La crisi dell’impresa non giustifica l’omesso versamento dei contributi previdenziali. Ma il carcere è troppo

La Suprema Corte conferma la condanna dell’impuntato per il mancato pagamento dei contributi previdenziali, ricavandone la prova dal versamento delle retribuzioni, ma annulla la sentenza impugnata con riferimento alla viziata determinazione della pena.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 59, depositata il 7 gennaio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza del GUP di Rovigo con la quale condannava l’imputato ad un mese di reclusione e al pagamento di euro 300,00 di multa per il reato di omesso versamento, nei termini prescritti, dei contributi previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti nel periodo dal novembre 2008 al febbraio 2009. L’imputato presenta ricorso per cassazione, denunciandone la violazione di legge e la viziata motivazione. Nel dettaglio lamenta, oltre alla mancata deliberazione della Corte territoriale in ordine alla richiesta di riunione con altro procedimento, decisione peraltro confermata dalla Cassazione, la mancanza e l’illogicità della motivazione in punto di responsabilità. Denuncia inoltre un errore di calcolo nella determinazione della pena, vizio già rilevato dalla Corte d’appello che però, ritenendolo irrilevante, non ne ha tratto le necessarie conseguenze sul piano del trattamento sanzionatorio. La prova del mancato versamento dei contributi. In tema di omesso versamento dei contribuiti previdenziali, anche a seguito di una pronuncia delle Sezioni Unite, il mancato pagamento della retribuzione costituisce pacificamente elemento della fattispecie di reato, con conseguente onere della prova in capo all’accusa. Il ricorrente afferma la mancanza di tale prova da parte del PM, il quale avrebbe semplicemente prodotto in giudizio i Mod.DM10, che andrebbero considerati come delle semplici dichiarazioni di scienza modificabili, non determinanti ai fini della prova dell’effettivo versamento delle retribuzioni. La Cassazione conferma invece la valutazione della Corte territoriale, richiamando anche alcune sue precedenti pronunce. Il Mod.DM10, il quale dichiara l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni mensili ai dipendenti, è considerato come elemento di prova sufficiente, da parte della pubblica accusa, ai fini dell’assoluzione dell’onere della prova. Sull’imputato grava invece l’onere di dimostrare di non aver effettivamente provveduto al versamento delle somme dovute ai lavoratori dipendenti. Un elemento irrilevante, sempre secondo i precedenti orientamenti della Cassazione, in tema di omesso versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, è lo stato di dissesto dell’impresa. I contributi, non costituendo parte integrante della retribuzione ma avendo la natura di un vero e proprio tributo, devono essere comunque pagati, indipendentemente dalle vicende finanziarie che coinvolgono l’impresa, necessità riconducibile alla garanzia costituzionale dei contributi medesimi. A tal fine, anche per quanto riguarda l’elemento psicologico, la Corte esclude ogni dubbio in tema di responsabilità affermando come il reato contestato non richieda il dolo specifico ma si esaurisca con la coscienza e la volontarietà dell’omissione, essendo irrilevante una eventuale fase di criticità finanziaria. Il trattamento sanzionatorio deve però essere corretto. L’unico motivo di ricorso che viene giudicato come fondato dalla S.C. è quello relativo all’inadeguatezza del trattamento sanzionatorio. La determinazione della pena, come risulta dalla sentenza impugnata, non considera il pur rilevato errore di calcolo occorso durante il procedimento di primo grado. I giudici dell’appello, considerandolo irrilevante, non ne hanno precisato la natura disinteressandosi anche dell’indicazione dei motivi. Pertanto la Corte annulla la sentenza sul punto e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Corte di Cassazione, sezione III Penale, sentenza 13 novembre 2014 – 7 gennaio 2015, numero 59 Presidente Teresi – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13.1.2014 la Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Rovigo, emessa il 24.1.2012, con la quale P.L. , con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed applicata la diminuente per la scelta del rito, era stato condannato alla pena sospesa alle condizioni di legge di mesi 1, giorni 10 di reclusione ed Euro 300,00 di multa per il reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p., 2 comma 1 bis L.638/83, per aver omesso di versare nei termini prescritti le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti nel periodo dal novembre 2008 al febbraio 2009. Rilevava preliminarmente la Corte di merito che non ricorreva alcuna questione di improcedibilità con i fatti di cui al proc.penumero definito con sentenza numero 228/11, trattandosi di omissioni relative a periodi diversi. Dopo aver richiamato la motivazione della sentenza impugnata, la Corte territoriale riteneva destituito di fondamento l'appello proposto dall'imputato. La tesi difensiva del mancato versamento delle retribuzioni ai dipendenti era smentita, invero, dalla presentazione dei Mod.DM 10 né l'imputato aveva peraltro fornito alcuna prova a sostegno del suo assunto né aveva rilevanza il successivo stato di dissesto dell'impresa. La pena poi era stata correttamente determinata al di là di un ininfluente errore di calcolo. 2. Ricorre per cassazione P.L. . Dopo una premessa in fatto, denuncia la violazione di legge e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione. La Corte territoriale non ha deliberato in ordine alla richiesta di riunione con altro procedimento, pur chiamato alla medesima udienza e rinviato preliminarmente per la nullità del decreto di citazione. Peraltro oggetto della sentenza numero 228/2011 resa nell'altro procedimento, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, era anche l'omissione relativa al mese di gennaio 2009 oggetto dell'imputazione anche in questo processo . Non si è pertanto potuto accertare il profilo della violazione del principio del ne bis in idem, né applicare la continuazione. Denuncia poi la violazione di legge e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità. È pacifico, a seguito della sentenza delle Sezioni Unite, che il mancato pagamento delle retribuzione sia elemento costitutivo della fattispecie e che l'onere della prova incomba sull'accusa. Il P.M. non solo non ha fornito tale prova, ma la documentazione bancaria prodotta attesta che il ricorrente non ha corrisposto alla propria dipendente la retribuzione. Denuncia ancora la violazione di legge e/o l'omessa o illogica motivazione, avendo ritenuto la Corte territoriale che la presentazione dei Mod.DM 10 peraltro completamente assenti nel fascicolo processuale costituisse prova dell'avvenuta corresponsione della retribuzione. A voler ritenere che i DM 10 abbiano portata contrattuale come assume la Corte territoriale, vi sarebbe violazione dell'arti del Quarto protocollo Adddizionale CEDU per non essersi data rilevanza alla impossibilità di farvi fronte l'Amministrazione Finanziaria nel concedere il 10.12.2008 la rateizzazione aveva valutato l'indice di indebitamento . Si avrebbe, quindi, l'applicazione di una pena detentiva per un impegno contrattuale che l'imputato non era in grado di fronteggiare. I Mod. DM 10 vanno invece correttamente considerati come dichiarazioni di scienza sempre modificabili, per cui viene meno l'elemento cardine su cui è fondata la pronuncia di condanna. Denuncia, infine, la violazione di legge e la mancanza e/o illogicità della motivazione. La Corte territoriale, pur rilevando l'errore di calcolo della pena contenuta nella sentenza di primo grado, non ne ha tratto poi le conseguenze sul piano sanzionatorio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato soltanto in relazione al trattamento sanzionatorio. 2. Quanto al primo motivo, va ricordato, innanzitutto, che, a norma dell'art. 17 cod.proc. penumero la riunione di processi, pendenti nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice, può essere disposta quando non determini un ritardo nella definizione degli stessi. Come si da atto nello stesso ricorso, all'udienza del 13.1.2014 venivano chiamati entrambi i processi, ma essendo stata dalla difesa eccepita la nullità dell'avviso per uno di essi, se ne disponeva doverosamente il rinvio. Ma tale rinvio avrebbe determinato un ritardo nella definizione dell'altro processo, per cui non è censurabile la decisione della Corte che ha ritenuto di procedere alla sua trattazione. Peraltro, la natura ordinatoria dei provvedimenti in tema di riunione comporta che questi siano sottratti ad impugnazione poiché può sempre chiedersi al giudice dell'esecuzione di applicare la continuazione tra i reati, ai sensi dell'art. 671 cod.proc. penumero , non ostandovi la sentenza del giudice di merito che, proprio per la mancata riunione dei processi, non ha potuto pronunciare sulla sussistenza dell'unico disegno criminoso cfr. Cass. sez. 3 numero 39952 del 3.10.2006 . In ordine poi alla eccezione di improcedibilità con i fatti di cui al proc.penumero numero 833/09 RG Gip, definito con sentenza numero 228/11 e rinviato in accoglimento dell'eccezione difensiva , ha accertato la Corte territoriale che esso aveva ad oggetto omissioni contributive relative al periodo luglio 2006-ottobre 2008, che non interferivano in alcun modo con le violazioni oggetto del presente processo, relative al periodo successivo e cioè novembre 2008-febbraio 2009 . 