La dubbia sussistenza del reato non può giustificare il sequestro, tantomeno di beni societari

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, attesa la natura sanzionatoria di quest’ultima, non richiede specifiche esigenze cautelari, essendo sufficiente il fumus criminis e la corrispondenza tra il valore dei beni oggetto del sequestro ed il profitto o prezzo del reato.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1344/15, depositata il 14 gennaio. I fatti. Il Tribunale di Terni, in riforma della pronuncia del G.i.p., disponeva il sequestro preventivo, ai fini della confisca per equivalente, dei beni immobili di proprietà degli imputati, oltre che di alcuni beni intestati ad una società riferibile ad uno di essi. Il reato per il quale si procedeva era la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, riscontrabile nella simulata alienazione di alcuni beni immobili e quote della società, allo scopo appunto di sottrarsi al pagamento delle imposte. Gli imputati impugnano l’ordinanza con ricorso in Cassazione. La sufficienza del fumus criminis. I motivi del ricorso rilevano, in primo luogo, la carenza assoluta della motivazione in relazione alla sussistenza del requisito del fumus criminis , ricostruita dai giudici di merito in modo ipotetico e privo di fondamento, essendo carente la motivazione circa la natura simulata e fraudolenta delle alienazioni che, sempre secondo la tesi difensiva, sarebbero avvenute proprio per ottenere la liquidità necessaria a far fronte alle obbligazioni tributarie. Il motivo è fondato. La Cassazione coglie l’occasione per riconfermare il suo costante indirizzo interpretativo per il quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, di natura sanzionatoria, non richiede specifiche esigenze cautelari, essendo sufficiente il fumus criminis . Il principio deve governare ogni momento del procedimento che coinvolga il provvedimento in oggetto, rendendo necessario per il giudice, se non un sindacato di concreta fondatezza dell’accusa, per lo meno una puntuale e coerente motivazione che valuti le risultanze probatorie emergenti, deducendone una pregnante postulazione circa la sussistenza del reato. Tali principi vengono completamente disattesi dalla motivazione dei giudici di merito, che si palesa come inadeguata e apparente. Il fumus viene infatti individuato nella mera alienazione di alcuni beni immobili, circostanza dalla quale è inadeguato dedurre la configurabilità del reato, non essendo consolidata dal riscontro di ulteriori elementi probatori. Il sequestro di beni societari. Altro motivo di contestazione dell’ordinanza impugnata, è l’applicabilità della misura del sequestro preventivo alle persone giuridiche, secondo la mera congettura circa la natura di schermo della personalità giuridica. Anche in questo caso la Cassazione valuta positivamente le doglianze del ricorrente. Nonostante il ragionamento dei giudici di merito parta dal condivisibile principio di estensione del sequestro preventivo ai beni dell’ente che rappresenti solo uno schermo, privo di autonomia, nei confronti del legale rappresentante autore di reati tributari, la motivazione elaborata nel provvedimento impugnato si presenta del tutto apparente. La natura di mero schermo della società in questione rispetto ad uno degli imputati viene dedotta dalla semplice considerazione della prevalenza netta della persona dell’imputato nell’attività societaria, ma nessun’altra risultanza probatoria concorre a sostenere la tesi accusatoria. L’inadeguatezza della motivazione viene dunque censurata dalla Cassazione che cassa l’ordinanza con rinvio al Tribunale di Terni per un nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 ottobre 2014 – 14 gennaio 2015, n. 1344 Presidente Fiale – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 15/4/2014, il Tribunale di Terni - in riforma dell'ordinanza di rigetto emessa dal G.i.p. della stessa città il 24/3/2014 - ha disposto sequestro preventivo sui beni immobili riferibili a G. e L.V., anche quando intestati alla V. s.r.l., fino all'ammontare come sembra dato di capire di circa 3,4 milioni di euro la misura è stata disposta con riferimento al reato di cui all'art. 11, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, ascritto a G. V. per aver alienato simulatamente alcuni immobili e quote della predetta società al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte di cui all'accertamento in adesione eseguito quanto agli anni di imposta 2005, 2006, 2007 . 