Il Ministero della Giustizia può essere condannato al pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza ma non a quelle di lite

Con la decisione in commento la Corte di Cassazione, chiamata a giudicare in base alla legislazione vigente al tempo della emissione del provvedimento impugnato sopra un ricorso proposto dal Ministero della Giustizia contro un’ordinanza del Magistrato di sorveglianza, che aveva statuito l’allocazione di un detenuto presso una stanza di pernottamento con superficie calpestabile non inferiore a tre metri quadrati, ha riaffermato il principio di diritto della condanna dell’Amministrazione dello Stato, ricorrente per cassazione, nel caso di rigetto o di dichiarazione della inammissibilità della impugnazione.

Tale principio, già espresso dalle Sezioni unite sent. n. 34559/2002 , si fonda sopra la constatazione secondo cui nel caso in cui la pubblica amministrazione assume il ruolo di contraddittore necessario e sostanziale, come avviene nell’ambito del procedimento di reclamo relativo alle condizioni di detenzione, la stessa deve ritenersi come parte privata” ai sensi dell’art. 616, comma 1, c.p.p. e non anche pubblica”, dovendosi riservare tale ultima qualificazione solo al pubblico ministero. Ma se così è, può condannarsi la parte privata – pubblica amministrazione anche al pagamento delle spese di lite e, quindi, in sostanza a rifondere le spese legali sostenute dal detenuto per far valere i propri diritti? Sul punto la risposta data dalla Suprema Corte è stata negativa per una serie di ragioni. In particolare si è osservato che la natura giurisdizionale e contenziosa del procedimento vertente sopra il grave e attuale pregiudizio all’esercizio dei diritti del detenuto, finalizzato all’adozione di un provvedimento riparatorio, non può essere tale da equiparare detto procedimento ad una vertenza di natura civilista, analoga a quella riparatoria inerente alle medesime problematiche e per le quali sarebbe certamente ipotizzabile una applicazione del principio di soccombenza. A detta della Cassazione, infatti, il legislatore ha attribuito al tribunale civile la competenza relativa alla speciale azione risarcitoria solo nei casi di patita custodia cautelare infungibile e di intervenuta espiazione della pena, con la conseguenza che sarebbe esclusa la natura civilistica della procedura – di competenza della magistratura di sorveglianza – di reclamo giurisdizionale, ancorché sia possibile in tale sede disporre il risarcimento per i casi non sottoposti al vaglio del giudice civile. Stando così le cose, non potrebbe applicarsi, neppure in via analogica, la disciplina ex art. 91 e ss. c.p.c Da qui l’affermazione della seguente massima colla tipologia del procedimento di sorveglianza , in linea di principio, è affatto estraneo il regolamento delle spese inter partes . La conclusione cui è pervenuta l’Alta Corte appare condivisibile e non merita particolari considerazioni ulteriori sul piano del diritto positivo. De iure condendo , tuttavia, non pare inopportuno auspicare che nella materia de qua , ove si constati una evidente capziosità da parte dell’Amministrazione pubblica, che costringa il detenuto a doversi ripetutamente difendere in sede di contenzioso per far valere i propri diritti fondamentali, venga finalmente affermata la possibilità di una condanna al pagamento delle spese di lite nel caso di soccombenza del Ministero della giustizia. Date le pochezze della finanza pubblica attuale, il tutto rimane un puro auspicio, ma è bene non rinunciare al punto. Dopo tutto, non era forse un sogno pensare che un giorno lo Stato avrebbe garantito effettivamente al recluso uno spazio vitale minimo e che lo stesso lo avrebbe dovuto risarcire in caso di inadempimento? Il diritto è pur sempre scienza dello spirito e lo spirito si alimenta anche di buoni” sogni.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 novembre – 19 dicembre 2014, n. 53011 Presidente Siotto – Relatore Vecchio Rileva in fatto 1. — Con ordinanza, deliberata e depositata il 6 febbraio 2014, il Magistrato di sorveglianza di Venezia, in relazione al reclamo del detenuto in epigrafe indicato, deliberando in contraddittorio colla Amministrazione penitenziaria, costituitasi e resistente con memoria del 27 gennaio 2014, ha disposto l'allocazione del reclamante presso una stanza di pernottamento, con superficie calpestabile pro capite non inferiore a tre metri quadrati ha rigettato la ulteriore istanze dell'interessato di assegnazione a cella di più ampia superficie e le doglianze in ordine ai servizi igienici, alle condizioni di illuminazione e di areazione, alla durata della permanenza giornaliera fuori cella ha, infine, dichiarato non doversi procedere al regolamento delle spese del procedimento. 