Atti osceni: necessaria la perizia psichiatrica in caso di lieve ritardo mentale

La capacità di intendere e di volere non concerne soltanto la fase di realizzazione della eventuale condotta penalmente rilevante, dato che tale condizione deve sussistere, anche se con diverse conseguenze in caso di sua assenza, pure al momento in cui, attraverso la celebrazione del processo, si debba procedere all’accertamento della sussistenza o meno della penale responsabilità dell’imputato.

Atti osceni in treno. Con la sentenza n. 52492, depositata il 18 dicembre 2014, la sez. III Penale della Corte di Cassazione interviene in materia di atti osceni, delineando la vicenda sottoposta al suo giudizio con particolare riferimento alla capacità di intendere e volere. Infatti, dopo aver ribadito i confini esistenti tra diverse fattispecie criminose, gli Ermellini si soffermano sulla necessità nel caso di specie di disporre una perizia psichiatrica del soggetto incriminato, prima di procedere alla valutazione del giudicante. In particolare, la Corte di Appello territoriale confermava la sentenza del giudice di prime cure in merito alla dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 527 c.p., per essersi lo stesso – così nel testo – denudato e masturbato al cospetto di una ragazza all’interno del vagone ferroviario in viaggio, condannandolo alla pena di giustizia, previa concessione delle attenuanti generiche, non riconosciute dal primo giudice. Nel rigettare i motivi di appello, focalizzati sulla assenza di imputabilità del soggetto in quanto affetto da ipersessualità, la Corte di appello riteneva che, pur ammettendo la patologia dell’imputato, questa non si presenterebbe come idonea ad incidere né sulla capacità del prevenuto di partecipare coscientemente al giudizio né sulla sua coscienza e volontà, non ravvisandosi pertanto alcun motivo di procedere a perizia psichiatrica per verificare la sua imputabilità. Da qui il ricorso per cassazione che, giova sottolineare immediatamente, risulta fondato per la Suprema Corte e pertanto meritevole di accoglimento. Atti osceni o contrari alla pubblica decenza? In via preliminare, i giudici del Palazzaccio ribadiscono la correttezza dell’inquadramento della fattispecie concreta nella ipotesi astratta prevista dall’art. 527 c.p. rubricata come atti osceni. Al riguardo, l’orientamento pacifico in giurisprudenza è che costituisce violazione dell’art. 527 c.p. la condotta consistente nel masturbarsi davanti ad una donna in luogo aperto al pubblico trattandosi di un atto osceno, contrario ai principi della morale sessuale. Infatti, evidenziano i giudici della Suprema Corte, la differenza tra il reato di atti osceni e quello finitimo del compimento degli atti contrari alla pubblica decenza, va riferita al fatto che i primi offendono in modo grave e intenso il pudore sessuale, suscitando nell’osservatore sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri erotici, mentre i secondi si limitano a ledere il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione. Tuttavia, come per ogni reato, secondo i giudici di Piazza Cavour, anche per quello contestato nel caso di specie, non è possibile prescindere dalla capacità di intendere e di volere del soggetto agente, dovendosi in tale nozione comprendere sia l’idoneità del soggetto a valutare il significato della propria condotta, sia l’attitudine dello stesso ad autodeterminarsi in relazione ai normali impulsi che motivano l’azione. Capacità di intendere e di volere. Inoltre, i giudici della Corte di Cassazione offrono una puntualizzazione determinante, precisando che la capacità di intendere e di volere non concerne soltanto la fase di realizzazione della eventuale condotta penalmente rilevante, dato che tale condizione deve sussistere, anche se con diverse conseguenze in caso di sua assenza, non solo al momento della commissione del reato, ma anche al momento in cui, attraverso la celebrazione del processo, si debba procedere all’accertamento della sussistenza o meno della penale responsabilità dell’imputato. Da quanto appena affermato, si ricava che una delle condizioni che possono determinare la non attitudine del soggetto ad intendere realmente il significato delle proprie condotte e ad autodeterminarsi conseguentemente è la esistenza di un vizio dello stato di salute mentale del soggetto. Ciò che può essere accertato dallo svolgimento di un’attività conoscitiva e descrittiva della concreta situazione da parte di soggetti che possano fornire l’opportuno e documentato ausilio alla funzione giudicante. In altri termini, gli Ermellini ribadiscono che la perizia psichiatrica deve essere disposta dal giudice di merito soltanto nel caso in cui siano stati già acquisiti seri elementi indiziari i quali rendano necessaria un’indagine sullo stato mentale dell’imputato. Nel caso discusso, la Corte di Appello territoriale, pur riscontrando il fatto che l’imputato fosse affetto da un lieve ritardo mentale, ha