Eccesso di velocità: necessaria la precisa quantificazione della velocità prudenziale?

Il giudice non è tenuto ad indicare in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi di fatto e le logiche deduzioni in base ai quali ha valutato, sia pure approssimativamente, la velocità ritenuta nociva e pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1825, depositata il 15 gennaio 2015. Il caso. Il Tribunale di Potenza affermava la penale responsabilità di A.P. per il reato di omicidio colposo commesso ai danni di B.L., e la Corte di appello di Potenza confermava interamente la statuizione di prime cure. In particolare, secondo entrambe le sentenze di merito, l’imputato, mentre si trovava alla guida della propria autovettura, investiva la signora B.L., che stava regolarmente procedendo all’attraversamento della strada sulle strisce pedonali, causandone il decesso. La ricostruzione effettuata dai consulenti – sia della Pubblica Accusa che dei Giudici di merito – consentiva di ricondurre eziologicamente il sinistro alla velocità di marcia mantenuta dall’imputato, valutata quale non prudenziale in relazione alla condizione dei luoghi, alle caratteristiche della strada ed alla presenza della segnaletica per l’attraversamento pedonale. Avverso la statuizione di colpevolezza A.P. – per il tramite del proprio difensore – ricorreva per cassazione deducendo, quale principale motivo di gravame, duplice e contestuale vizio motivazionale della sentenza impugnata. In primis , il ricorrente rileva come i Giudici di merito hanno fondato l’affermazione di penale responsabilità sul mantenimento di una velocità non prudenziale senza, però, mai premurarsi di definire specificamente i termini, così non consentendo di verificarne la corretta quantificazione. In secundis , lamenta la sussistenza di una contraddizione all’interno del corpo motivazionale, laddove da un lato la sentenza valorizza in chiave accusatoria la velocità non prudenziale e poi, dall’altro, la reputa quale indifferente in quanto la valutazione negativa si fonderebbe sulla condotta complessiva dell’imputato. La sez. IV Penale della Suprema Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso avanzato da A.P., ha avuto modo di riprendere ed ulteriormente consolidare due differenti principi di diritto in materia di responsabilità colposa per incidente stradale. La quantificazione della velocità prudenziale. La doglianza afferente la mancata quantificazione della velocità prudenziale non merita accoglimento in quanto, per giurisprudenza pacifica, in tema di accertamento della condotta colposa dell’imputato, nel formulare il loro convincimento sull’eccesso di velocità, i giudici di merito non sono tenuti ad indicare in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente che essi indichino gli elementi di fatto e le logiche deduzioni in base ai quali essi hanno valutato, sia pure approssimativamente, la velocità ritenuta nociva e pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale. Infatti, il fattore velocità risponde ad un concetto di relatività alle situazioni contingenti quando trattasi di valutare il comportamento dell’imputato in nesso causale con l’evento ascrittogli e non già di accertare la violazione contravvenzionale di norme prescriventi limiti fissi di velocità. In altri termini, la velocità adeguata è quella che il giudice identifica come valevole ad assicurare una sicura circolazione stradale, nelle specifiche condizioni date trattandosi di regola elastica, l’opera di definizione della regola cautelare chiama in causa la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento, pertanto la velocità doverosa sarà quella che, tenuto conto delle condizioni di tempo e luogo, permetterà di evitare gli eventi prevedibili secondo la regola dell’ id quod plerumque accidit . La responsabilità del pedone. Per ciò che concerne, invece, la asserita imprevedibilità del comportamento della vittima – che il ricorrente vorrebbe causa esclusiva del sinistro mortale – la Corte di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale il conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti al fine di prevenire il rischio di un investimento. Donde, nel caso in cui questo si verifichi, perché possa essere affermata la colpa esclusiva del pedone, rileva la sua avvistabilità” da parte del conducente del veicolo è, cioè, necessario che quest’ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso, ferma restando la totale assenza di infrazioni al codice della strada.