1.1 — In particolare il Magistrato di sorveglianza, sulla base dei dati forniti dalla Amministrazione penitenziaria, in ordine alla metratura delle stanze di pernottamento ” nelle quali è stato ristretto, di volta in volta, il reclamante, allo spazio occupato dalle suppellettili ” e al numero degli occupanti, ha accertato che sempre o quasi sempre ” e anche senza tenere conto dell'ingombro costituito da letto, armadio e lavabo ”, lo spazio intramurario assicurato al detenuto e ai compagni di cella era inferiore a tre metri quadrati pro capite . 1.2 - Quindi, riconosciuta l'esattezza del rilievo della Avvocatura distrettuale dello Stato sul punto che nessuna norma di legge prevede la indicazione numerica della superficie che deve avere la cella per potere essere considerata adeguata e sufficiente alla al trattamento umano del detenuto ”, il Giudice a quo ha richiamato i criteri affermati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo e, in particolare, dalla sentenza pilota dell'8 gennaio 2013, Torreggiani, circa la determinazione dello spazio vitale minimo ” delle celle al di sotto del quale [ ] è ravvisabile la patente violazione ” del divieto dei trattamenti inumani o degradanti stabilito dall'articolo 3 CEDU. E ha concluso per la fondatezza della doglianza del reclamante, circa la insufficienza della ampiezza della camera di pernottamento e la inosservanza da parte della Amministrazione Penitenziaria della disposizione dell'articolo 6 dell'Ordinamento penitenziario. 1.3 - In ordine al regolamento delle spese, il Magistrato di sorveglianza ha divisato che la natura del procedimento riconducibile a quello di esecuzione ” esclude la applicazione del principio della soccombenza. 2. - Il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica pro tempore , organicamente rappresentato e legalmente difeso dalla competente Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, ha proposto ricorso per cassazione mediante atto recante la data del 19 febbraio 2014 depositato il 20 febbraio 2014 , col quale ha sviluppato due motivi. 2.1 - Col primo motivo di ricorso l'Avvocatura distrettuale ha denunziato violazione degli articoli 3, 46 CEDU, dell'articolo 10 Costituzione, dell'articolo 6 dell'Ordinamento penitenziario e del d.P.R. 25 marzo 1998, n. 138, Allegato C. Dopo aver censurato che l'accertamento del Magistrato di sorveglianza sul punto che la superficie della cella in cui [il reclamante] è ristretto fosse inferiore a tre metri quadrati ”, sarebbe stato non puntuale, bensì desunto in base a una valutazione di massima di natura probabilistica ”, la ricorrente nega, con vari argomenti e con richiamo alla sentenza della Corte EDU, 5 marzo 2012, caso Tellissi, che l'Amministrazione penitenziaria sia obbligata ad assegnare il detenuto a spazi netti non inferiori a tre meri quadrati ” e oppone che si deve, invece, tenere conto della superficie lorda dei vani e, a tal fine, conteggiarsi persino lo spessore dei muri interni e perimetrali sino a cinquanta centimetri ”, secondo le diposizioni che disciplinano il computo della superficie catastale. 2.2 - Col secondo motivo di ricorso l'Avvocatura distrettuale ha denunziato violazione degli articoli 90, 91, 92, 112 cod. proc. civ., 8 e 158 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato con d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, censurando l'omesso regolamento delle spese del procedimento. 3. - Il detenuto ha resistito alla impugnazione, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Florindo Ceccato, mediante memoria del 30 settembre 2014, instando per la conferma ” della ordinanza impugnata e la condanna del Ministero ricorrente alla rifusione delle spese processuali, per responsabilità aggravata, ai sensi dell'articolo 96 cod. pen., con distrazione a favore del difensore antistatario. 4. - Il procuratore generale della Repubblica presso questa Corte suprema di cassazione, mediante atto recante la data del 16 giugno 2014, ha osservato il giudice a quo ha qualificato il reclamo del detenuto, ai sensi dell'articolo 35-6is dell'Ordinamento penitenziario la disposizione prevede che avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza è ammesso reclamo al tribunale di sorveglianza non è esperibile, in via alternativa, il ricorso di legittimità per saltum , ammesso esclusivamente avverso le sentenze la impugnazione non correttamente indirizzata ” deve essere riqualificata, ai sensi dell'articolo 568, comma 5, cod. proc. pen. come reclamo al tribunale di sorveglianza e trasmessa a quell'ufficio. 