2. Avverso detta ordinanza ricorrono per cassazione G. V. ed il figlio Luca legale rappresentante della citata s.r.l. , a mezzo del proprio difensore, indicando due motivi qui riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per carenza assoluta, o mera apparenza di motivazione sui presupposti della cautela e sull'astratta configurabilità del reato. Il Tribunale avrebbe impiegato affermazioni apodittiche e meramente propositive per riconoscere, in capo a G. V., il fumus del reato contestato, assumendo senza alcuna motivazione plausibile il carattere simulato o fraudolento delle intervenute alienazioni - violazione degli artt. 2, 19, 53, d. Igs. n. 231 del 2001, 1, comma 143, I. n. 244 del 2007 in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., per errata applicazione della legge penale e per difetto assoluto di motivazione sull'applicabilità dei sequestro preventivo funzionale alla confisca su beni della persona giuridica. Il Tribunale avrebbe esteso il vincolo ai beni della società in forza di una congettura priva di ogni argomento, secondo la quale la stessa costituirebbe soltanto un mero schermo del quale si avvarrebbe il V. affermazione non supportata da alcun elemento, neppure indiziario. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Per costante indirizzo di questa Corte, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, attesa la natura sanzionatoria di quest'ultima, non richiede specifiche esigenze cautelare, essendo sufficiente il fumus criminis e la corrispondenza tra il valore dei beni oggetto del sequestro ed il profitto o prezzo dell'ipotizzato reato per tutte, Sez. 3, n. 18311 del 6/3/2014, Cialini, Rv. 259103 Sez. 2, n. 5656 del 28/1/2014, Zagarrio, Rv. 258279 laddove, per fumus deve pacificamente intendersi la astratta sussumibilità del fatto contestato in una determinata ipotesi di reato. Questo basilare assunto governa ogni momento giurisdizionale che coinvolga la misura in oggetto, in sede tanto di adozione su richiesta del pubblico ministero, quanto di verifica dei provvedimenti che sulla stessa istanza si siano pronunciati, in senso adesivo o meno. Con particolare riferimento al giudizio demandato al Tribunale del riesame, si osserva poi che, sebbene non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, lo stesso deve tuttavia accertare il fumus nei termini suddetti a tal fine, pertanto, non è sufficiente la mera postulazione dell'esistenza del reato da parte del pubblico ministero, ma occorre che il giudice - nel motivare l'ordinanza - rappresenti in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, e così dimostri la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame per tutte, Sez. 4, n. 15448 del 14/3/2012, Vecchione, Rv. 253508 . A maggior ragione, ovviamente, qualora la misura sia imposta proprio dal Tribunale del riesame, a fronte di un iniziale diniego da parte del Giudice per le indagini preliminari, come nel caso di specie. Ciò premesso in termini generali, si osserva che di questi principi non ha fatto buon governo il Tribunale di Terni, il cui provvedimento appare sostenuto da una motivazione palesemente inadeguata, anzi apparente. In particolare, quanto al fumus del delitto di cui all'art. 11, d. Igs. n. 74 del 2000, lo stesso è individuato nel fatto che il V. - che assume di aver venduto beni e quote proprio per pagare il debito con l'Erario - avrebbe in realtà poi corrisposto soltanto una limitata parte di questa somma. Orbene, a parere di questa Corte si tratta di un argomento palesemente inadeguato, nella misura in cui si esaurisce in un dato pacifico le alienazioni effettuate privo di un qualsiasi riferimento ulteriore, dal quale poter desumere - sia pur in fase cautelare - la contestata simulazione specie, poi, considerando che il Tribunale non precisa neppure quale sia l'importo ricavato dalle vendite e, quindi, quale la sua portata in relazione al debito tributario. Del tutto apparente, poi, risulta la motivazione dell'ordinanza anche in ordine all'estensione del vincolo ai beni della V. s.r.l Al riguardo, si rileva che il Tribunale muove da una premessa condivisibile, ovvero il principio di diritto in forza del quale, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente - prevista dagli artt. 1, comma 143, della I. n. 244 del 2007 e 322 ter cod. pen. - non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni per tutte, Sez. U., n. 10561 del 30/1/2014, Gubert. Rv. 258646 . Ciò premesso, lo stesso Tribunale, però, non applica poi detto principio in modo adeguato ed invero, l'ordinanza conclude che la V. s.r.l. costituirebbe, per l'appunto, un mero schermo dietro il quale opererebbe l'indagato, soltanto in considerazione della prevalenza personale e diretta del V. G., che costituisce egli stesso marchio, motore e realizzatore dell'attività . Motivazione la cui palese inadeguatezza deve esser censurata da questa Corte. In conclusione, l'ordinanza impugnata va annullata, con rinvio al Tribunale dei riesame di Chieti per un nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Terni.