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 ottobre 2014 – 15 gennaio 2015, n. 1825 Presidente Sirena – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. A.P. è stato giudicato dal Tribunale di Potenza responsabile di omicidio colposo commesso in danno di L.B. e condannato alla pena ritenuta equa. La Corte di Appello di Potenza ha confermato tale condanna. Secondo l'accertamento condotto dai giudici di mèrito il 23.12.2008 l'A. si trovava alla guida di un autoveicolo e procedeva lungo la via omissis , quando all'intersezione con via investiva la L. che stava procedendo all'attraversamento della strada sulle strisce pedonali. A causa delle lesioni riportate nell'impatto, la donna decedeva. Il sinistro è stato causalmente ricondotto alla velocità di marcia mantenuta dall'A. , giudicata non prudenziale” in relazione alle condizioni dei luoghi, alle caratteristiche della strada interna al centro urbano e con insufficiente illuminazione e alla presenza di segnaletica per attraversamento pedonale. 2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Gianfranco Robilotta. 2.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale perché i giudici di merito, e segnatamente quello di secondo grado, hanno fondato l'affermazione di responsabilità sul mantenimento da parte dell'A. di una velocità non prudenziale - inferiore al limite espressamente imposto e non violato dall'imputato - senza mai premurarsi di definirne specificamente i termini, così non consentendo di verificarne la corretta quantificazione, atteso che è incontestato che l'imputato nell'occasione teneva una velocità di marcia inferiore al limite imposto nel tratto di strada teatro del sinistro. Inoltre l'esponente ravvisa interna contraddizione nella motivazione, che da un canto valorizza in chiave accusatoria la velocità non prudenziale e poi la afferma indifferente perché la valutazione negativa si fonderebbe sulla condotta complessiva dell'imputato. Rileva ancora il ricorrente che gli obblighi cautelari rinvenuti in capo all'A. ispezionare la strada che si percorre o si sta per percorrere mantenere il costante controllo del veicolo prevedere le situazioni che per comune esperienza possono verificarsi, in modo da non costituire pericolo per altri utenti della strada sono stati affermati senza chiarirne la ragione precettiva . Gli elementi rappresentati dalla presenza indebita di auto in sosta vietata ai bordi della strada, dall'assenza di segnaletica verticale indicante la presenza di attraversamenti pedonali, dalla insufficiente illuminazione, che erano stati segnalati dalla difesa per verificare la tenuta dell'argomentazione del primo giudice in relazione alla possibilità di percepire l'improvviso attraversamento pedonale della vittima, non sono stati presi in esame dalla Corte di Appello. 2.2. Con un secondo motivo si lamenta la ingiustificata sproporzione tra l'apprezzamento delle diverse consulenze quella del c.t. del p.m. e quella dell'esperto della difesa operata dal primo giudice che, denunciata con l'appello, ha sortito l'effetto di un difetto motivazionale per aver la sentenza di appello replicato richiamando la valorizzazione della condotta dell'imputato. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati. 3.1. La censura mossa con il primo motivo muove dall'assunto che l'attribuzione della violazione alla regola cautelare che impone di mantenere una velocità di marcia adeguata alle circostanze del caso all'A. è stato specificamente contestata la violazione dell'art. 141, co. 1 Cod. str. presuppone l'esatta individuazione del valore numerico al quale corrisponde la velocità adeguata”. Questa Corte, in precedenti ormai remoti ma che conservano persuasività, ha affermato che, in tema di accertamento della condotta colposa dell'imputato, nel formulare il loro convincimento sull'eccesso di velocità, i giudici di merito non sono tenuti ad indicare in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente che essi indichino gli elementi di fatto e le logiche deduzioni, in base ai quali essi hanno valutato, sia pure approssimativamente, la velocità ritenuta nociva e pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale. Il fattore velocità risponde infatti ad un concetto di