5. - Alla udienza camerale dell'11 novembre 2015, fissata per la trattazione del ricorso, il Collegio ha riservato la decisione alla odierna camera di consiglio. 6. - Riveste carattere preliminare la questione di diritto, in rito, della competenza di questa Corte di legittimità, quale giudice della impugnazione, a conoscere il ricorso, anche a fronte della espressa richiesta del Procuratore generale di qualificazione dell'atto come reclamo e di inoltro al Tribunale di sorveglianza di Venezia. La questione deve essere risolta in senso positivo, in difformità della richiesta del Pubblico Ministero requirente. 6.1 - L'articolo 35-bis dell'Ordinamento penitenziario dispone al comma 4 modificato dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10, del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, che ha introdotto il citato articolo Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza [sul reclamo giurisdizionale] è ammesso reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito della decisione stessa ”. Il successivo comma 4-bis introdotto dalla citata legge di conversione recita La decisione del tribunale di sorveglianza è ricorribile per cassazione per violazione di i legge nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito della decisione stessa” . Ma il ricorso è stato presentato dalla Avvocatura distrettuale dello Stato il 20 febbraio 2014, nel vigore dell'articolo 35-bis, comma 4, dell'Ordinamento penitenziario nel testo introdotto dall'articolo 3, comma 1, lettera b , del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, prima delle modificazioni apportate dalla legge di conversione promulgata il giorno successivo v. supra . La norma recitava 4. Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito ”. L'Avvocatura distrettuale dello Stato aveva, pertanto, correttamente esperito il mezzo di impugnazione previsto ilio tempore dalla legge vigente al momento della presentazione del ricorso. Sicché, nella specie, la quaestio iuris si focalizza nel quesito se le modificazioni apportate dal legislatore della conversione in legge al sistema delle impugnazioni colla sostituzione del comma 4 dell'articolo 35-bis dell'Ordinamento penitenziario e colla introduzione del comma 4-bis nel corpo nel medesimo articolo incidano escludendola sulla competenza del giudice della impugnazione, già adito dalla parte ricorrente la Corte suprema di cassazione e comportino, conseguentemente, la traslatio iudici a favore del giudice divenuto competente iure superveniente il Tribunale di sorveglianza di Venezia . 6.2 — In carenza di veruna disciplina transitoria trova pacificamene applicazione il principio giuridico di determinazione della competenza del tempus regit actum . Se non che nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità è dato censire sensibili oscillazioni in merito alla individuazione del criterio ulteriore di collegamento ai fini della applicazione del succitato principio, in materia di impugnazioni. Secondo un primo indirizzo lo ius superveniens trova immediata applicazione nei giudizi di impugnazione pendenti, non ostante che nel vigore della previgente disciplina il provvedimento impugnato sia stato deliberato e la impugnazione sia stata proposta, fatto salvo solo il caso della perpetuatio iurisdictionis , reputato ricorrente qualora il giudice ad quem abbia già concretamente” incoato la trattazione della impugnazione così, per tutte, in tema di revisione Sez. Un., n. 1 del 03/02/1990 - dep. 16/03/1990, La Rocca, Rv. 183699 Le modifiche alle regole sulla determinazione della competenza del giudice dovute all'entrata in vigore di nuove norme legislative operano con effetti immediati anche se il procedimento sia iniziato prima dell'entrata in vigore della legge modificatrice tale principio è temperato da quello della perpetuatio iurisdictionis per effetto del quale la competenza per i procedimenti di cui sia già iniziata la trattazione resta radicata presso il giudice competente ai sensi delle norme anteriormente vigenti ”. Le Sezioni Unite hanno spiegato, nella citata sentenza, che, ai fini della perpetuatio , perché lo iudicium possa considerarsi acceptum con la conseguenza che ibi et finem accipere debet , non è sufficiente la semplice pendenza del procedimento davanti all'ufficio giudiziario, ma è necessario che il giudice abbia iniziato a conoscere del procedimento, abbia cioè esercitato attività di giurisdizione. In altre parole [ ] perché possa ritenersi operante il criterio della perpetuatio iurisdictionis [ ] è necessario che il giudice [ ] abbia iniziato concretamente la trattazione [del giudizio] prima dell'entrata in vigore delle nuove norme”. Secondo un altro orientamento il criterio cronologico-procedimentale di collegamento è costituito dal momento della presentazione della impugnazione nel senso che la competenza del giudice ad quem si cristallizza alla stregua della disciplina in vigore all'epoca del deposito dell'atto e resta insensibile allo ius superveniens Sez. 1, n. 5104 del 09/10/1996 - dep. 04/11/1996, Guarino A, Rv. 206145, in tema di riesame Sez. 6, Sentenza n. 27858 del 22/05/2001 - dep. 11/07/2001, Bianco, Rv. 219974, in tema di appello delle sentenze di condanna alla sola pena della multa Sez. 5, n. 17417 del 13/03/2007 - dep. 08/05/2007, Stampini e altri, Rv. 236553, in tema di appello della parte civile . Mentre bisognerebbe far riferimento alla scadenza del termine per la proposizione della impugnazione, nel senso che lo ius superveniens [ ] si applica esclusivamente alle ipotesi nelle quali i termini per la proposizione dell'appello non siano ancora decorsi”, secondo l'arresto della Sez. 5, n. 2883 del 17/05/2000 - dep. 12/06/2000, Moresco, Rv. 216500. Le Sezioni Unite, infine, sono ancora intervenute, modificando il loro precedente indirizzo, e hanno fissato il principio di diritto secondo il quale ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell'impugnazione. Sez. Un., n. 27614 del 29/03/2007 - dep. 12/07/2007, P.C. in proc. Lista, Rv. 236537 . 6.3 - A tale principio questo Collegio si uniforma e, in applicazione del medesimo, afferma la propria competenza a conoscere il ricorso proposto dall'Avvocatura distrettuale dello Stato. Al momento, infatti, del deposito della ordinanza impugnata 6 febbraio 2014 , era pacificamente esperibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento in parola, alla stregua e indipendentemente dalla disposizione non convertita contenuta nell'originario comma 4, dell'articolo 35-bis dell'Ordinamento penitenziario del combinato disposto degli articoli 35-bis, comma 1, dell'Ordinamento penitenziario, 666 cod. proc. pen. richiamato dal ridetto comma e recante la previsione del ricorso per cassazione e della speciale disposizione dell'articolo 71-ter, comma 1, dell'Ordinamento penitenziario. 7. - Il primo motivo di ricorso è inammissibile. 7.1 - È appena il caso di premettere che palesemente non pertinente è il richiamo della ricorrente alla norme tributarie, in materia del computo della superficie degli immobili ai fini castali. Affatto diverso è - alla evidenza - l'oggetto del procedimento. 7.2 - Manifestamente infondata è, poi, la denunzia della supposta violazione di norme di legge. In materia di spazi intramurari il legislatore non ha inteso stabilire precisi standard metrici di superficie, né indici di densità/affollamento della popolazione reclusa v. infra , come, peraltro, sostenuto dalla ricorrente dinnanzi al giudice a quo . Sicché non è ravvisabile, in radice, alcuna inosservanza o erronea applicazione di norme di legge nella decisione impugnata, la quale è, piuttosto, fondata sulla diversa valutazione del giudicante secondo il quale lo spazio intramurario nel quale il detenuto è ristretto comporta, per la esiguità della superficie, un trattamento inumano o degradante ”, vietato dalla legge. 7.3 - Epperò, anche in relazione alle residue censure proposte dalla ricorrente col primo mezzo di impugnazione, giova ricordare che l'articolo 236, comma 2, disp. coord. cod. proc. pen. la norma dispone Nelle materie di competenza del tribunale di sorveglianza continuano ad applicarsi le disposizioni contenute dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 diverse da quelle contenute nel capo II-bis del titolo II della stessa legge” non reca alcun riferimento alle materie di competenza del magistrato di sorveglianza. Consegue che l'articolo 11-ter dell'Ordinamento penitenziario contenuto nel capo 11-bis del titolo II non è derogato in parte de qua dalla anzidetta norma di coordinamento cfr. Cass., Sez. Un., 27 giugno 2006, n. 31461, Passamani, massima n. 234147, circa la intervenuta abrogazione delle disposizioni del suddetto capo II-bis in relazione alle materie di competenza del tribunale di sorveglianza . Sicché il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza — ove ammesso — è esperibile esclusivamente per violazione di legge Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2003, n. 25079, Gianni Sez. I, 12 novembre 2008, n. 44321, Araniti Sez. I, 12 febbraio 2009, n. 9508, Testa, non massimate sul punto, e Sez. I, 20 ottobre 2010, n. 39314, Farinella, massima n. 248844 . 