Macchina in divieto di sosta e responsabilità proprietario: nesso tra condotta violatrice ed evento

In materia di incidenti da circolazione stradale, l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti generali di comune prudenza non può di per sé far presumere l’esistenza della causalità tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o è stato comunque determinato esclusivamente da una causa diversa.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3282, depositata il 23 gennaio 2015. Il fatto. Le persone offese e le parti civili propongono ricorso contro la sentenza della Corte d’appello con la quale assolveva l’imputata dal reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale. La Corte di merito escludeva che la condotta dell’imputata proprietaria di un’autovettura lasciata in sosta irregolare avesse avuto un’efficacia causale nella produzione dell’evento. Con unico motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della legge penale con riferimento al nesso di causalità. In primo luogo, il Collegio ritiene tale ricorso inammissibile in quanto è stato sottoscritto personalmente dalle parti civili con autentica della firma da parte del difensore, all’epoca non ancora cassazionista. Comunque, il ricorso è manifestamente infondato anche nel merito. Dimostrare il nesso in concreto tra la condotta violatrice e l’evento. La Corte territoriale, infatti, nell’assolvere la proprietaria del mezzo in divieto di sosta, ha fatto corretta applicazione del principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in base al quale, in materia di incidenti da circolazione stradale, l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti generali di comune prudenza non può di per sé far presumere l’esistenza della causalità tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o è stato comunque determinato esclusivamente da una causa diversa. Ciò perché, per poter affermare la responsabilità, occorre non solo la causalità materiale tra condotta ed evento dannoso, ma anche la c.d. causalità della colpa , ossia la dimostrazione del nesso in concreto tra la condotta violatrice e l’evento. Sulla base di tale orientamento, correttamente i Giudici del merito hanno ritenuto che la condotta contestata all’imputata, dell’aver parcheggiato l’auto in divieto di sosta, non aveva avuto effetto nella verificazione dell’incidente, provocato esclusivamente dalla pericolosa condotta di guida del conducente dell’autovettura. Per tali ragioni, la S.C. rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 dicembre 2014 – 23 gennaio 2015, n. 3282 Presidente Zecca – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto F. A., R. C., C. D. e R. A., nella qualità di persone offese e parti civili, propongono personalmente ricorso con firme autenticata dal difensore avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva P. C. dal reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale in danno R. F. fatto del 16.7.2009 , con la formula per non aver commesso il fatto. Il procedimento traeva origine dall'incidente stradale in cui era l'autovettura condotta da tale O. Y. il quale patteggiava la pena giunta ad un'intersezione con l'obbligo di dare la precedenza, veniva a collisione con il motociclo condotto dal R., che nell'urto perdeva la vita. Secondo l'imputazione il decesso veniva attribuito anche alle azioni colpose indipendenti dei proprietari di due autovetture lasciate in sosta irregolare, tra cui la P., i cui veicoli avrebbero limitato la visibilità dell'incrocio. La Corte di merito escludeva che la condotta della P. avesse avuto una efficienza causale nella produzione dell'evento , alla luce delle dichiarazioni rese dall'O., il quale aveva precisato che proprio la ridotta visibilità all'incrocio, dovuta alle auto in sosta vietata, lo aveva indotto a ridurre notevolmente la velocità di marcia ed a procedere lentamente, vedendo il motociclo che sopraggiungeva lontano. Viene articolato un unico motivo con cui si deduce l'erronea applicazione della legge penale con riferimento al nesso di causalità. Si sostiene che il giudice di secondo grado non avrebbe considerato che il giudice di primo grado aveva correttamente argomentato che l'imprudente condotta dei conducente dei veicolo era stata determinata in parte dall'errore di valutazione causato dall'ostruzione parziale della visuale, tenendo presente inoltre che lo stesso non aveva alcun obbligo assoluto di fermarsi come in presenza di uno stop, ma un mero obbligo di favorire la precedenza dei veicoli provenienti da destra. La responsabilità della P. veniva, pertanto, fondata sulla violazione dell'art. 158 del codice della strada , in quanto l'evento verificatosi aveva rappresentato la concretizzazione del rischio che la norma mirava a prevenire. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato sia dal punto di vista procedurale che nel merito. Sotto il primo profilo, va rilevato che il ricorso è stato sottoscritto personalmente dalle parti civili con autentica della firma da parte del difensore, all'epoca non ancora cassazionista l'iscrizione all'albo dell'avv.to F. M. R. S. è del 24.5.2013, mentre il ricorso è dei 30.10.2012 . Il ricorso è comunque, manifestamente infondato anche nel merito. Vi è innanzitutto da rilevare che la ricostruzione della vicenda non può essere qui censurata nel merito, così come la motivazione sulla esclusione del nesso di causalità è argomentata in modo ampiamente satisfattivo oltre che giuridicamente corretto. Nella specie, la Corte di merito, alla luce delle dichiarazioni rese dal conducente della macchina investitrice, ha escluso che l'auto della P., in sosta irregolare, abbia impedito o compromesso in modo apprezzabile all'O. la visibilità dei veicoli provenienti dalla sua destra ed, in particolare, l'avvistamento del motociclo condotto dal R. ed a quest'ultimo l'avvistamento dell'automobile. E' rimasto, pertanto, accertato che la collisione tra i due veicoli si verificò perché l'automobilista, confidando sulla possibilità di passare prima che sopraggiungesse il motociclo, aveva impegnato l'incrocio anziché fermarsi, come avrebbe dovuto e potuto fa re. La Corte di merito, nell'assolvere la proprietaria del mezzo in divieto di sosta, ha fatto corretta applicazione del principio consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui in materia di incidenti da circolazione stradale, l'accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti generali di comune prudenza non può di per sé far presumere l'esistenza della causalità tra il suo comportamento e l'evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l'incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o è stato, comunque, determinato esclusivamente da una causa diversa ciò perché, per poter affermare la responsabilità, occorre non solo la causalità materiale tra la condotta e l'evento dannoso, ma anche la c.d. causalità della colpa ossia la dimostrazione dei nesso in concreto tra la condotta violatrice e l'evento. In questa prospettiva correttamente è stato ritenuto che la norma cautelare contestata all'imputata, dell'aver parcheggiato l'autovettura in sosta irregolare, in violazione dell'art. 158 del codice della strada, non aveva avuto effetto nella verificazione dell'occorso, provocato esclusivamente dalla pericolosa condotta di guida del conducente dell'autovettura che, pur avendo avuto la possibilità di avvistare per tempo il motociclista aveva impegnato l'incrocio anziché fermarsi. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa delle ricorrenti Corte Cost., sent. 7 13 giugno 2000, n. 186 , consegue la condanna delle ricorrenti medesime al pagamento delle spese processuali e della somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.