relatività alle situazioni contingenti quando trattasi di valutare il comportamento dell'imputato in nesso causale con l’evento ascrittogli e non già di accertare la violazione contravvenzionale di norme prescriventi limiti fissi di velocità Sez. 4, n. 6173 del 09/05/1983, Togliardi, Rv. 159688 Sez. 4, n. 11068 del 05/06/1984, Rasi, Rv. 167075 . Detto altrimenti, la velocità adeguata è quella che il giudice identifica come valevole ad assicurare una sicura circolazione stradale, nelle specifiche condizioni date. Trattandosi di regola elastica, l'opera di definizione della regola cautelare chiama in causa la prevedibilità e l'evitabilità dell'evento la velocità doverosa è quella che, tenuto conto delle condizioni di tempo e di luogo, permette di evitare gli eventi prevedibili secondo l' id quod plerumque accidit . La valutazione in ordine alla correttezza di tale operazione non è conducibile alla stregua di parametri matematici ma va effettuata alla stregua dei criteri che informano il sindacato sulla motivazione compiutezza e non manifesta illogicità. Il discorso si sposta quindi sul piano degli oneri di argomentazione. 3.2. Orbene, calando tali premesse nel caso che occupa, non è di alcun rilievo che la Corte di Appello non abbia dato indicazioni quantitative della velocità ritenuta prudenziale e non mantenuta dall'A. mentre ha importanza - nel dimostrare l'infondatezza della censura - che essa abbia replicato esplicitamente e specificamente all'appellante, asserendo che la velocità da mantenere era quella che imponeva il percorrere il centro abitato, l'essere in prossimità di un segnalato attraversamento pedonale, la presenza di autovetture in sosta vietata ai bordi della strada, l'insufficienza della illuminazione una velocità tale da consentire all'A. di poter reagire utilmente alla improvvisa presenza di un pedone lungo la direttrice di marcia, anche arrestando il veicolo. La ragione precettiva” - per dirla con l'esponente - di tali doveri è nell'art. 141, co. 1 Cod. str., che impone al conducente di mantenere una velocità che, tenuto conto di tutte le circostanze presenti, garantisca condizioni di sicurezza per ogni utente della strada. Sicché, l'obbligo di mantenere una velocità ridottissima, ben più di quella di cinquanta chilometri orari imposta in via generale, traeva origine proprio da quelle condizioni che, invero in modo del tutto singolare, nel ricorso si citano come ragioni di esclusione di responsabilità dell'A. . Quanto alla imprevedibilita del comportamento della vittima, che l'esponente vorrebbe causa esclusiva del sinistro, questa Corte aderisce al principio già formulato, secondo il quale il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale il conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti in particolare, moderare la velocità e, all'occorrenza, arrestare la marcia del veicolo al fine di prevenire il rischio di un investimento. Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, rileva la sua avvistabilità da parte del conducente del veicolo investitore. È cioè necessario che quest'ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo Sez. 4, Sentenza n. 40908 del 13/10/2005, Tavoliere, Rv. 232422 . Orbene, la Corte di Appello ha espressamente affermato che in concomitanza con il transito dell'A. vi erano tutte le condizioni per avvistarne la presenza , alludendo al pedone. Affermazione che nel ricorso non trova specifici argomenti di contestazione, venendo lamentata unicamente la mancata valutazione delle circostanze di luogo in senso favorevole all'imputato. 3.3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Invero si tratta della mera reiterazione dell'argomento utilizzato nell'atto di appello, dove si lamentava l'adesione del giudice alle conclusioni del consulente tecnico del p.m. in luogo della condivisione degli approdi offerti dall'esperto della difesa. Ma la Corte di Appello ha replicato del tutto congruamente che in realtà l'affermazione di responsabilità dell'imputato si fondava sulla considerazione della condotta complessiva dell'imputato detto altrimenti, era risultato non decisivo - per tutte le ragioni che sin sono sin qui rammentate e discusse - che egli avesse osservato il limite di velocità previsto per i centri urbani. Da ciò il ricorrente trae una inesistente carenza motivazionale. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.