Non basta un vantaggio fiscale a fare un reato tributario

La prova del dolo specifico passa per l’inesistenza di vantaggi d’imposta acquisibili per vie alternative. Ad ogni modo, il danno fiscale – invocabile dall’Agenzia delle Entrate parte civile costituita – non coincide sempre con l’imposta evasa.

Il fatto. Oggetto del contendere una fattura per operazione inesistente che, ai sensi degli artt. 2 e 3 d.lgs. n. 74/2000 – dichiarazione fraudolenta anche mediante artifici e raggiri – avrebbe consentito un credito d’imposta negli anni successivi all’emissione. La Cassazione, terza Sezione Penale, n. 52752/2014, depositata il 19 dicembre, capovolge la condanna dei giudici d’appello, chiarendo per quanto segue. Il danno risarcibile in caso di reato tributario. Nessuna automaticità, la prova innanzitutto. Il danno subito dalla pubblica amministrazione non coincide con il tributo evaso, se non nel caso in cui il fatto abbia determinato l’estinzione dell’obbligazione tributaria ovvero in caso di mancata coincidenza fra soggetto attivo del reato e soggetto passivo del tributo ovvero in caso di impossibilità sopravvenuta per il recupero del dovuto erariale. Nemmeno in ogni caso include il c.d. danno funzionale per lo sviamento e il turbamento per l’accertamento tributario – nella somma di risorse materiali ed umane impiegate -. La Cassazione chiarisce anche i nuovi reati fiscali si configurano come di pericolo o di mera condotta, non si realizza necessariamente un danno al consumarsi del fatto punibile. Inoltre, il danno in concreto subito dalla pubblica amministrazione non coincide affatto con l’imposta evasa, siccome non viene meno l’esigibilità del credito tributario, per il quale già le norme speciali prevedono sanzioni ed interessi attivabili con il recupero coattivo, salva l’estinzione dell’obbligazione. Nel caso occorre prova specifica del danno procurato, comprensivo del danno funzionale cit. In caso contrario potrà il giudice operare mediante condanna generica al risarcimento del danno, priva però di efficacia di giudicato ex art. 651 c.p.p. nel processo civile o tributario. La prova del dolo specifico. Il vantaggio deve essere specificamente voluto. Non basta il solo – oggettivo - vantaggio fiscale a provare il dolo - che costituisce al più elemento costitutivo della fattispecie astratta –, al di là della verifica di altri risparmi fiscali che diversamente operando l’imputato avrebbe potuto conseguire. Le fatture contestate non erano state dedotte invece in deduzione o in compensazione nei tre anni successivi, e ad ogni modo l’imputato avrebbe potuto conseguire risparmi d’imposta per vie alternative, nel caso in cui quell’operazione non fosse stata realizzata. E’ mancata la prova complessa della specifica finalizzazione dell’operazione inesistente ad un vantaggio indebito, più che altro potendo dedursi la realizzazione di una operazione di dubbia efficacia e priva di logica economica e fiscale a danno dell’erario. Per il reato occorre l’invio della dichiarazione. La Cassazione disattende, smentendo i giudici dell’appello, il già minoritario argomento che per la sussistenza del reato ex art. 2 d.lgs. n. 74/2000 ritiene bastevole il semplice coinvolgimento diretto e specifico per la creazione del meccanismo fraudolento - per cui andrebbe punito anche il mero inserimento delle fatture per operazioni inesistenti ovvero di altri elementi fittizi ovvero di false rappresentazioni nei libri obbligatori contabili - a prescindere dell’inserimento dei dati in sede di invio delle dichiarazioni annuali. La Cassazione conferma l’orientamento dominante il momento perfezionativo del reato si realizza nell’indicazione mendace in dichiarazione, non rileva quanto prodromico oppure il tentativo ex art. 56 c.p. – v. art. 8 del d. lgs. cit. -, di fatto abbandonando, anche in via di stimolo interpretativo, la più estensiva tecnica punitiva della legge n. 516/1982.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 maggio – 19 dicembre 2014, n. 52752 Presidente Squassoni – Relatore Franco