7.4 - Orbene, nella specie, oltre alla generica censura in ordine all'accertamento della superficie intramuraria, pro capite, calpestabile peraltro incongruamente rappresentato come riferito alla superficie della cella , la ricorrente Avvocatura argomenta che il giudice a quo non si sarebbe attenuto al canone fissato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, colla sentenza del 5 marzo 2013, Tellissi, circa la determinazione dello spazio minimo intramurario da assicurare a ogni detenuto perché lo stato non incorra nella violazione del divieto dei trattamenti inumani e degradanti, stabilito dall'articolo 3 CEDU. E sostiene che lo standard di superficie minima pro capite di tre metri quadrati, siccome apprezzato dal Giudice Europeo, deve essere conteggiato al lordo includendo sia la superficie degli arredi che quella ” del servizio igienico. 7.5 - Nel sancire il divieto della tortura, delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti, l'articolo 3 della Convenzione cit. non ha tipizzato le condotte integratrici della violazione del divieto. Analogamente neppure l'articolo 27, comma 2, della Costituzione, stabilendo che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”, ha stabilito alcuno specifico canone per la determinazione dei trattamenti vietati. Con particolare riferimento agli spazi intramurari l'articolo 6 dell'Ordinamento penitenziario prescrive, al comma primo, che i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti devono essere di ampiezza sufficiente ” e, al comma secondo, che i locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti ”. La corrispondente disposizione dell'articolo 6 del Regolamento penitenziario non contiene alcuno stardard o parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento. 7.6 — Anche alla luce di criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, mediante plurimi arresti, ha fissato canoni particolari in funzione di specifici standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari. 7.7 - Adito dalla doglianza del detenuto, di sottoposizione a trattamento inumano o degradante, per essere ristretto in ambienti carcerari di ampiezza così esigua da non soddisfare i requisiti minimi della abitabilità intramuraria fissati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, il giudice del reclamo è chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione e tale valutazione è operata esclusivamente alla stregua dei canoni e degli standard giurisprudenziali, in difetto di alcuna disposizione normativa e tampoco legislativa o codicistica. Sicché lo scrutinio compiuto sulla base della regula di giudizio di matrice giurisprudenziale è sindacabile, sotto il profilo della violazione di legge, in relazione al vizio della motivazione, ai sensi dell'articolo 11-ter dell'Ordinamento penitenziario in relazione all'articolo 125, comma 3, cod. proc. pen., e, cioè, esclusivamente sotto il profilo della mancanza di motivazione. 7.8 - Tale vizio è pacificamente fuori discussione nel caso in esame. Il giudice a quo ha. dato conto adeguatamente — come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. — delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità. 7.9 - Conclusivamente le censure del ricorrente, non essendo riconducibili né alla inosservanza, né alla erronea applicazione di alcuna norma di legge, si risolvono nella proposizione di motivi non consentiti dalla legge col ricorso per cassazione avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza e, pertanto, sono inammissibili ai sensi dell'articolo 606, comma 1, numero 3, cod. proc. pen 8. - Il secondo motivo di ricorso in punto di regolamento delle spese del procedimento non è fondato. 8.1 - Per vero non appare condivisibile l'assunto — posto dal giudice a quo a fondamento della declaratoria di non farsi luogo al regolamento della spese inter partes — della assimilazione del nuovo procedimento, di reclamo giurisdizionale ”, al procedimento di esecuzione. 