Nonno spinto a terra dal marito della nipote: frattura, ricovero e morte per allettamento. Uomo condannato

Nessun dubbio sulla causa del decesso dell’anziano signore fatale la cosiddetta sindrome di allettamento. Ma è evidente il collegamento con la condotta violenta del marito della nipote, che ha provocato la caduta dell’anziano, con relativa frattura del femore. Confermate, quindi, le accuse di omicidio preterintenzionale.

Scontri violenti in famiglia ‘protagonista’ il marito, vittima la moglie. Ma a rimetterci, in modo drammatico, è il nonno della donna, morto a seguito della frattura causata dalla caduta frutto della spinta subita dal marito della nipote. Fatale il periodo di allettamento, che ha portato, inesorabilmente, a un peggioramento costante delle condizioni dell’anziano parente della donna. Ciò conduce a ritenere evidente la responsabilità dell’uomo – sanzionato anche per i maltrattamenti ai danni della moglie – per la morte dell’anziano consequenziale la condanna per omicidio preterintenzionale Cassazione, sentenza n. 2772, sez. V Penale, depositata oggi . Nesso. Facilmente ricostruita la dinamica dell’episodio verificatosi in casa della coppia di coniugi il nonno della donna è caduto a seguito della spinta subita ad opera del marito della nipote, e ha riportato la frattura del femore sinistro . Inevitabile il ricovero in una struttura ospedaliera, da cui l’anziano viene dimesso in apparenti discrete condizioni generali . Passaggio successivo è la collocazione in una casa di riposo, dove, però, il nonno della donna subisce un progressivo peggioramento delle proprie condizioni fisiche. Tristissimo l’epilogo dopo sette giorni nella casa di riposo viene registrata, purtroppo, la morte dell’anziano. E per i giudici di merito il decesso è addebitabile al marito della donna, colpevole di aver dato il ‘la’, colla propria condotta violenta, all’intera vicenda. Ora questa visione viene condivisa e fatta propria anche dai giudici della Cassazione, i quali, respingendo il ricorso proposto dall’uomo, ne confermano la condanna per omicidio preterintenzionale . Nonostante le obiezioni mosse dal legale dell’uomo, difatti, viene ritenuto corretto il percorso logico seguito dai giudici di merito concreto e dimostrato il nesso di causalità tra la condotta contestata all’uomo e la morte del nonno della donna. Perché il decesso è stato sì provocato dalla sindrome di allettamento, o sindrome da decubito protratto subita dall’anziano, ma tutto ha avuto origine coll’ evento traumatico causato dalla assurda spinta messa in atto dall’uomo nei confronti del nonno della moglie.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 ottobre 2014 – 21 gennaio 2015, n. 2772 Presidente Oldi – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di assise d'appello di Palermo riformava parzialmente, per il riconoscimento delle attenuanti generiche, la decisione della Corte di assise di Palermo in data 2 dicembre 2011, con la quale De Rosa Antonio era condannato alla pena di giustizia per i1 delitti st maltrattamenti in danno della moglie Lombardo Valentina e di omicidio preterintenzionale in danno di Tullio Pietro, nonno della donna, a seguito di una frattura del femore sinistro, riportata per una caduta causata da una spinta dell'imputato. 2. Contro la decisione propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, avv. Giuseppe Sciarrotta, il quale deduce violazione dell'articolo 606, lettera e , cod. proc. pen., per difetto di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato, con particolare riguardo al nesso di causalità, poiché la vittima, all'atto della dimissione dall'ospedale Cervello di Palermo, era in apparenti discrete condizioni generali, mentre dal 1 settembre 2008 al 7 settembre 2008 fu ospitato presso la casa di riposo Padre Pio privo di qualsiasi assistenza sanitaria, farmacologica o riabilitativa, per cui la morte poteva essere stata causata dall'immobilità forzata cui era stato costretto per una settimana. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1 La sentenza impugnata, con una articolata motivazione pagine da 14 a 21 , illustra le ragioni per le quali doveva ritenersi sussistente il nesso di causalità tra la condotta contestata e la morte del Tullio, pur in assenza di un'autopsia. 1.2 La vittima era stata dimessa in condizioni generali stabili dopo sette giorni dalla rottura del femore ed aveva subito un progressivo peggioramento nella casa di riposo Padre Pio , senza ricevere alcuna assistenza sanitaria. Il consulente del pubblico ministero aveva indicato cinque possibilil cause che in. astratto potevano aver cagionato la morte la Corte, però, esaminandole singolarmente, ne ha esclusi quattro, in considerazione dello scarso o addirittura nullo coefficiente di plausibilità delle prime due infarto acuto del miocardio e accidente vascolare cerebrale acuto e della stretta dipendenza dal fatto traumatico contestato all'imputato di altre due la complicanza di tipo trombolitico e l'insorgenza di una broncopolmonite terminale , concludendo che la quinta causa, la sindrome di allettamento, o sindrome da decubito protratto, rasenta la certezza e che essa trova precisa rispondenza nelle acquisizioni probatorie. Tale causa è direttamente riconducibile all'evento traumatico, per cui deve escludersi la sussistenza di una causa sopravvenuta indipendente, capace di interrompere il nesso di causalità, ai sensi dell'art. 41, comma 2, cod. pen 2. II ricorrente propone una generica doglianza riguardante la negligenza dei responsabili della casa di cura, ignorando del tutto le pertinenti e, di per sè, non censurabili risposta fornite dalla Corte, per cui l'atto di impugnazione non rispetta il requisito di cui all'art. 581 c.p.p., lett. c , secondo il quale devono essere enunciati `i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta'. Tale norma ha l'evidente significato di imporre al titolare del diritto di impugnazione di individuare i capi e i punti dell'atto impugnato che si intende sottoporre a censura e di esprimere un vaglio critico in ordine a ciascuno di essi, formulando argomentazioni che espongano critiche analitiche e, in definitiva, le ragioni del dissenso rispetto alle motivazioni del provvedimento impugnato , le quali siano capaci di contrastare quelle in esso contenute, al fine di dimostrare che il ragionamento dei giudice è carente o errato. 2.2 La mancanza di specificità dei motivo, allora, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell'art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c , all'inammissibilità. 3. Per le ragioni esposte il ricorso è inammissibile. 3.1 Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrente cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000 al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00. 3.2 L'imputato va anche condannato alla rifusione delle spese di difesa sostenute -.dalle parti civili nel presente giudizio di legittimità che-si liquidano complessivamente in €2.500,00 in favore di Tullio Benedetto e Lombardi Valentina ed in €2.000,00 in favore di Tullio Rita, oltre accessori come per legge. 3.3 A norma dell'art. 52 d. Igs. 196/03 va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalle parti civili nel giudizio di legittimità, liquidate complessivamente in €2.500,00 in favore di Tullio Benedetto e Lombardi Valentina ed in €2.000,00 in favore di Tullio Rita, oltre accessori come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.