tuttavia ritenuto in termini di assoluta ed ingiustificata autoreferenzialità sic! che ciò non comportasse né la sua inidoneità a partecipare, in termini di efficace presenza al giudizio, né la sua mancanza di imputabilità al momento del fatto, provvedendo quindi ad escludere la necessità di procedere alla richiesta perizia psichiatrica, ritenuta inutilmente laboriosa e costosa! Ciò che ha determinato il vizio motivazionale rilevato dalla Corte di Cassazione e il conseguente annullamento della sentenza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 giugno – 18 dicembre 2014, n. 52492 Presidente Fiale – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 24 gennaio 2013, ha confermato, quanto alla dichiarazione di penale responsabilità di A.V. in ordine al reato di cui all'art. 527 cod. pen., per essersi lo stesso denudato e masturbato al cospetto di una ragazza all'interno di un vagone ferroviario in viaggio tra Egna e Bolzano, la sentenza emessa dal Tribunale di Bolzano, condannandolo alla pena di giustizia, previa concessione delle attenuanti generiche, non riconosciute dal giudice di prime cure. Nel rigettare i motivi di appello, concernenti la asserita assenza di imputabilità del prevenuto in quanto affetto da ipersessualita , la Corte bolzanina ha ritenuto che, pur ammettendo la patologia dell'A., questa non si presenterebbe come idonea ad incidere né sulla capacità del prevenuto di partecipare coscientemente al giudizio né sulla sua coscienza e volontà, non vi sarebbe quindi motivo di procedere ad una perizia psichiatrica al fine di verificare la sua imputabilità. Ritenuto, tuttavia, che dagli atti risulta che l'A. sia affetto da un lieve ritardo mentale , si giustifica la concessione delle attenuanti generiche. Ha proposto ricorso per cassazione avverso detta sentenza l'A., assistito dal proprio difensore di fiducia, deducendo il vizio della sentenza non essendo stati svolti i dovuti accertamenti in ordine alla reale capacità da parte dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, pur in presenza di documentazione medica di fonte pubblica attestante lo stato di sofferenza psichiatrica dell'A., ivi definito come Disturbo di tipo psichico con tono dell'umore depresso e disturbi del comportamento e gravi problematiche socio-relazionali in terapia a base di antipsicotici di seconda generazione, antidepressivi ed ansiolitici . Ulteriore motivo di impugnazione proposto dal ricorrente attiene alla mancata considerazione del suo stato psichico in ordine alla sussistenza della capacità di intendere e di volere al momento dei fatto per cui è processo, in particolare in ordine alla capacità dell'A. di comprendere il senso del pudore, pur in presenza della infermità che lo ha colpito. Considerato in diritto Il ricorso proposto dall'imputato, risultato fondato è, pertanto, meritevole di accoglimento, col derivante annullamento della impugnata sentenza. Deve preliminarmente osservarsi che la condotta in ipotesi posta in essere dall'A., consistita nell'essersi egli denudato all'interno dello scompartimento di un vagone ferroviario in regolare servizio ed essersi, quindi, egli masturbato al cospetto di una ragazza, integra senza alcun dubbio in linea astratta gli estremi del reato a lui contestato, cioè la violazione dell'art. 527 cod. pen., significativamente rubricato come atti osceni . Invero questa Corte già ha avuto modo di chiarire che costituisce, appunto, violazione dell'art. 527 cod. pen. la condotta consistente nel masturbarsi davanti ad una donna in luogo aperto al pubblico trattandosi di un atto osceno, contrario ai principi della morale sessuale Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 giugno 2000, n. 366 . Ancora di recente, è stato in particolare precisato che la diagnosi differenziale fra il reato ora contestato e quello finitimo di cui all'art. 726 cod. pen., avente ad oggetto il compimento degli atti contrari alla pubblica decenza, va condotta sulla scorta dei fatto che i primi, gli atti osceni, offendono, in modo intenso e grave, il pudore sessuale, suscitando nell'osservatore sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri erotici, mentre i secondi si limitano a ledere il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 febbraio 2014, n. 5478 . E non c'è dubbio che il procedere ad atti di autoerotismo in luogo pubblico, tale essendo uno scompartimento di vagone ferroviario, sia condotta che offende il pudore sessuale. Vi è, tuttavia, da rilevare che, come per ogni reato, anche per quello contestato all'A. non può prescindersi dalla capacità di intendere e di volere dell'agente, dovendosi in tale nozione comprendere sia l'idoneità dei soggetto a valutare il significato, anche sociale, della propria condotta, sia l'attitudine dello stesso ad autodeterminarsi in relazione ai normali impulsi che motivano l'azione Corte di cassazione, Sezione I penale, 28 luglio 1982, n. 7327 . Né, va peraltro precisato, tale condizione