8.2 - Innanzi tutto è d'uopo considerare che la adozione del rito camerale del procedimento di sorveglianza, a norma degli articoli 678 e 666 cod. proc. pen., richiamati dall'articolo 35-bis, comma 1, prima parte, dell'Ordinamento penitenziario, di per sé sola non comporta alcun ostacolo di ordine formale per la condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese processuali a favore di quella vittoriosa. La legge stabilisce che la decisione del magistrato di sorveglianza assume la forma della ordinanza. E, in astratto, tale tipologia di provvedimento può certamente recare la statuizione di condanna al pagamento delle spese. 8.3 — Conta, semmai, l'analisi contenutistica del procedimento del reclamo giurisdizionale” per la tutela dei diritti soggettivi del detenuto già enucleabile nel sostrato normativo dell'articolo 69, comma 6 dell'Ordinamento penitenziario, nella previgente formulazione, siccome integrata dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 26 dell'11 febbraio 1999, e ora compiutamente disciplinato dall'articolo 35-bis in relazione all'articolo 68, comma 6, lettera b , dell'Ordinamento penitenziario. Si tratta di un vero e proprio giudizio, di carattere contenzioso, vertente sull'accertamento, in contraddittorio, del grave e attuale pregiudizio all'esercizio dei diritti ” del detenuto, finalizzato alla adozione del provvedimento riparatorio del giudice consistente nell'ordine di porre rimedio , e imperniato sul coessenziale antagonismo tra la parte privata reclamante attrice necessaria ed esclusiva e la amministrazione penitenziaria contraddittore istituzionale , potenzialmente resistente. Epperò, a differenza del procedimento di esecuzione, il quale, in linea di principio, può essere fungibilmente promosso, sullo stesso oggetto, sia dal Pubblico Ministero, sia dal condannato, affatto indifferentemente - l'incidente è volto a stabilire, nell'interesse della giustizia, il concreto contenuto dell'esecuzione” Sez. 4, n. 1622 del 22/05/1998 - dep. 04/06/1998, PM in proc. Sciarabba, Rv. 211627 — sicché non è configurabile alcuna soccombenza, la contraria soluzione si prospetta in relazione al reclamo giurisdizionale in questione. 8.4 - Il rilievo non è, tuttavia, decisivo per accreditare la conclusione del regolamento delle spese inter partes . Neppure - al di là della considerazione che trattasi di ius superveniens - giova l'accentuata caratterizzazione, in termini di domanda risarcitoria, impressa dal legislatore al reclamo giurisdizionale colla introduzione dell'articolo 35-ter dell'Ordinamento penitenziario, ai sensi dell'articolo 1, del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 117. La disposizione prevede, nei casi stabiliti, la liquidazione di una somma, o titolo di risarcimento del danno”, per ciascuna giornata di detenzione patita in condizioni tali da violare l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848”, e/o — sempre a titolo di risarcimento del danno ” — la riduzione della pena detentiva espianda in ragione di un giorno per ogni dieci ” giorni della detenzione espiata nelle condizioni de quibus . La ridetta più recente novella offre, piuttosto, ulteriore argomento a sostegno della esclusione del regolamento inter partes delle spese del procedimento di reclamo giurisdizionale davanti ai giudici di sorveglianza. Il legislatore ha dettagliatamente disciplinato il procedimento all'articolo 35-bis e all'articolo 35-ter, commi 1 e 2 dell'Ordinamento penitenziario. Ha, quindi, attribuito, in sede civile, al tribunale ordinario in composizione monocratica del capoluogo del distretto di residenza dell'attore la competenza relativa alla speciale azione risarcitoria, nei casi di patita custodia cautelare infungibile e di intervenuta espiazione della pena, disciplinando il relativo procedimento contenzioso colle forme degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, sicché trovano applicazione le disposizioni degli articoli 91 e segg. cod. proc. civ. Sez. 1 Civ., n. 12021 del 01/07/2004, Rv. 573979 cui adde Sez. 1 Civ., n. 22292 del 21/10/2009, Rv. 609743 . Orbene, la mancata inserzione di alcuna disposizione relativa al regolamento delle spese inter partes nel procedimento di reclamo giurisdizionale davanti ai giudici di sorveglianza e, comunque, l'omesso richiamo degli articoli 91 - 97 cod. proc. civ. — a fronte, peraltro, della attribuzione della medesima azione risarcitoria alla competenza del giudice civile, nei residui casi previsti — appare, per vero, espressione della evidente volontà del legislatore di escludere il regolamento ridetto. Né giova alla tesi della ricorrente Avvocatura distrettuale