3. In punto di affermazione di responsabilità, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che la prova della corresponsione delle retribuzioni fosse ricavabile dai Mod.DM10. La giurisprudenza di questa Corte, dopo la sentenza a sezioni unite numero 27641 del 2003, ritiene ormai pacificamente che non sia configurabile il reato di cui all'art. 2 comma 1 della L. 638/1983 senza il materiale esborso delle somme dovute al dipendente. Quanto all'onere della prova di tale esborso, trattandosi di elemento costitutivo del reato non c'è dubbio che esso gravi sulla pubblica accusa, anche se può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali in particolare, i cosiddetti modelli DM/10 trasmessi dal datore di lavoro all'INPS e testimoniali, sia mediante il ricorso alla prova indiziaria Sez. 3, numero 14839 del 4/03/2010 - dep. 16/04/2010, Nardiello, Rv. 246966 . Più di recente cfr. Cass.sez. 3 numero 7772 del 5.12.2013 è stato ribadito che il modello DM10, com'è noto, è compilato dal datore di lavoro per denunciare all'Inps le retribuzioni mensili corrisposte ai dipendenti, i contributi dovuti e l'eventuale conguaglio delle prestazioni anticipate per conto dell'Inps, delle agevolazioni e degli sgravi. Il versamento dei contributi dovuti sulla base dei dati indicati sul modello DM10 va effettuato con il modello F24, con il quale si pagano anche i tributi dovuti al Fisco . Ne consegue che, a fronte di un modello DM 10 in cui si dichiari l'avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti e, quindi, l'esecuzione delle ritenute sulle medesime , deve ritenersi assolto da parte del pubblico ministero l'onere probatorio imposto ex lege, mentre grava su chi sostiene di non aver provveduto al pagamento delle retribuzioni fornire la relativa prova, come del resto già precedentemente chiarito da questa stessa Sezione, nel senso che in presenza delle denunce contributive, l'onere di dimostrare eventuali difformità rispetto alla situazione in esse rappresentata, incombe sul soggetto che la deduce, sia che si tratti dell'imputato che dell'organo dell'accusa Sez. 3, numero 32848 del 08/07/2005 - dep. 02/09/2005, Smedile, Rv.232393 . In altri termini, dunque, mentre è il P.M. che ha l'onere di provare il pagamento delle retribuzioni ai fini di dimostrare la compiuta integrazione del reato de quo, compete alla difesa dimostrare il mancato pagamento delle stesse, non essendo sufficiente a destituire di fondamento la prova, anche indiziaria, fornita dall'accusa, la mera, labiale, affermazione del datore di lavoro di non averle corrisposte . 4. In ordine all'elemento psicologico è pacifico che il reato contestato non richieda il dolo specifico, esaurendosi con la coscienza e volontà della omissione o della tardività del versamento delle ritenute cfr. Cass.penumero sez.3 numero 47340 del 15.11.2007 . In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la rilevanza dello stato di dissesto dell'impresa. Lo stato di dissesto dell'imprenditore - il quale prosegua ciononostante nell'attività d'impresa senza adempiere all'obbligo previdenziale - non elimina il carattere di illiceità penale dell'omesso versamento dei contributi. Infatti i contributi non costituiscono parte integrante del salario ma un tributo, in quanto tale da pagare comunque ed in ogni caso, indipendentemente dalle vicende finanziarie dell'azienda. Ciò trova la sua ratio nelle finalità, costituzionalmente garantite, cui risultano preordinati i versamenti contributivi e anzitutto la necessità che siano assicurati i benefici assistenziali e previdenziali a favore dei lavoratori cfr. Cass. penumero sez. 3 numero 11962 del 16.7.1999 . Anche più di recente è stato ribadito che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti urgenti Cass. sez. 3 numero 13100 del 19.1.2011 conf. Cass. sez. 3 numero 3705 del 19.12.2013 . 5. Va invece accolto il motivo di ricorso in ordine alla determinazione della pena. La Corte territoriale, pur riconoscendo che il primo giudice era incorso in un errore di calcolo, non ne ha poi precisato la natura, né l'incidenza sulla pena finale. Apoditticamente ha ritenuto che esso fosse ininfluente, senza spiegarne neppure i motivi. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata sul punto con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso.