In ogni caso all’ente “crimen non lucrat”. Tuttavia la Cassazione salva dalla confisca i costi vivi delle prestazioni illecite

La confisca ex art. 19 d. lgs. n. 231/2001 nei confronti dei beni dell’ente, si estende al fatturato dell’operazione illecita, dedotti i costi netti per l’esecuzione delle prestazioni.

La Cassazione, sez. VI Penale, con la pronuncia n. 53430/2014, depositata il 22 dicembre, decide in ordine all’estensione del quantum confiscabile ex art. 19 d. lgs. n. 231/2001, nei confronti di una società indiziata di essersi avvalsa del reato – fra gli altri - di truffa ai danni dello Stato ex art. 640, n. 2, c.p. per assicurarsi una commessa a seguito di appalto. Il fatto in specie costituiva tipo di reato in contratto”, per cui l’ente ha fornito regolari prestazioni alla pubblica amministrazione pur riconosciuta una genesi illecita – per le illiceità nella procedura di gara per l’affidamento - alla costituzione del rapporto negoziale. Le altre confische il profitto ex artt. 6, quinto comma, e 15, quarto comma, del d. lgs. cit In tali casi la confisca ha una sola funzione riequilibrativa, mirante a ricostituire un equilibrio economico violato, privo di intento economico punitivo, vista la specialità delle fattispecie di reato – nel primo caso nulla è rimproverabile all’ente, vista l’adozione di un modello sufficiente alla prevenzione del reato, nel secondo caso si tratta di vantaggio economico acquisito per l’attività del commissario giudiziale -. La soluzione della Cassazione. In primis la definizione di profitto ex art. 19 del d. lgs. cit. Le opposte esigenze. Manca una definizione normativa esatta, anche nei riferimenti internazionali che hanno originato il d. lgs. n. 231 cit., i quali menzionano la più estesa nozione di proventi da reato. La giurisprudenza si è spinta oltre, definendo profitto quale vantaggio economico o utilità creata verificati un rapporto pertinenziale ed una relazione diretta ed immediata con il reato. Vista l’aleatorietà e l’incertezza di una definizione più spiccatamente aziendale, ci si muove fra opposte esigenze di tipo punitivo e di opportunità economica – al fine di escludere misure eccessivamente punitive per la prosecuzione sana dell’attività dell’ente -. Il profitto in caso di reato contratto”. Nessun limite alla confisca. Si tratta dei casi in cui reato e negozio giuridico si sovrappongono per l’intero, vista l’illiceità di ogni sua parte per l’oggetto e per le modalità di realizzazione – ad es. traffico di sostanze stupefacenti -. Il confitto confiscabile sta nell’intero valore del negozio e nei valori economici correlati o strumentali. Il profitto in caso di reato in contratto”. In tal caso il penalmente rilevante incide sulla fase di formazione della volontà contrattuale o sull’esecuzione del negozio, pur il contratto restando valido per il resto - ad esempio in caso di truffa ai danni dello Stato a seguito di procedura di gara illecitamente costituita -. In tal caso il profitto confiscabile va concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità acquisita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente. Ad esempio, in caso di reati di manipolazione del mercato – art. 25 sexies d. lgs. n. 231 cit. -, il profitto confiscabile sta nel solo aumento di valore del titolo azionario in oggetto. In caso di appalto seguito a corruzione sta nel profitto direttamente seguito all’illecito – il valore totale fatturato - al netto del valore delle attività o delle utilitas svolte a favore dell’amministrazione, da non reputarsi illecite sol perché è illecita la causa remota. La determinazione dell’utilitas di controparte, da scomputare. Corrisponde alla parte da scomputare all’intero valore fatturato del negozio illecito. Non corrisponde all’utile d’impresa o al margine di guadagno per l’ente – irriconoscibile vista l’illiceità dell’operazione. Si giungerebbe altrimenti al paradosso secondo cui in caso di esatto adempimento del contratto potrebbe in concreto non configurarsi alcun profitto confiscabile, pur avendo l’ente acquisito un vantaggio economico dall’attività illecita -. Per la medesima ragione non può corrispondere al prezzo indicato in contratto né al valore di mercato della prestazione. Non restano che i costi vivi, da giudizialmente determinarsi in via consulenziale sulle risultanze contabili dell’ente. Sono confiscabili dunque, in caso di reato in contratto”, le somme percepite dall’ente non giustificate dai costi concretamente sostenuti per l’esecuzione della prestazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 novembre – 22 dicembre 2014, numero 53430 Presidente Milo – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 12 maggio 2014, il Tribunale, sezione del riesame, di Milano ha confermato il decreto del 6 aprile 2014, col quale il Gip dello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo della somma di 560.000,00 Euro eseguito per 358.181,15 Euro nei confronti di G Risk Security & amp Intelligence Service di cui è amministratore delegato D.D.G. , in relazione all'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a , 6 e 24 d.lgs numero 231/2001 derivante dal reato di cui agli artt. 110 e 640, comma 2, cod. penumero capo 54 . Il Tribunale ha premesso che la vicenda cautelare reale si inserisce nell'ambito del più ampio procedimento che ha condotto ad accertare in termini di gravità indiziaria la sussistenza di un'associazione per delinquere, al cui vertice opera R.A.G. , direttore generale di Infrastrutture Lombarde S.p.A. di qui in avanti I.L. S.p.A. e di Concessioni Autostradali Lombarde S.p.A. di qui in avanti C.A.L. S.p.A. , coadiuvato da P.P.P. , Direttore dell'ufficio gare e contratti di I.L. S.p.A., e di cui fanno parte altri soggetti operanti nei medesimi enti pubblici nonché una serie di privati beneficiati anche da singoli delitti scopo associazione finalizzata ad intervenire stabilmente nei procedimenti di gara, mediante la redazione e la falsificazione degli atti di delibera a contrarre e dei contratti di assegnazione, garantendo l'affidamento di una serie incarichi - in preferenza legali - sempre ai medesimi professionisti, senza seguire le procedure di legge per gli affidamenti, determinando compensi in modo forfettario, sì da assicurare un ingiusto profitto ai professionisti, nonché frazionando gli incarichi, al fine di assicurare una sistematica distribuzione dei profitti fra più beneficiari. Il Tribunale ha quindi posto in luce che il Gip, nell'applicare la misura cautelare personale di natura interdittiva, ha ravvisato a carico di D.D.G. , amministratore di G Risk Security & amp Intelligence Service , la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di truffa al medesimo contestati in via provvisoria che il medesimo giudice ha evidenziato che, in relazione ai reati per i quali si procede, è prevista, a norma degli artt. 640-quater e 322-ter cod. penumero , la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato anche per equivalente, e che il sequestro a fini di confisca può essere disposto anche nei confronti dell'ente a norma del combinato disposto degli artt. 53 e 19 del d.lgs. numero 231 del 2001 che il primo decidente ha determinato il profitto in termini pari all'importo concordato e liquidato quale corrispettivo del contratto oggetto di truffa. Passando alla disamina dei motivi di doglianza, dopo avere precisato che le censure proposte con il ricorso per riesame concernono non il fumus boni iuris , ma solo il quantum di profitto ritenuto confiscabile, il Tribunale ha rilevato a che i reati presupposto concernono il conferimento a G Risk Security & amp Intelligence Service di incarichi inerenti alla rilevazione e gestione del rischio ambientale nell'ambito delle attività istituzionali ed operative di I.L. S.p.A. e C.A.L. S.p.A. e che, in particolare, i reati ex artt. 110, 479 e 61 numero 2 cod. penumero sub capi 48 e 49 riguardano l'affidamento di incarichi biennali senza indire una procedura negoziata con invito di cinque concorrenti, avendo il direttore generale dei due enti, R.A.G. , proceduto mediante affidamento diretto in violazione della normativa in materia b che, dall'esame dei documenti informatici rinvenuti nel personal computer di P. , emerge che il contratto annuale aveva in origine il valore di 70.000,00 Euro ed era stato ex post sostituito con un contratto biennale retrodatato di 140.000,00 Euro c che i reati di turbata libertà degli incanti di cui all'art. 353 cod. penumero sub capi 50 - 52 e di falso ex artt. 110, 479 e 61 numero 2 cod. penumero sub capo 53 riguardano l'affidamento di incarichi con retrodatazione delle delibere a contrarre ed il frazionamento artificioso della commessa, così da evitare le procedure previste per i contratti con soglia superiore ai 40.000,00 Euro, illecito frazionamento delle commesse e retrodatazione fittizia ammessi anche dal funzionario P.P.P. nell'interrogatorio al PM in data 2 aprile 2014. Tanto premesso e passando alla valutazione dello specifico tema del quantum sequestrabile, il Tribunale ha evidenziato che, come correttamente rilevato dal primo giudice, gli incarichi di consulenza ai fini della rilevazione e della gestione del rischio ambientale conferiti da I.L. S.p.A. e C.A.L. S.p.A. sono estremamente generici, prevedono retribuzioni esattamente identiche nonostante la diversità delle attività da svolgere per le due società e risultano predeterminati in modo astratto senza tenere conto delle prestazioni da svolgere in concreto, peraltro indicate in modo assolutamente generico nei relativi titoli contrattuali inoltre, le prestazioni non sono ancorate a specifiche problematiche concernenti determinate opere pubbliche ed alcune appaiono addirittura ricomprese in mansioni abitualmente svolte da personale interno dei due enti pubblici. Il Collegio ha quindi richiamato i principi affermati da questa Corte anche a Sezioni Unite sentenza numero 26654 del 2008 ed ha sottolineato che, nella specie, la stipulazione dei contratti era volta non a soddisfare l'interesse pubblico dell'ente, bensì ad assicurare un determinato fatturato alla società privata, così piegando l'operato dell'ente pubblico agli interessi esclusivamente privatistici, in violazione delle disposizioni di diritto pubblico e dei principi anche di rango costituzionale che dovrebbero connotare l'operato della pubblica amministrazione, primo fra tutti quello di cui all'art. 97 Cost. Inoltre, l'art. 7, comma 6, d.lgs. numero 165 del 2001 prevede che l'attività dell'ente debba essere svolta da propri organi o uffici e che il ricorso a soggetti esterni è consentito soltanto nei casi previsti dalla legge o in relazione a situazioni straordinarie non fronteggiabili con le risorse disponibili, laddove nel caso di specie l'organigramma degli enti prevedeva uffici e personale preposti all'adempimento dei compiti conferiti mediante incarico di affidamento esterno. Ha quindi concluso che i negozi de quibus risultano interamente contaminati da illiceità e che, pertanto, il profitto ingiusto è da ritenere pari all'intero compenso illecitamente percepito dalla società G-Risk, in quanto conseguenza immediata e diretta del reato di cui al capo 54 dell'imputazione preliminare, laddove, in ogni caso, la presunta utilità della prestazione, non è stata neanche comprovata dalla difesa. 2. Avverso l'ordinanza ha presentato ricorso ex artt. 322 e 324 cod. proc. penumero l'Avv. Lucio Lucia, difensore e procuratore speciale di G-Risk s.r.l. Security & amp Intelligence Services di fiducia, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge penale in relazione all'art. 19 d.lgs. numero 231/2001, per avere il Tribunale errato nella determinazione del profitto ed, in particolare, per non avere tenuto conto in modo adeguato dei principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza numero 26654 del 2008, laddove la fattispecie in oggetto non può essere fatta rientrare nel c.d. reato contratto , ma costituisce una tipica ipotesi di c.d. reato in contratto , in esecuzione del quale la società G-Risk s.r.l. ha svolto attività e quindi fornito prestazioni di cui gli enti hanno beneficiato e si sono avvalsi, a nulla rilevando il fatto che la medesima attività avrebbe potuto essere svolta da uffici o personale interni agli enti appaltanti. D'altra parte, neanche il pubblico ministero - come si evince dalle imputazioni elevate - ha sostenuto che l'appalto non dovesse essere in assoluto assegnato, ma ha contestato soltanto che l'appalto avrebbe dovuto essere conferito all'esito di una gara da svolgere nel rispetto delle procedure previste dalla legge. Ne discende che, in ossequio ai principi fissati dalla Suprema Corte, la sottoposizione a confisca dell'intero compenso percepito dalla società G-Risk risulta illegittima. 2.2. Violazione di legge processuale in relazione agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. penumero , per avere il Tribunale modificato in fatto l'imputazione provvisoria elevata, laddove né il pubblico ministero né il Gip hanno posto in discussione che le prestazioni oggetto dei contratti fossero lecite e fossero state effettivamente rese, essendo solo contestate la violazione delle procedure di scelta del contraente e la falsificazione degli atti relativi al contratto. Ne consegue che il profitto confiscabile deve essere determinato in misura pari al surplus pagato come corrispettivo dell'appalto assegnato per scelta diretta anziché a seguito di gara e di eventuale ribasso del prezzo. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato. L'Avv. Lucio Lucia, in difesa di G.Risk s.r.l., ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento della impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale del riesame di Milano al fine di una nuova determinazione del profitto confiscabile. 2. In via preliminare, mette conto svolgere alcune considerazioni di carattere generale in punto di confisca ai sensi dell'art. 19 del decreto legislativo numero 231/2001 e, quindi, di sequestro preventivo a fini di confisca previsto dall'art. 53 stesso decreto. L'art. 19 d.lgs. numero 231/2001 prevede che nei confronti dell'ente sia sempre disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato e salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Il comma 2 della stessa disposizione prevede che, nei casi in cui non si possa procedere alla confisca prevista dal comma 1, la stessa abbia ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato . La confisca prevista dal citato art. 19 si presenta come uno strumento innovativo, eccentrico rispetto al perimetro della tradizionale misura di sicurezza patrimoniale prevista dal codice penale ed invero, l'istituto è stato espressamente inserito dal legislatore nel novero delle sanzioni principali delineate nell'art. 9 del decreto numero 231, ha dunque una valenza esplicitamente punitiva, andando a comporre l'armamentario delle sanzioni applicabili all'ente, ed, in quanto sanzione, presuppone inderogabilmente la pronuncia della sentenza di condanna. Al pari delle sanzioni pecuniarie ed interdittive e della pubblicazione della sentenza, la confisca sanzione ha natura obbligatoria Cass. Sez. 6, numero 19051 del 10/01/2013, Curatela fall. Soc. Tecno Hospital s.r.l., Rv. 255255 , prerogativa che contribuisce ad enfatizzarne il carattere punitivo. La confisca sanzione introdotta dal legislatore del 2001 si ispira al brocardo crimen non lucrai, essendo il provvedimento teso ad azzerare i vantaggi economici derivanti dal reato, ed, oltre alla tradizionale funzione special-preventiva, laddove tende a scongiurare che la disponibilità dei proventi dell'illecito possa mantenere viva l'attrattiva dell'illecito e costituire occasione per commettere nuove condotte criminose, l'istituto viene ad assolvere anche una funzione general-preventiva, in quanto il rischio di perdere il vantaggio economico conseguito dal reato, che spesso costituisce lo scopo principale dell'agire dell'ente, rappresenta, in una prospettiva di analisi economica del diritto, una forte controspinta all'illecito, incidendo proprio sulla propensione della persona giuridica ad orientare le proprie scelte sulla base di un'analisi costi/benefici. La confisca del vantaggio economico ricavato dalla consumazione del reato presupposto va, infatti, a colpire direttamente il cuore della sfera di interessi dell'ente, interviene in modo chirurgico sul risultato finanziario dell'illecito e, quindi, sul propulsore dell'agire criminoso dell'ente, solitamente ispirato da finalità di tipo economico. Inoltre, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, la confisca ex art. 19 assolve anche una funzione riequilibratrice, dal momento che l'ablazione del profitto tende a ricomporre lo status quo economico antecedente alla consumazione del reato Cass. Sez. U del 27/03/2008, numero 26654, Fisia Italimpianti Spa e altri Rv. 239924 . La novità del contesto normativo nel quale si inquadra la confisca prevista dall'art. 19 d.lgs. numero 231/2001 e, soprattutto, l'espressa qualificazione di essa quale sanzione, in tutto equiparata alle altre sanzioni di natura pecuniaria ed interdittiva previste dall'art. 9 del decreto, per di più applicabile in via obbligatoria, con uno stravolgimento dei classici punti cardinali dell'istituto - seppure già fortemente minati dalle trasformazioni ad esso impresse nel tempo si pensi all'accentuarsi della valenza sanzionatoria delle nuove forme di confisca per equivalente - hanno imposto all'interprete non solo la rivisitazione del tradizionale inquadramento ontologico della confisca, ma anche la ricerca di nuove vie nella definizione dell'ambito di applicazione del provvedimento ablatorio, soprattutto per quanto concerne la delimitazione dell'area del profitto assoggettabile a vincolo reale, e ciò anche nelle ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, disposto ai sensi dell'art. 53 dello stesso decreto. 3. La definizione del quantum del provvedimento di confisca - anche nei casi di adozione in via cautelare - è resa estremamente problematica, oltre che dall'evidenziata multifunzionalità dell'istituto, anche dal parametro normativo di commisurazione della sanzione che, diversamente dalle altre sanzioni applicabili all'ente, non è delimitato in modo astratto secondo un intervallo edittale stabilito per legge cioè, come per le sanzioni pecuniarie, da un minimo ed un massimo di quote irrogabili o, come per quelle interdittive, dalla previsione di una durata massima applicabile , ma si parametra al prezzo ovvero al profitto del reato, dunque a dati, soprattutto il secondo, di incerti confini e da determinare di volta in volta in relazione allo specifico fatto integrante il reato presupposto. 3.1. Focalizzando l'attenzione sulla confisca sanzione avente ad oggetto il profitto del reato, che appunto viene in rilievo nel caso di specie, giova notare come, nel nostro ordinamento, non vi sia una definizione normativa di profitto il codice penale e le leggi speciali si limitano infatti ad elencare il profitto assieme agli altri beni suscettibili di apprensione - al pari non definiti dal legislatore - quali il prezzo ed il prodotto del reato. Nel sistema penale, sostanziale e processuale, mancano, d'altra parte, indicazioni positive che consentano di orientare l'interprete verso la commisurazione del profitto in termini di ricavo lordo dell'illecito agire, piuttosto che di ricavo netto , cioè di effettivo guadagno tratto dall'agente per effetto della sua condotta criminosa defalcando eventuali voci di costo, non vi sono indicatori che inducano a privilegiare - mutuando le espressioni del lessico tedesco - per il Bruttoprinzip principio del lordo piuttosto che per il Nettoprinzip principio del netto . Anche gli atti internazionali cui lo Stato italiano ha inteso dare attuazione con la L.D. numero 300/2000, da cui è scaturito il decreto numero 231/2001 segnatamente le Convenzioni del 26/7/1995 sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee e sulla lotta alla corruzione nonché la Convenzione OCSE del 17/12/1997 , fanno riferimento ai proventi dei reati - così tradotto il termine anglosassone proceeds -, dunque ad un concetto diverso, e più ampio, di quello di profitto sul punto anche Cass. Sez. U del 27/03/2008, numero 26654, cit. . 3.2. La questione circa la determinazione del profitto suscettibile di confisca e quindi di sequestro a fini di confisca è stata oggetto di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale con riguardo alle ipotesi di confisca - tradizionali e di nuovo conio - adottabili nei confronti dell'autore persona fisica. In particolare, la giurisprudenza di legittimità si è più volte occupata di delimitare l'area del profitto confiscabile allo scopo di evitare l'assoggettamento a provvedimento ablatorio dei vantaggi patrimoniali non immediati e addirittura remoti che possano scaturire dalla condotta illecita, mentre ha poco esplorato il tema delle componenti strutturali del profitto, andando poco oltre all'ambito definitorio ci si é limitati alla specificazione dell'essenza del concetto di profitto da un punto di vista teorico e si è trascurata l'enucleazione delle singoli voci che possono o non possono essere ad esso imputate. In particolare, questa Corte regolatrice ha avuto modo di chiarire, anche a Sezioni Unite, che, in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato Cass. Sez. U del 03/07/1996, numero 9149 Rv. 205707 . Si è sottolineato come debba sempre sussistere un rapporto pertinenziale, una relazione diretta, attuale e strumentale, tra il bene sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito, vantaggio di natura economica ovvero beneficio aggiunto di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale dall'attività del reo, dunque l’utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa , e si è precisato che non è possibile addivenire a un'estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa comunque scaturire da un reato si veda nella motivazione della sentenza Cass. Sez. U del 24/05/2004, numero 29951, Focarelli, Rv. 228166 richiamata da Cass. Sez. U del 25/10/2005, numero 41936, Muci, Rv. 232164 . È dunque escluso che possano farsi rientrare nell'alveo del profitto confiscabile quelle conseguenze positive, pur economicamente valutabili, derivanti dal reato che non costituiscano risultato immediato e diretto della condotta illecita. 3.3. Giova inoltre porre l'accento sul fatto che la nozione di profitto assoggettabile ad ablazione è stata tradizionalmente elaborata con riguardo ai tipici reati contro il patrimonio sostanzianti una spoliazione della persona offesa quali il furto o la rapina rispetto a tali fattispecie incriminatrici, il profitto del reato è stato individuato nell'intero valore delle cose ottenute attraverso la condotta criminosa senza poter scomputare le spese sostenute per procurarsi i mezzi strumentali e quindi per l'esecuzione materiale del delitto. Ancora, in caso di reati la cui condotta sostanzi un contratto a prestazioni corrispettive avente oggetto illecito, il profitto confiscabile è stato solitamente determinato nell'intero valore della controprestazione del rapporto sinallagmatico si pensi, ad esempio, al profitto conseguente all'attività di cessione di sostanze stupefacenti, fattispecie rispetto alla quale il profitto del reato viene fatto coincidere con l'intero valore del contratto stipulato fra le parti, in particolare con la somma pagata per la compravendita avente ad oggetto il materiale drogante Cass. Sez. 6 del 18/11/2010, numero 44096, Mbaye Rv. 249073 . In tutte le ipotesi sopra delineate, i costi sostenuti dall'agente nella fase preparatoria e/o esecutiva dell'illecito - oltre ad essere essi stessi spesso legati a negozi intrinsecamente illeciti, in quanto contrari a norme imperative si pensi al rifornimento dello stupefacente poi oggetto di cessione - riguardano comunque attività strumentali o strettamente collaterali alla commissione dell'illecito ed, in quanto tali, sono esse stesse connotate da illegalità. I costi eventualmente sostenuti dall'agente per l'esecuzione del contratto a prestazioni corrispettive integralmente contaminato da illiceità risultano pertanto non defalcabili dal profitto confiscabile, trattandosi di spese, oltre che difficilmente documentabili e non determinabili in modo preciso, comunque sostenute a fronte di attività strettamente funzionali all'agire illegale ed esse stesse illecite, dunque immeritevoli di qualunque tutela da parte dell'ordinamento. 3.4. La questione della determinazione del profitto confiscabile risulta ancor più problematica allorché si abbia a che fare con forme di criminalità c.d. economica, connesse ad un'attività lecita d'impresa nella quale si insinuino condotte integranti reato. Si pensi ai reati di truffa o di corruzione finalizzati alla aggiudicazione di un appalto ovvero ad ottenere la liquidazione da parte del pubblico ufficiale di un corrispettivo più elevato di quello dovuto nell'ambito di un rapporto sinallagmatico stipulato fra impresa privata ed ente pubblico. Inserendosi l'illecito nell'ambito di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive di per sé non illegale, risulta più problematico stabilire se il profitto del reato - cioè il beneficio aggiunto di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale dall'attività del reo - sia rappresentato dall'intero valore della commessa acquisita o del contratto stipulato, ovvero se esso debba essere circoscritto al guadagno netto tratto dall'imprenditore nel dare esecuzione alla prestazione concordata. 3.5. Il nodo ermeneutico si presenta oltremodo complesso da sciogliere nei casi di confisca previsti nel quadro della responsabilità amministrativa degli enti e, soprattutto, nel caso di confisca sanzione ex art. 19 del decreto numero 231/2001 per un verso, si tratta di determinare l'oggetto di una misura che viene esplicitamente qualificata dalla legge quale sanzione per altro verso, la confisca colpisce una persona giuridica che - almeno secondo il modello tipico di autore tenuto presente dal legislatore del 2001 - delinque solo occasionalmente e strumentalmente e che pertanto potrebbe avere commesso l'illecito nella cornice di una normale attività d'impresa ai fini dell'acquisizione o nel corso dell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive poi regolarmente eseguito come appunto nel caso di specie, nel quale l'ente ha ottenuto l'appalto a seguito di una condotta di natura fraudolenta commessa da un proprio soggetto apicale, cui abbia poi dato effettiva esecuzione . La determinazione del profitto confiscabile appare più agevole nelle ipotesi di cui agli artt. 6, comma 5, e 15, comma 4, d.lgs. numero 231/2001, atteso che in tale caso l'ablazione non può che colpire soltanto, e dunque rigorosamente, il puro vantaggio economico derivato all'ente in entrambi i casi, infatti, la misura assume una valenza sostanzialmente reintegrativa, mirando a riportare ad equilibrio un ordine economico violato, ma non ha intento punitivo non nella prima ipotesi, nella quale all'ente niente è rimproverabile visto che l'ente non viene chiamato a rispondere dell'illecito commesso dai propri soggetti apicali non nella seconda, nella quale il vantaggio economico costituisce il frutto di un'attività economica gestita longa manu dal giudice attraverso il commissario giudiziale e, dunque, per definizione lecita. In entrambi i casi previsti dagli artt. 6, comma 5, e 15, comma 4, d.lgs. numero 231/2001, la commisurazione del profitto confiscabile al lordo , anziché al netto cioè all'intero valore del contratto anziché all'utile, o comunque al margine di guadagno tratto nel darvi esecuzione , si tradurrebbe in un depauperamento del tutto ingiustificato, con effetti devastanti per la vita dell'ente e l'intera platea degli stake-holders, cioè dei lavoratori, azionisti, risparmiatori, creditori, clienti, fornitori ed, in genere, di tutti i terzi di buona fede. 3.6. La commisurazione del profitto oggetto della confisca ex art. 19 d.lgs. numero 231/2001 è un'operazione resa ardua da una pluralità di fattori. Innanzitutto, va considerata la già evidenziata natura poliedrica dell'istituto, che, sebbene esplicitamente inquadrato nel novero delle sanzioni applicabili all'ente, avendo ad oggetto il risultato economico dell'attività illecita, non può non avere anche una funzione special-preventiva ed una finalità riequilibratrice. L'inquadramento della confisca ex art. 19 nella cornice del diritto punitivo obbliga inoltre al rispetto dei principi di tassatività, determinatezza e proporzionalità nella commisurazione del quantum della sanzione, e dunque impone l'ancoraggio a criteri certi della definizione del profitto confiscabile, sebbene - come si è già notato - i parametri di riferimento, id est il prezzo ed il profitto, non siano definiti nell'ambito di un intervallo edittale stabilito dal legislatore in modo astratto e fisso, ma siano fisiologicamente variabili, modulandosi allo specifico fatto per il quale è procedimento. D'altra parte, il profitto confiscabile è certamente entità che appartiene alla sfera del diritto penale o comunque sanzionatorio e non può ricostruirsi sulla base di criteri aziendalistici. Nondimeno, in ossequio al principio di legalità, allorché si tratti di illecito commesso nell'ambito di una lecita attività d'impresa, il profitto deve essere rigorosamente circoscritto al vantaggio direttamente riconducibile all'attività illegale la regola secondo cui l'illecito non può pagare , non può consentire di attingere vantaggi patrimoniali conseguenti da attività del tutto lecite, pena danni irreparabili sia per l'impresa, condannata al fallimento, sia per i terzi incolpevoli, quali i lavoratori ed i creditori. Non si può inoltre sottacere che la confisca non costituisce l'unica sanzione adottabile nei confronti dell'ente potendo essere, oltre ad essa, applicate la sanzione pecuniaria e, nei casi consentiti, anche la sanzione interdittiva e disposta la pubblicazione della sentenza , di tal che l'esigenza di definire in modo rigoroso i confini dell'oggetto dell'ablazione risulta quanto mai importante in caso di responsabilità amministrativa, per scongiurare una irragionevole ed ingiustificata duplicazione di strumenti punitivi, suscettibile di riverberare in termini pesantemente negativi sulla vita della persona giuridica fondamentalmente sana e, soprattutto, dei terzi incolpevoli. 3.7. Della determinazione del profitto confiscabile ex art. 19 si sono specificamente occupate le Sezioni Unite nella più volte citata pronuncia numero 26654 del 2008 , con la quale la suprema Corte ha cercato di fissare dei principi generali in punto di commisurazione del profitto suscettibile di confisca sanzione, universalmente validi ed esportabili nei diversi casi astrattamente riscontrabili nella prassi. Ripercorrendo i punti salienti della decisione, in primo luogo, la Corte ha chiarito che, nel delineare il profitto confiscabile non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico, in quanto, nell'assolvere una funzione di deterrenza, la confisca risponde ad esigenze di giustizia e nel contempo di prevenzione generale e speciale, non potendosi ammettere che il crimine possa rappresentare un legittimo titolo di acquisto della proprietà o di altro diritto sul bene e che il reo possa rifarsi dei costi affrontati per la realizzazione del reato. Dopo avere richiamato le nozioni di profitto fissate in precedenti pronunce a composizione allargata già sopra ricordate secondo cui il profitto del reato va inteso come vantaggio di natura economica , come beneficio aggiunto di natura patrimoniale , come utile conseguito dall'autore del reato in seguito alla commissione del reato Cass. Sez. U del 24/05/2004, numero 29951, cit. e Sez. U del 25/10/2005, numero 41936, cit. ed affermato che il parametro della pertinenzialità al reato del profitto rappresenta l'effettivo criterio selettivo di ciò che può esser confiscato a tale titolo , la Corte ha tracciato un netto discrimen fra profitto conseguente da un reato contratto e profitto derivante da un reato in contratto . Nel primo caso - in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione - si determina un'immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l'effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca nel secondo caso - in cui il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale - è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perché il contratto è assolutamente lecito e valido inter partes ed eventualmente solo annullabile ex artt. 1418 e 1439 c.c. , con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall'agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente. Esemplificando il ragionamento svolto nella pronuncia, risulta riconducibile all'ipotesi del c.d. reato contratto il caso in cui il reato presupposto si sostanzi in un'attività integralmente illecita, come l'associazione finalizzata ad attività di narcotraffico, fonte di responsabilità per l'ente ex art. 24-ter d.lgs. numero 231/2001 risulta invece inquadrabile nell'ipotesi del c.d. reato in contratto il caso in cui l'illecito si inserisca nella fase della negoziazione e stipula di un contratto sinallagmatico, cui l'ente abbia poi dato regolare e lecita esecuzione, come nei casi di truffa in danno dello Stato o di corruzione, fonte di responsabilità per l'ente rispettivamente ex artt. 24 e 25 stesso decreto. Le Sezioni Unite hanno quindi chiarito come, ferma l'assoggettabilità a confisca dell'intero vantaggio patrimoniale conseguito dai reati contratto , nelle ipotesi di reato in contratto è necessario distinguere il vantaggio economico derivante direttamente dal reato profitto confiscabile dal corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell'ambito di un affare che trova la sua genesi nell'illecito profitto non confiscabile in particolare, il profitto deve essere concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente , evidenziando come lo stesso art. 19 impedisca l'assoggettamento a confisca della parte del profitto che può essere restituita al danneggiato. I principi espressi dalle Sezioni Unite sono stati successivamente ribaditi da questa Corte Cass. Sez. 6 del 17/06/2010, numero 35748, P.M. e Impregilo S.p.A. Rv. 247914 . 3.8. Dalle superiori considerazioni discende che l'area del profitto assoggettabile a confisca ex art. 19 del decreto numero 231 ha un'ampiezza diversa a seconda della fattispecie costituente reato presupposto. Come si è già sopra accennato, nel caso in cui l'attività illegale non comporti lo svolgimento di alcuna controprestazione lecita da parte dell'ente - come nel caso di impresa criminale dedita ad attività di narcotraffico ipotesi riconducibile all'art. 24-ter d.lgs. numero 231/2001 -, il profitto confiscabile non potrà che identificarsi con l'intero valore del negozio, in quanto integralmente frutto di un'attività illegale, facendo difetto qualunque costo scorporabile, perché intrinsecamente illecito o comunque concernente attività strumentali e/o correlative rispetto al reato presupposto. Nei casi in cui il reato presupposto sia costituito dal reato di manipolazione di mercato ipotesi riconducibile all'art. 25-sexies d.lgs. numero 231/2001 , il profitto andrà commisurato al solo aumento di valore del titolo azionario prodottosi in ragione dell'attività illegale dispiegata, atteso che soltanto la plusvalenza è riconducibile causalmente all'attività illegale, e non potranno essere detratte le spese sostenute per il compimento di operazioni strumentali all'esecuzione dell'illecito ad esempio, costi finanziari per le operazioni di acquisto o vendita dei titoli oggetto di manipolazione . Nel caso di truffa o di corruzione finalizzata ad ottenere l'aggiudicazione di una commessa ovvero a conseguire, nell'ambito di un rapporto negoziale a prestazioni corrispettive, un corrispettivo più elevato di quello dovuto ad esempio in sede di remunerazione delle varianti in corso d'opera o di pagamento delle c.d. riserve - ipotesi riconducibili ai casi di cui agli artt. 24 e 25 d.lgs. numero 231/2001 -, trattandosi di contratti validi inter partes e solo annullabili, il profitto dovrà essere commisurato alla differenza fra l'intero valore del contratto e l'utilità effettivamente conseguita dalla controparte. Come già affermato da questa Corte, in caso di appalto acquisito a seguito di corruzione, non può definirsi illecito e dunque confiscabile, il profitto conseguente da un'effettiva e corretta esecuzione delle prestazioni svolte in favore della controparte, pur in virtù di un contratto instaurato illegalmente il profitto confiscabile non va identificato con l'intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A., dovendosi in proposito distinguere il profitto direttamente derivato dall'illecito penale dal corrispettivo conseguito per l'effettiva e corretta erogazione delle prestazioni svolte in favore della stessa amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell'illiceità della causa remota Cass. Sez. 6 del 26/03/2009, numero 17897, P.M. in proc. Ferretti, Rv. 243319 . Soltanto rispetto alla differenza fra l'intero valore del contratto ed il valore della prestazione effettivamente svolta a vantaggio della controparte è, difatti, possibile affermare che l'ente abbia tratto un'utilità economicamente valutabile quale frutto immediato e diretto dell'illecito, laddove la seconda voce - cioè il corrispettivo percepito dall'ente in stretta correlazione alla prestazione eseguita - rappresenta un vantaggio economico conseguenza di un'attività lecita e non trova in effetti la sua causa nel reato. Se il profitto si sostanzia nel beneficio aggiunto di natura patrimoniale tratto dalla condotta illecita, esso non può che essere pari all'intero prezzo pattuito della commessa, cioè al valore totale fatturato del contratto, al netto del valore della prestazione effettivamente garantita alla controparte, di tal che, in caso di esecuzione solo parziale o in parte non conforme a quanto convenuto o comunque non utile, si dovrà detrarre soltanto il corrispettivo pro quota o comunque stimato equo per la prestazione eseguita. Nel caso in cui l'illecito sia stato commesso nell'ambito di un'attività d'impresa lecita, il provvedimento ablatorio deve dunque essere circoscritto al vantaggio economico tratto dall'attività illecita al netto della utilitas comunque conseguita dalla controparte dall'adempimento della prestazione oggetto del contratto, trattandosi - riguardo a quest'ultima - di vantaggio economico non direttamente né immediatamente riconducibile al reato, ma soltanto all'esecuzione del rapporto obbligatorio, che, pertanto, non può andare a comporre il profitto confiscabile. 3.9. Tirando le fila di quanto sopra, nel caso in cui il reato presupposto sia riconducibile ad un'ipotesi di c.d. reato in contratto, il profitto assoggettabile a confisca ex art. 19 del decreto numero 231 dovrà, dunque, essere determinato tenendo in considerazione un duplice criterio da un lato, potranno essere assoggettati ad ablazione tutti i vantaggi di natura economico patrimoniale che costituiscano diretta derivazione causale dell'illecito c.d. concezione causale del profitto , di tal che la confisca potrà interessare esclusivamente l'effettivo incremento del patrimonio dell'ente conseguito dall'agire illegale dall'altro lato, non potranno essere aggrediti i vantaggi eventualmente conseguiti dall'ente in conseguenza di prestazioni lecite effettivamente svolte a favore del contraente nell'ambito del rapporto sinallagmatico, cioè pari alla utilitas di cui si sia giovata la controparte. Quale naturale corollario del primo criterio, non potranno essere confiscati e neppure assoggettati a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente i crediti, ancorché liquidi ed esigibili, che