dello Stato il richiamo operato all'arresto, in materia di procedimento incidentale di liquidazione del compenso del custode, sulla opposizione della parte interessata Sez. 4, n. 2489 del 30/06/1995 - dep. 27/07/1995, Ministero del Tesoro in proc. Pi-sanelli, Rv. 202335 . Il precedente è, oltretutto, inattuale. L'articolo 695 cod. proc. pen. che disponeva Sulle questioni concernenti le materie previste nel presente titolo [spese dei procedimenti penali] decide il giudice della esecuzione, che provvede con le forme indicate nell'articolo 666 cod. proc. pen. ”, è stato abrogato dall'articolo 299, comma 1, del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato con d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Il procedimento de quo è attualmente regolato dall'articolo 170 del Testo Unico cit., che richiama l'articolo 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794. Comunque la giurisprudenza di legittimità con la pronuncia citata dalla Avvocatura erariale era pervenuta alla conclusione che la fase contenziosa del procedimento in parola dovesse essere disciplinata, in carenza di specifiche disposizioni, dalle norme [ ] del codice di procedura civile” . E tale non è il caso del reclamo giurisdizionale davanti ai giudici della sorveglianza. La conclusione raggiunta, infine, si armonizza perfettamente colla tipologia del procedimento di sorveglianza cui, in linea di principio, è affatto estraneo il regolamento delle spese inter partes . 8.5 - Esattamente, pertanto, il giudice a quo ha deliberato Nulla per le spese ”. 9. - Di conseguenza deve essere disattesa anche la richiesta del detenuto resistente peraltro genericamente formulata e, comunque, palesemente infondata di condanna del Ministero ricorrente a titolo di responsabilità aggravata, ai sensi dell'articolo 96 cod. proc. civ 10. - Il rigetto della impugnazione comporta, infine, la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali. Al di là alcuni non recenti precedenti contrari Sez. 1, n. 260 del 25/01/1988 - dep. 02/03/1988, Mariani, Rv. 177748 Sez. 4, n. 979 del 09/07/1992 - dep. 14/09/1992, Ministero del Tesoro in proc. Guastella, Rv. 191847 e Sez. 4, n. 131 del 28/01/1993 - dep. 19/03/1993, Ministro del Tesoro in proc. Grasso, Rv. 193385 , le Sezioni Unite di questa Corte suprema di cassazione, in tema di procedimento per la riparazione della ingiusta detenzione, hanno fissato il principio di diritto della condanna della Amministrazione dello Stato, ricorrente per cassazione, al pagamento delle spese processuali, nel caso di rigetto o di dichiarazione della inammissibilità della impugnazione sentenza n. 34559 del 26/06/2002 - dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222265 cui adde Sez. 3, n. 48484 del 22/10/2003 - dep. 18/12/2003, Min. Eco. in proc. Salvi, Rv. 228442 . Il principio appare applicabile al caso in esame, nel quale la Pubblica Amministrazione, assume il ruolo di contraddittore necessario e sostanziale del detenuto o dell'internato reclamanti, in relazione al dedotto grave pregiudizio all'esercizio dei diritti ”, in dipendenza della prospettata inosservanza da parte dell'amministrazione [penitenziaria] di disposizioni della [ ] legge [26 luglio 1975, n. 354] e dal relativo regolamento ” articolo 69, comma 1, lettera b , dell'Ordinamento penitenziario . Epperò il Collegio, uniformandosi al richiamato principio di diritto, fissato dalle Sezioni Unite, da interpretazione estensiva alla disposizione dell'articolo 616, comma 1, cod. proc. pen., nel senso che il sintagma parte privata ” è da intendersi comprensivo di tutte le parti processuali diverse dal Pubblico Ministero unica, vera e propria parte pubblica del processo , alla stregua della giustapposizione sottesa dalla partizione nel Libro I Soggetti del codice di rito nei Titoli II Pubblico ministero , da un canto, e IV Imputato e V Parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per l'ammenda , dall'altro, colla conseguenza che la Pubblica Amministrazione che interviene nel procedimento, ad instar delle parti private coram iudice nella specie, contraddicendo la richiesta del detenuto e, quindi, impugnando il provvedimento sfavorevole , deve ritenersi assimilata alle parti private medesime. 11. - Alle considerazioni che precedono, conseguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente Ministero al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte, a scioglimento della riserva, adottata l’11 novembre 2014, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.