della determinazione della pena ex articolo 133 c.p. anche su tale punto veniva citata pertinente giurisprudenza di questa Corte . Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.