non siano stati ancora riscossi dall'ente, in quanto si tratta di utilità non ancora percepite dall'ente, ma soltanto attese, in quanto tali non integranti un beneficio aggiunto di natura patrimoniale derivante dall'illecito Cass. Sez. 5 del 14/12/2011, numero 3238, Società Valore S.p.A., Rv. 251721 Sez. 6, numero 13061 del 19/03/2013, Soc. Coop. CMSA, Rv. 254841 . Ancora, in un caso di appalto affidato a seguito di truffa aggravata e corruzione, non potranno essere assoggettate ad ablazione le utilità prospettiche e non ancora acquisite, determinate sulla base delle previsioni degli utili Cass. Sez. 2, numero 8339 del 12/11/2013, De Cristofaro Rv. 258787 . Come di recente ribadito da questa Corte in tema di responsabilità da reato degli enti, il profitto confiscabile è infatti solo quello costituito da un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale dell'ente beneficiario, ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica ed avvinto all'azione criminosa da una stretta relazione causale Cass. Sez. 5, numero 10265 del 28/11/2013, Banca Italease S.p.a., Rv. 258577 . Quanto al secondo criterio, dal prezzo indicato nel contratto dunque al lordo dovranno essere defalcate le somme riscosse dall'ente pari alla effettiva utilità conseguita dal danneggiato , id est al valore della prestazione di cui la controparte si sia effettivamente avvantaggiata in esecuzione di un contratto sinallagmatico. 3.10. Fissate tali coordinate ermeneutiche, resta da affrontare il tema, per vero anch'esso assai problematico, della determinazione del valore della utilitas conseguita dalla controparte dalla esecuzione del contratto sinallagmatico, unica voce scomputabile dal complessivo valore del negozio e, quindi, sottratta all'ablazione. In particolare, v'è da chiedersi se tale utilità possa essere determinata avendo riguardo al prezzo della prestazione indicato nel contratto ovvero al valore di mercato di essa o ancora ai costi effettivamente sostenuti dall'impresa per dare esecuzione alla prestazione, ricostruibili sulla base della contabilità obbligatoria e dei bilanci oggetto di revisione contabile, ovvero dei costi medi delle imprese del medesimo settore per dare esecuzione a quella tipologia di prestazione. Il punto fermo da cui occorre prendere le mosse è che, nella commisurazione del valore della utilità conseguita dal danneggiato , non si può in alcun modo tenere conto del margine di guadagno per l'ente, dell'utile d'impresa che - almeno fisiologicamente - compone il corrispettivo pagato per la prestazione tenuto conto della ratio dell'istituto, ispirata al principio secondo il quale crimen non lucrat , non è invero ammissibile che la persona giuridica chiamata a rispondere della responsabilità amministrativa possa trarre un qualunque vantaggio economico, un lucro, dall'agire illecito. Ne discende che l’ utilitas non può essere commisurata al prezzo indicato nel contratto, in ipotesi viziato dall'attività illecita, né al valore di mercato della prestazione ivi prevista, in quanto di necessità inglobanti anche un margine di guadagno per l'ente, un utile d'impresa, un quid pluris rispetto al valore nudo della prestazione, che non può essere riconosciuto per le ragioni sopra esplicitate. Ed invero, solo impedendo che dal profitto confiscabile venga defalcato il margine di guadagno tratto dall'ente dalla commessa oggetto dell'illecito, è possibile evitare il risultato paradossale in evidente contrasto con la voluntas legis - stigmatizzato da taluna dottrina -, secondo cui, in caso di esatto adempimento del contratto pur inquinato dall'illecito, potrebbe in concreto non configurarsi nessun profitto confiscabile, pur avendo l'ente tratto dall'attività illecita un vantaggio da un punto di vista economico, rappresentato appunto dall'utile di impresa. Sulla scorta di tali premesse, ritiene allora il Collegio che il valore della prestazione svolta a vantaggio della controparte debba essere commisurato ai soli costi vivi , concreti ed effettivi, che l'impresa abbia sostenuto per dare esecuzione all'obbligazione contrattuale, non potendo - come già esplicitato -computarsi nel valore della utilitas conseguita dalla controparte anche il margine di guadagno per l'ente esecutore. Al fine di determinare i costi vivi sostenuti dall'ente per dare adempimento alla prestazione di cui la controparte si sia avvantaggiata, l'Autorità Giudiziaria potrà avvalersi dell'esito degli accertamenti compiuti dalla Polizia Giudiziaria ovvero, se non esaurienti, delle indicazioni di un tecnico, nominato quale consulente o perito, che tengano conto, da un lato, delle risultanze della contabilità e dei bilanci dell'ente, dall'altro lato, del costo di mercato di quella tipologia di prestazione, avuto riguardo ai valori medi del settore, e di qualunque altro dato che possa consentire di correggere eventuali sopravvalutazioni dei costi esposti nei documenti contabili e, dunque, di limare cifre che risultassero essere state artatamente maggiorate, secondo una linea di continuità con le condotte illecite oggetto del procedimento. Sulla base di tali dati, il giudice potrà così determinare, in modo esatto e giuridicamente corretto, sulla base di dati concreti e non presuntivi, l'ammontare della voce di costo scorporabile dal ricavo lordo percepito dall'ente e, quindi, il quantum di profitto confiscabile. Mette conto porre in risalto come, in sede di commisurazione della utilitas conseguita dalla controparte, non si potrà tenere conto del compenso percepito in relazione a prestazioni, o a parti di esse, che risultassero del tutto inutili nell'economia del contratto e dunque indicate ad arte solo per gonfiare il prezzo del negozio. Ancora, nel caso in cui l'esecuzione della prestazione sia parziale o in parte non conforme a quanto convenuto, dal valore complessivo del contratto potrà essere detratto soltanto il costo pro quota stimato equo per la prestazione in effetti eseguita e di cui la controparte si sia utilmente giovata. Così come ricostruito, il perimetro del profitto confiscabile viene dunque a comprendere esclusivamente il beneficio patrimoniale netto derivante dall'attività illecita e lascia fuori i vantaggi economici netti derivanti dall'esecuzione di un'attività di per sé lecita. Risulta di tutta evidenza come il profitto confiscabile non coincida con il profitto netto inteso in senso aziendalistico, laddove isola e dunque assoggetta ad ablazione , nell'ambito dell'intero prezzo indicato nel contratto e versato dalla controparte, le somme percepite dall'ente che non siano giustificate dai costi concreti ed effettivamente sostenuti per dare esecuzione alla prestazione di cui la controparte si sia avvantaggiata si tratta, dunque, di concetto estraneo all'utile d'impresa, costituendo - in linea con le indicazioni date dalle Sezioni Unite - l' utile netto tratto dall'agente quale diretta ed immediata conseguenza dell'operazione criminale. 4. Svolta questa ampia premessa in punto di commisurazione del quantum di profitto assoggettabile a confisca ai sensi dell'art. 19 d.lgs. numero 231/2001 e quindi a sequestro finalizzato alla confisca a mente dell'art. 53 dello stesso decreto, passando alla delibazione del caso di specie, ritiene questa Corte che il Tribunale del riesame di Milano abbia correttamente richiamato i principi affermati da questa Suprema Corte nella più volta citata sentenza a Sezioni Unite numero 26654 del 2008 e che, nondimeno, non abbia poi fatto buon governo di essi. 4.1. Ed invero, come chiarito neV.d. ritenuto in fatto, il procedimento per responsabilità amministrativa a carico di G-Risk s.r.l. concerne l'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a , 6, 24 d.lgs. numero 231/2001 derivante dal reato di cui agli artt. 110 e 640, comma 2, cod. penumero capo 54 . Orbene, secondo la stessa prospettazione accusatoria, l'illecito amministrativo deriva da una condotta fraudolenta artifici e raggiri realizzata ponendo in essere condotte di turbativa d'asta e di falso sub capi 50, 50 bis, 52 e 52 bis , dunque, da un lato, assegnando gli incarichi di consulenza in assenza della procedura selettiva prevista per legge, dall'altro lato, retrodatando e frazionando artificiosamente le singole commesse ed addivenendo alla stipula di contratti di consulenza in violazione dei principi di imparzialità, di buon andamento e di economicità della attività della pubblica amministrazione. Contrariamente a quanto argomentato dal Collegio della impugnazione cautelare, i contratti de quibus , pur inquinati dai delineati comportamenti fraudolenti, devono ritenersi validi inter partes , in quanto solo annullabili. Il caso in oggetto risulta invero in tutto sovrapponibile all'ipotesi presa in considerazione da questa Corte nella sentenza delle Sezioni Unite del 2008 numero 26654, nella quale si legge il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale c.d. reato in contratto , è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perché assolutamente lecito e valido inter partes è il contratto eventualmente solo annullabile ex artt. 1418 e 1439 c.c. , con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall'agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente. È il caso proprio del reato di truffa di cui si discute, che non integra un reato contratto , considerato che il legislatore penale non stigmatizza la stipulazione contrattuale, ma esclusivamente il comportamento tenuto, nel corso delle trattative o della fase esecutiva, da una parte in danno dell'altra . A ciò si aggiunga che, nella imputazione provvisoria, non risulta contestata la violazione del disposto dell'art. 7, comma 6, d.lgs. numero 165 del 2001, invece evidenziata dal Tribunale del riesame, e che comunque tale violazione non sarebbe idonea a contaminare di illiceità l'intero contratto ed a comportare la totale immedesimazione del reato col negozio giuridico. 4.2. Riprendendo un ulteriore passaggio della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite numero 26654/2008 che si attaglia perfettamente al caso di specie, Trattasi, quindi, di un reato in contratto e, in questa ipotesi, il soggetto danneggiato, in base alla disciplina generale del codice civile, può mantenere in vita il contratto, ove questo, per scelta di carattere soggettivo o personale, sia a lui in qualche modo favorevole e ne tragga comunque un utile, che va ad incidere inevitabilmente sull'entità del profitto illecito tratto dall'autore del reato e quindi dall'ente di riferimento Più concretamente, in un appalto pubblico di opere e di servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da illiceità nella specie truffa , l'appaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie sia pure in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto l'iniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita. Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall'obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas , non può costituire una componente del profitto da reato, perché trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure . 4.3. In conclusione, contrariamente a quanto - seppure implicitamente - argomentato dal Tribunale della cautela, nel caso in oggetto, ci si trova in presenza, non di un reato contratto cioè di un contratto ontologicamente illecito , bensì di un tipico reato in contratto cioè viziato e quindi annullabile, ma eseguibile . D'altra parte, secondo il tenore della stessa imputazione provvisoria, non vi sono ragioni per ritenere che i contratti de quibus non siano stati in effetti eseguiti, di tal che, in ossequio ai principi sopra illustrati e innanzi ribaditi, dall'area del profitto confiscabile e, quindi, assoggettabile a sequestro ex art. 53 d.lgs. numero 231/2001, deve essere escluso il compenso percepito a fronte della utilità tratta dalla controparte dall'adempimento delle prestazioni oggetto del negozio, in quanto consistite in attività in effetti in tutto lecite e come tali legittimamente remunerabili. Il Tribunale milanese ha dunque errato allorché ha ritenuto assoggettabile a confisca e, dunque, a sequestro funzionale all'ablazione l'intero valore dei contratti, pari a 560.000,00 Euro, dovendo da esso - in applicazione dei sopra delineati criteri di determinazione del profitto del reato in caso di reato in contratto - defalcarsi il corrispettivo incamerato dell'ente a fronte delle prestazioni lecite eseguite in favore della controparte, pur nell'ambito di un affare che trova la sua genesi in un illecito segnatamente commesso nella fase della formazione della volontà contrattuale . Nella definizione dell'area del profitto confiscabile ed, in particolare, della utilità conseguita dagli enti I.L. S.p.A. e C.A.L. S.p.A. non assoggettabile a confisca, il decidente si dovrà pertanto attenere ai criteri tracciati nei punti 3.8 - 3.10 del considerato in diritto ed, in particolare, dovrà fare attenzione ad evitare di sottrarre dal quantum confiscabile con ciò riconoscendo un correlativo corrispettivo legittimo alla G-Risk s.r.l. le somme percepite in relazione a prestazioni del tutto superflue nell'economia del contratto o, peggio, non eseguite o eseguite con modalità non conformi a quanto convenuto nel contratto. P.Q.M. annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.