concerne solamente la fase di realizzazione della eventuale condotta penalmente rilevante, posto che siffatta attitudine ad intendere e volere deve sussistere, sia pure con diverse conseguenze in caso di sua assenza, non solo al momento della commissione del reato, ma anche al momento in cui, attraverso la celebrazione del processo, si debba procedere all'accertamento della sussistenza o meno della penale responsabilità dell'imputato. Come sopra accennato, diverse sono le conseguenze della incapacità di intendere e di volere in relazione al momento in cui essa si potrebbe manifestare nel senso che, laddove essa già fosse presente all'atto della commissione del reato, ad essa conseguirebbe la non punibilità dell'autore per mancanza della imputabilità, mentre, laddove essa si manifestasse al momento del processo, sarebbe quest'ultimo a rimanere sospeso sino alla verifica della idoneità dell'imputato di potere consapevolmente partecipare ad esso. Una delle condizioni che possono, in linea di principio, determinare la inettitudine al soggetto ad intendere rettamente il significato delle proprie condotte e a autodeterminarsi conseguentemente è la esistenza di un vizio dello stato di salute mentale del soggetto. E' chiaro che l'accertamento della esistenza o meno di tale condizione patologica necessita, affinché la relativa valutazione del giudice abbia un adeguato fondamento motivazionale, dello svolgimento di un'attività conoscitiva e descrittiva della concreta situazione da parte di soggetti che - per essere professionalmente esperti nella specifica branca della medicina che si occupa delle patologie che possono incidere, menomandola, sulla predetta attitudine ad intendere e volere, intesa questa nel senso sopra precisato - possano fornire l'opportuno e documentato ausilio alla funzione giudicante. Ha, peraltro chiarito la giurisprudenza, sin da lungo tempo, che la perizia psichiatrica deve essere disposta dal giudice di merito soltanto nel caso in cui siano stati già acquisiti seri elementi indiziari i quali rendano necessaria un'indagine sullo stato di mente dell'imputato Corte di cassazione, sezione vi penale, 21 novembre 1990, n. 15444 idem sezione i penale, 23 ottobre 1987, n. 11119 . E', peraltro, ben vero che la verifica della sussistenza dei predetti indizi che possono giustificare lo svolgimento della perizia psichiatrica in sede dibattimentale è compito dei giudice del merito, rimesso al suo prudente apprezzamento l'attuazione di siffatto compito è, tuttavia, soggetta al sindacato della Corte di cassazione in relazione alla presenza di motivazione, in ordine alla sua univocità della relativa valutazione ed alla sua non manifesta illogicità Corte di cassazione Sezione III penale, 1 aprile 1987, n. 3801 . Nel caso che interessa la Sezione distaccata altoatesina della Corte territoriale tridentina, pur riscontrato il fatto che l'imputato è affetto da un lieve ritardo mentale, elemento questo costituente senza dubbio una condizione qualificabile come patologia neuropsichiatrica, ha tuttavia ritenuto, in termini di assoluta ed ingiustificata autoreferenzialità resa ancor più manifesta dal fatto che, stante la contumacia dell'imputato di fronte alla Corte, neppure può ritenersi che questa si sia avvalsa di un suo potere di diretto materiale apprezzamento delle condizioni del prevenuto , che ciò non comportasse né la sua inidoneità ad partecipare, in termini di efficace presenza, al giudizio né la sua mancanza di imputabilità al momento dei fatto, provvedendo quindi ad escludere la necessità di procedere alla richiesta perizia psichiatrica, ritenuta inutilmente laborioso e costosa. E' di chiara evidenza il vizio della motivazione di siffatta decisione, essendo essa in contraddizione con la sussistenza, riscontrata dalla stessa Corte territoriale, di una obbiettiva patologia neuropsichiatrica a carico del prevenuto. Detta motivazione è, d'altra parte, dei tutto illogica laddove essa è riferita alla asserita laboriosità e dispendiosità della, eventualmente disponenda, perizia, essendo, viceversa, certo che una siffatta valutazione di opportunità diventi palesemente recessiva, stante la assoluta primarietà dei contrapposti interessi in giuoco, tutti di rilevanza costituzionale personalità della responsabilità penale, funzione rieducatrice della pena, celebrazione del giusto processo in condizione di parità fra le parti , a fronte alla necessità, scaturente dalla esistenza della riscontrata obbiettività clinica, di accertare la capacità dell'imputato di intendere e di volere. Gli esposti rilievi impongono l'annullamento della impugnata sentenza ed il rinvio alla Corte di appello di Trento che, attenendosi ai principi che precedono, rivaluterà l'esigenza o meno di disporre una perizia psichiatrica finalizzata alla verifica della capacità di intendere di volere dell'imputato sia al momento del fatto che nell'attualità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Trento.